La lettura di questo nuovo libro di Sequeri mi ha consentito di fare quattro passi nella sua prosa e tra il bello di due metafore, scrivendone alla fine, con qualche schematismo semplificatore.
Dalla metafora del «grembo» alla prosa argomentativa
Il testo si lascia introdurre già nel titolo, Il grembo di Dio, una metafora nella quale Sequeri anticipa allusivamente la tesi finale dell’intimità affettiva della Trinità, già nel suo essere da sempre, ma anche nell’incarnazione del «Figlio eterno alla vita-comune-all’umano», grazie alla quale accade qualcosa di nuovo sulla terra, e nell’ascensione di Gesù risorto, grazie al quale accade qualcosa di nuova nella Trinità: nell’intimità trinitaria di Dio è insediato a pieno titolo un essere umano, aprendo così un’ospitalità inaspettata del “grembo di Dio”.
Il valore iconico della metafora fissa lo sguardo del lettore, facilita la presa estetica e mnemonica, anticipando così il nucleo tematico della prosa. La quale procede argomentando un’«ontologia trinitaria» con una costellazione di parole ricorrenti nel vocabolario del teologo, in particolare in Metafisica e ordine del senso[1] dove trova grande sviluppo nella ricerca di una ontologia all’altezza di questi tempi.
Grande rilievo ha pure Il sensibile e l’inatteso[2] del 2016, dove c’è la trattazione ampliata del “generare”, come occasione tipica dell’affezione, che ritroviamo anche in Il grembo di Dio.
Con Il grembo di Dio, Sequeri argomenta per la prima volta l’ascensione, attribuendogli un ruolo determinante: prima ne ha scritto in varie occasioni, senza però affondi e in relazione agli altri temi.[3]
Nel nuovo libro articola la questione con diversi affondi, tra cui anche sulla fenomenologia, arrivando a considerare il passaggio «dall’essere dato all’essere donato» e, conseguentemente, all’accadere della donazione e il suo «manifestarsi come evento».[4]
Grazie a tale passaggio, può argomentare l’«evento fondatore» vissuto da Gesù, non solo con l’incarnazione, ma anche con l’ascensione, e non solo sotto l’aspetto visibile, ma anche della presenza e della manifestazione.[5]
D’altronde, l’impensato dell’ascensione nella storia della teologia ha privilegiato l’incarnazione, che poi ha portato a considerare l’ascensione come il ritorno del Cristo allo stato di prima. Se, però, si considera l’incarnazione alla luce dell’ascensione, questa in realtà è la destinazione dell’incarnazione e con essa il nuovo di affetti e comunione nel grembo di Dio. L’ospitalità impensata diventa anche pienezza di signoria della Trinità ad extra tramite lo Spirito Santo.
Un altro confronto critico è con le ontologie classiche[6] che hanno mantenuto residualità gnostiche, in particolare con l’incarnazione e la risurrezione e tanto più con la presenza dell’umano in Dio.
Sequeri si ferma di più nel confronto con la diffusione dell’auto-affezione, che le filosofie moderne[7] tengono nel proprio grembo; si dedica anche al dissequestro dello spazio e del tempo dai trascendentali. Il percorso più ampio e coinvolgente è il ruolo e la costellazione di azioni dello Spirito Santo a capo dell’«ispirazione generativa», già dal secondo libro.[8]
La metafora assoluta del «generare»
La prosa argomentativa scorre incalzante, eppure l’autore genera “soste” con la metafora del “grembo” e di una seconda, il “generare”, con la quale attrae l’attenzione del lettore: per il teologo è la «metafora assoluta»,[9] insostituibile da altro tipo di rapporto ed è un atto tipicamente di affezione. Lo si capisce con chiara evidenza dal suo «metabolismo generativo» che comprende il concepimento, la gestazione e il venire alla luce: generare vuol dire «far essere nel voler bene». Il “generato”, poi, è altro dal generante: non è sua “riproduzione”, o “replica”, oppure “clonazione”.
