A volte diamo la sensazione di voler rimuovere lo «scandalo» dell’Incarnazione. Natale è il momento giusto per meditare questo mistero. Ci aiuta un giovane filosofo e teologo italiano che insegna in Germania, Gianluca De Candia.
- Professore, nel suo libro «Il rovescio del vangelo» (EDB, Bologna 2019) riesce a descrivere con realismo poetico la vita dei personaggi che ruotano intorno a Gesù…
Ho cominciato a scrivere in preda ad un attimo di estrema liricità. Quando sei lì, nel momento creativo, vedi, senti, gusti – mentre i teorici hanno idee astratte. Ma credo che la plasticità dei diversi personaggi derivi anzitutto dalla mia grande concentrazione sul realismo del Cristianesimo.
- …penso in particolare alla sua descrizione della figura di Maria, la madre…
«Nulla è più reale di Maria di Nazareth. C’è una grandissima realtà che scalcia nel suo grembo di carne. Sbaglieremmo pensando di dover tradurre la concezione verginale di Gesù in una metafora. E tra le forme teologiche che hanno cercato di far questo c’è l’antica concezione di una conceptio per aurem, di una concezione attraverso l’udito. Anni fa ne ho trovato una illustrazione strepitosa nel timpano della Marienkapelle a Würzburg. La scena è quella dell’Annunciazione: Maria legge l’Antico Testamento e mentre si pone in ascolto di Dio, le viene insufflato attraverso un tubo Gesù bambino, il Verbo “bello e pronto” che dalla bocca del Padre giunge direttamente all’orecchio della Vergine. L’influsso della teologia alessandrina in questa rappresentazione è fuori discussione. In ogni caso Maria qui appare come il contenitore servile del Logos – e per questo il papa Benedetto XIV vieterà questo tipo di raffigurazioni. Evidentemente per troppo tempo la Madonna ha svolto una funzione solo strumentale, come quella di un santino, o è stata costretta in un capitolo marginale della dogmatica, uno di quelli che si possono leggere con gli occhi socchiusi o addirittura saltare a pié pari».
- Perché Maria è così importante sotto il profilo teologico?
«Non è sufficiente pensare l’Incarnazione solo come il manifestarsi di Dio, e la teologia questo lo ha imparato. Perché il rischio di limitare tutto a mera rappresentazione è dietro l’angolo. E, di conseguenza, il corpo dell’infante a Betlemme, il corpo martoriato sulla croce, deposto e risorto a Pasqua diventa solo un ologramma. Quando gli studenti mi domandano: “Può riassumerci con un’ immagine le discussioni cristologiche dei primi secoli?”, rispondo con un esempio che forse la farà ridere».
- Sono pronto a correre il rischio. Mi dica…
«A me piace ricorrere a due immagini che, del resto, corrispondono a un sentire oggi assai diffuso. Dico che l’identità del Dio-Uomo è stata pensata o come quella di “Spider-Man” o come quella di “Superman”. Spider-Man era un uomo normale, che dopo essere stato punto da un ragno subisce una sorprendente trasformazione. Analogamente molti pensano che Gesù sia stato un uomo, uno uomo eccezionale certo, che a un certo punto della sua vita è stato “adottato” da Dio (è la vecchia eresia dell’adozionismo). Poi c’è il secondo modello, che pensa Gesù come un Superman, come un essere che non è nato sulla terra, ma ci ha raggiunti da un altro pianeta e qui ha agito con dei superpoteri (come vuole l’eresia docetista). In entrambi i casi rimuoviamo violentemente lo “scandalo” dell’Incarnazione. A Natale bisogna meditare questo mistero e Maria è colei che ci provoca a disinnescare entrambi i riduzionismi. Evidentemente se lei non è una donna reale, che realmente ha concepito nella sua carne il Figlio di Dio, nemmeno Gesù è un uomo reale. L’arte figurativa occidentale è stata la sola ad aver difeso questo protagonismo della Madonna».
- Lei afferma che l’impresa più grande di Miriam «non fu la fuga in Egitto in groppa all’asinello, né il parto di fortuna in una stalla, ma l’assistere al lento emergere dell’uomo Gesù di cui lei stessa imparava a scoprirsi figlia»: perché?
