Il saluto

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La Facoltà teologica del Triveneto ha inaugurato il 19° anno accademico con la prolusione di mons. Giovanni Cesare Pagazzi che, a partire dall’esperienza comune del saluto – seme teologico del pontificato di Francesco –, ha portato a riflettere sullo stile dell’evangelizzazione.

Mercoledì 13 marzo 2024 si è svolto a Padova il Dies academicus della Facoltà teologica del Triveneto, che ha inaugurato ufficialmente il 19° anno di vita dell’istituzione accademica.

Mons. Giovanni Cesare Pagazzi, segretario del Dicastero per la cultura e l’educazione, ha tenuto la prolusione dal titolo “Le esperienze comuni e l’unico necessario. Teologia ed evangelizzazione”.

Un’esperienza che accomuna l’umanità

Mons. Pagazzi ha proposto una riflessione sui saluti, un’esperienza che accomuna tutta l’umanità, capace di fornire la grammatica e il vocabolario necessari per annunciare il vangelo, nonché una delle strategie a cui spesso ricorre il magistero di papa Francesco, e che il teologo ritiene «uno dei semi teologici più promettenti del suo pontificato».

I primi saluti che i bambini ricevono dai loro genitori fin dai primi giorni di vita – gli sguardi, i sorrisi che mamma e papà rivolgono loro coraggiosamente, pur sapendo che non li potranno subito ricambiare – sono anche «le esperienze iniziali della trascendenza»: «come Dio che giunge dall’esterno, dall’alto, fuori portata».

Quando potrà restituire sguardo e sorriso, salutando a sua volta, il bimbo pronuncerà in modo tutto gestuale il suo primo “Io sono” e “Tu sei”.

«Il sorriso ricevuto fin dagli inizi della vita e scambiato salutando da adulti manifesta interesse e desiderio della pace – ha affermato Pagazzi –. Con il sorriso, se non è artificiale né falso, il corpo invita l’altro a disarmarsi, poiché per primo ha deposto le armi».

Altre componenti del saluto – il bacio e la stretta di mano – fanno parte della gestualità infantile. «La gestualità dei saluti sarebbe un’immersione quotidiana, ripetuta più volte al giorno, nelle promesse di affetto fedele ricevute dai genitori durante l’infanzia, un reciproco incoraggiamento e impegno affinché tali promesse siano mantenute».

Il saluto è l’offerta preliminare di sé stessi, l’ingresso nella vita di un altro. «Ci si accredita presso l’interlocutore attraverso gesti primordiali (lo sguardo, il sorriso, la mano tesa…), sollecitando il ricordo di un’infanzia comune. In tal modo, si ravviva una familiarità sopita e immemorabile, precedente ogni consapevole iniziativa. Il saluto ci precede entrambi e in tal modo ci accomuna».

Il saluto è un atto di coraggio

Salutare per primi è espressione primigenia e quotidiana di coraggio, il quale è l’inizio di tutto: «Il coraggio è una spinta primaria e fondatrice, su cui si aggancia la fedeltà, cioè la virtù della continuazione. Senza coraggio, nessuna azione, nessuna relazione, nessuna fedeltà».

Il coraggio non trasforma in avventurieri imprudenti, semmai rende avventurosi: persone che rischiano la vita in nome della vita. «Nel coraggio scintilla l’immagine e la somiglianza con Dio; come nel gesto assurdo dei genitori che continuano a guardare chi non guarda, a sorridere a chi non sorride o nello sbilanciamento del primo saluto. Dio infatti è il Coraggioso perché da sempre, nella sua libertà, ha deciso di esistere, esponendosi sulle tenebre immani e inerti del nulla».

Chi saluta per primo ha il coraggio di prendere l’iniziativa, chi risponde ha il coraggio di lasciarsi disturbare. Nessuno dei due sarà più come prima. «Al fiat lux del primo saluto corrisponde il fiat voluntas tua di chi risponde».