“Generare” è una parola ben conosciuta anche dalla storia della teologia, che, però, dopo il Concilio di Nicea, ha trascurato. Il dettato del dogma, che oggi si ripete ancora nel Credo, dice «generato non creato». Il concilio insegna la generazione eterna del Figlio e così la generazione del Figlio Gesù dal grembo di Maria, la Teotokos. Il “generato” del Figlio metteva in difficoltà anche i teologi per il loro apparato ontico dell’oggettività naturalistica dell’essere uno: «Dio, come sostanza, è uno».
Dalla «metafora assoluta» alla «costellazione di metafore»
L’affondo del pensiero sull’ospitalità inimmaginabile del grembo di Dio per tutte le creature diventa per l’autore una contemplazione dell’Ascensione in Cielo di Gesù. E ciò è motivo per il «mio stupito incantamento ‒ ha scritto Sequeri nell’introduzione ‒ per la fede cristiana, che mi afferra da sempre la mente e l’anima».[10]
Grazie all’ascensione, l’autore mette in risalto lo Spirito Santo, che «corrisponde alla logica generativa».[11] Il lettore è preso da tale prosa che articola le relazioni trinitarie: «Il Padre fa vivere il Figlio: non è l’originale di cui il Figlio è copia, sicché l’amore della generazione eterna trova la sua destinazione perfettamente corrispondente nell’essere riassorbito nell’identità archetipa dalla quale prende vita. Lo Spirito continua a procedere dal Padre e dal Figlio senza risolversi in nessuno dei due: nel terzo, che Egli rappresenta, il Padre e il Figlio si riconoscono perfettamente».[12]
Sequeri introduce punti fermi con formule concise a volte pungenti e sempre illuminanti: ne ho contati un buon numero. È il caso, ad esempio, dell’espressione: «L’ontologia trinitaria è tutt’altro dal futile esercizio di far tornare i conti dell’uno e del tre».
Il lettore che fissa la forma aforistica attiva la memoria più facilmente, e se ne aspetta anche altre. «L’ontologia trinitaria indaga il mistero di una potenza generativa alla quale rinvia l’affezione creatrice che tiene la barra dritta sul riscatto eterno di ogni far essere nel voler bene».[13]
A volte l’aforisma sembra un gioco di parole: «Tutto è da altro, perché non ci si genera da sé; nulla è altro, però, perché tutto in me è irrevocabilmente mio». «Il voler bene che fa essere il Dio è, semplicemente, Dio».[14]
Atre volte ancora è più di un aforisma: «Il racconto dello Spirito ‒ da quel suo emozionante “aleggiare” sulle acque, a quel suo “danzare” coi figli degli uomini, […] fino al suo gemere nella creazione per incorporarla alla generazione di Dio e al suo appello finale per il Figlio, all’unisono con l’umanità riscattata («Lo Spirito e la Sposa dicono “Vieni”) ‒ narra il tratto di quel suo «mettere in comunicazione/comunione», che transita elegante e possente fra i diversi…».[15]
D’altronde – ha scritto Sequeri nel 2016 –: «Che altro è, del resto, il miracolo della metafora? Un vero e proprio atto d’amore, se mai ce n’è uno nei giochi di parole, senza il quale anche le parole rimangono mosche nella bottiglia, senza scampo (e ora, vortice di elettroni, senza senso)».[16]
L’unità del libro con le svolte e il vocabolario accumulato nei decenni
Il grembo di Dio è un’opera di sintesi ontologica con vari “fili rossi” consolidati nei decenni, che vi concorrono. La sintesi è maturata sulla portata ontologica dell’affezione, non già su «l’essere uno di Dio» ‒ filosofia classica ‒, non già sull’«idea assoluta», che il pensiero anaffettivo coglie e razionalizza il tutto ‒ Hegel ‒ e nemmeno su «un dio che si dà non senza l’esserci», ma che di fatto non consegue mai un’effettiva relazione, come Heidegger si aspettava. La natura ontologica dell’affezione ha una propria norma e giustizia, non scade, cioè, nel soggettivismo auto-normato, non ripiega nel compiacimento e godimento passeggero, ma tende al primo principio, «far essere nel voler bene».