«Gesù non è un meteorite d’un tratto precipitato sulla terra, ma è diventato storicamente ciò che da sempre era: egli è cresciuto nella consapevolezza della sua identità di Messia, di essere il Figlio di Dio – figuriamoci allora sua madre! Fin dagli anni del grande silenzio a Nazareth entrambi hanno dovuto imparare quale fosse la natura del mistero che li avvolgeva. Per Maria si è trattato anzitutto di un mistero doloroso, perché l’allontanamento del Logos dal seno del Padre ha dovuto imprimersi anche nella sua vita di donna, nella rinuncia ai suoi progetti di vita con Giuseppe e nell’allontanamento del figlio dalla madre. Dal giorno dell’Annunciazione fino al 7 aprile dell’anno 30 della nostra era, Maria si è messa in ascolto di quella voce silenziosa, ha imparato cosa significasse fare la volontà dell’Altro. E ha acconsentito a questo rischio non con lo spirito remissivo di una sottomessa, ma con appassionata partecipazione. Proprio così è diventare “figlia del suo Figlio”, come dice Dante, ha cioè incarnato la stessa libertà di Gesù, una misura di libertà che ci strappa dal nostro minuscolo io, perché si esprime nel fare dono di sé».
- Maria non si è fidata, fin da subito, dell’Eterno?
«Proprio per questo! Fidarsi di Dio è un rischio, è accettare ciò che non si lascia comprendere immediatamente. L’evangelista Luca ripete più volte che Maria “meditava nel suo cuore” (Lc 2,19). Il verbo greco significa “mettere in insieme” (sumbállousa). Ciò vuol dire che Maria ha scelto di obbedire ad eventi che non combaciavano immediatamente, ha ordito fra loro pezzi sparsi di una maggiore verità. Ci vuole una grande forza d’animo per fare questo esercizio. Del resto ogni volta che il Figlio le rivolge la parola nei Vangeli è sempre per “negarle” qualcosa, come quel “non sapevate?” di lui dodicenne; o come quando a Cana le risponde: “Donna, che ho da fare con te?”. E ogni volta Maria deve decifrare il segreto di quelle parole e imparare a reggere agli apparenti “no” di Dio – ben altro dal tutto comprendere, perché Lui risponde sempre, ma sempre a modo suo».
- Il Natale è il compimento dell’Avvento. Qual è allora, secondo lei, il possibile avvenire e compimento del Cristianesimo nella società odierna?
«Alano di Lilla (1120-1203) ha scritto un inno, secondo me stupendo e commovente, in cui dichiara l’incarnazione del Verbo come qualcosa di non comprensibile attraverso le sette arti liberali. Le strofe declinano via via l’unione del Verbo divino con la natura umana secondo le regole della Grammatica, Retorica, Aritmetica, Musica, Geometria, Dialettica, Astronomia e si concludono ogni volta con la stessa sentenza: “In hac Verbi copula stupet omnis regula”: Ogni regola guarda attonita il Verbo così composto (o contratto). Credo che oggi più che mai abbiamo bisogno di declinare il cristianesimo nel linguaggio di quelle che sono le artes liberales del nostro tempo e di portare queste al massimo della tensione e contraddizione. Si tratta, in definitiva, di riappropriarci della parola e della prassi di Gesù al di là di quella irritante retorica dei predicatori da quattro soldi, che se dicono “amore” o “comunità” o “perdono” o “natale” non sanno davvero di cosa parlano, non solo perché non portano sulla loro carne le stigmate teologiche di quelle parole, ma non si preoccupano di studiarne il peso antropologico, filosofico, psicologico, sociologico, politico, economico. Il cristianesimo avrà ancora un avvento e un natale in Europa, se saprà essere presentato come una cosa seria, come sfida per la nostra intelligenza e chance per la nostra libertà».
Gianluca De Candia ha studiato filosofia e teologia presso la Facoltà Teologica Pugliese, l’Università di Bari e la Gregoriana di Roma. Ha conseguito l’abilitazione in Questioni filosofiche della teologia presso l’Università di Münster con la prima monografia in lingua tedesca sul pensiero di Massimo Cacciari. Già Professore supplente di Teologia Sistematica presso l’Università di Siegen, è ora Privatdozent per Questioni filosofiche della teologia presso la Westfälische Wilhelms-Universität di Münster e capo di un progetto sulla ricezione tedesca della filosofia italiana contemporanea. Ha scritto saggi, anche di carattere divulgativo, e articoli per diverse riviste scientifiche e quotidiani. Gianni Vattimo lo ha definito «un nuovo importante mediatore fra filosofia italiana e tedesca». (Twitter: @CandiaGianluca). L’intervista curata da Marco Dall’Oro è apparsa sull’inserto domenicale de L’Eco di Bergamo il 20 dicembre 2020.