Al primo incontro, i saluti inaugurano un nuovo legame; a relazione già stabilita, essi hanno soprattutto la funzione di confermarla. I saluti confermano il legame soprattutto al momento del congedo, diventando particolarmente calorosi, quasi a voler sopperire alla lontananza, compensando il vuoto dell’assenza: essi promettono la permanenza del vincolo nonostante la separazione.

«Prevedendo realisticamente che un incontro sarà l’ultimo, il congedo diventa pressoché definitivo. In questo caso, almeno nelle lingue neolatine, il saluto fa esplicito riferimento a Dio – Ad-Dio, A-Dieu, A-Dios – quasi che la permanenza di un legame nonostante la separazione definitiva risultasse garantita da Dio a cui spetterebbe allestire il luogo di un futuro, sperato, immaginabile ritrovo».

Se, salutando, si spera nel ricambio e nella conferma, la visita ai defunti per congedarsi da loro è uno dei più eloquenti paradossi umani. Perché si visita, si bacia, si accarezza chi certamente non risponderà? Insensatezza? Follia? O coraggio?

«La vita di un uomo e di una donna è tesa tra due saluti impossibili: il saluto che riceviamo appena nati e il saluto che riceviamo appena morti. Questi due doni si trasformano per noi nel dovere di dare a nostra volta il benvenuto a chi nasce e nell’impegno di congedarci da chi muore. Noi umani non ci rendiamo conto del coraggio che abbiamo, salutando i morti; della speranza che nutriamo, congedandoci dai morti; siamo come genitori che danno la buonanotte ai loro bambini. Salutando i morti, gettiamo il cuore al di là della notte, oltre la morte. Questo gesto è così importante che in tutte le culture e in ogni epoca si trovano riti di saluto ai morti, perfino in contesti non religiosi o addirittura antireligiosi».

Il saluto a Maria e il saluto di Maria

Il primo atto dell’angelo Gabriele – e quindi di Dio stesso – quando si presenta a Maria è quello di salutare, prima di trasmettere un messaggio. Chi saluta per primo passa alle dipendenze di chi viene salutato: ricambierà o, indifferente e infastidito, respingerà l’offerta? «In ogni caso, c’è un prima e un dopo quel gesto: chi saluta non sarà più quello di una volta. E questo vale anche per Dio. Rivolgendole il saluto, Dio considera la ragazza di Nazaret coprotagonista dell’evento, al punto che il seguito dell’incontro è nelle sue mani».

Gesù, annunciando la presenza operante di Dio nella storia, il Regno dei cieli, la scorge nelle realtà più comuni e feriali della vita. «Non solo – ha aggiunto Pagazzi –, per lui il saluto è il primo passo dell’evangelizzazione, dell’annuncio». Cristo chiede di salutare, e di salutare per primi (“In qualunque casa entriate, prima dite: Shalom!” [Lc 10,5]), come fece sua madre entrando nella casa di Zaccaria.

«L’azione di Maria, in sé ordinaria, provoca in realtà un’onda d’urto: fa risuonare l’intero corpo di Elisabetta, fino a raggiungerne il grembo, abitato dal Battista. A sua volta, il corpo del piccolo risuona, saltando di gioia. Non solo: il saluto produce l’irruzione dello Spirito Santo nell’anziana, che immediatamente viene a conoscenza della gravidanza di Maria, definita “madre del mio Signore”. Non male per essere un gesto di tutti i giorni!».

Dall’esperienza comune del saluto al mistero dell’Incarnazione, allo stile dell’evangelizzazione.

Una decina d’anni fa, il mondo sorrise alle prime parole dell’appena eletto papa Francesco: “Fratelli e sorelle, buonasera”. Un gesto semplice, pieno di senso e di speranza, capace di raccogliere tutta l’umanità (cristiani e non, credenti e non) in una piazza. «Un esordio apparentemente insolito; in realtà non così nuovo. Una sera di circa duemila anni fa un ebreo andò a trovare i suoi amici. Inatteso, entrò in casa e salutò come tutti gli ebrei fanno: “Shalom!”. Quell’ebreo era appena risorto dai morti».

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Un commento

  1. Fabio Cittadini 22 marzo 2024

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