L’altro “filo rosso”, presente solo in questo libro, è una «fenomenologia orientata all’ontologia»,[17] maturata negli anni come «fenomenologia dell’evento fondatore» capace di affondo sull’ascensione, dove emerge l’umanità risorta di Gesù, come destinazione dell’incarnazione e compimento della creatività generativa nel «Grembo di Dio».
Nel libro pare che non si tratti delle prime due «formule» del vocabolario comune, la «coscienza credente» e la «singolarità di Cristo», tipiche della prima opera di Sequeri, Il Dio affidabile. In realtà, entrambe sono riformulate nell’ontologia trinitaria, la cui rivelazione di Dio, «porta nel campo della coscienza credente […] una nominazione dinamica e relazionale dell’assoluto la cui fenomenicità rivelatrice, inedita e inaudita, si attesta nell’affezione dell’essere divino (uno-unico) per l’essere umano (e creaturale-mondano). Il suo nomos e la sua charis si saldano nel vincolo della nominazione di Dio con il corpo di Gesù».[18]
Nel libro, infine, non si parla mai dell’estetica teologica. Questo non vuol dire, però, che non ci sia. Non c’è come storia dell’arte e nemmeno come teoria teologica a parte,[19] ma è praticata nella «bellezza in termini di metafora»[20] del «grembo» e, in particolare, nella «metafora assoluta della generazione»[21], che, con la creatività dello Spirito Santo, diventa una «costellazione generativa».
Quest’opera di sintesi raccoglie, dunque, i diversi “fili rossi” del ricco pensiero di Sequeri, anche quelli della tradizione filosofica dell’occidente. Ne sono testimoni anche i più recenti contributi, Metafisica e ordine del senso, dove aveva abbozzato un percorso filosofico e Il sensibile e l’inatteso.
Ne Il grembo di Dio, Kurt Appel ha scritto nella sua postfazione: «qui un pensatore vuole fondare nuovamente e più profondamente la nostra ontologia», così come G. Colombo concludeva la sua prefazione a Il Dio affidabile: «Il risultato è un’opera di“‘cultura” e non solo di “scuola”. Ma solo dalle opere di “cultura” si possono ricavare le opere di “scuola”».
[1] “Teologia” (36), 2011, pp. 159-171.
[2] “Il sensibile e l’inatteso”, Queriniana, 2016.
[3] Ad esempio, nel 2016 in occasione di una sua conferenza per il centenario della nascita di Charles de Foucauld, dove tra l’altro disse: «Io sono molto affezionato al mistero dell’Ascensione che nella nostra tradizione non è abbastanza apprezzato. Il mistero dell’Ascensione non vuol dire che il Figlio di Dio, al termine della sua missione, ritorna ad essere la seconda persona della SS. Trinità, come era prima. No, non torna ad essere come era prima. Dio ha voluto imparare, sperimentare il nostro stesso punto di vista sugli odori dell’uomo che si entusiasma per la nascita della creatura o si dispera per la ferita di una persona alla quale vuole bene. Sono realtà che le impari solo se sei umano».
[4] “Il grembo di Dio”, op. cit., p. 119 ss.
[5] Ivi, pp. 172-173 ss.
[6] Ivi, p. 210 ss.
[7] Ivi, pp. 212-216.
[8] Ivi, p. 133 ss.
[9] Ivi, p. 252.
[10] Ivi, p 18.
[11] Ivi, p. 258.
[12] Ivi, p. 258.
[13] Ivi, p. 265.
[14] Ivi, pp. 262-263.
[15] Ivi, p. 133.
[16] “Parole e Parola”, Glossa, 2016, p. XVIII.
[17] “Il grembo di Dio”, pp. 70-71.
[18] Ivi, pp. 258-259.
[19] Si veda “Il sensibile e l’inatteso”, pp. 5-6.
[20] Ivi, p. 24.
[21] Ivi, p. 7; e nota 17.