Non si deve nascondere che l’esercizio formale dell’“infallibilità”, come prerogativa papale, ha conosciuto, a partire dal 1854, soltanto due utilizzi formali e diretti, e un terzo impiego, non formale e solo indiretto.
Le due forme ufficiali, in cui prima papa Pio IX e poi papa Pio XII si sono avvalsi del «pronunciamento ex cathedra», riguardano il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria (1854) e quello dell’Assunzione di Maria (1950). Il terzo caso, che non è tecnicamente esercizio dell’nfallibilità «ex cathedra», ma che pretende di essere il semplice riconoscimento autorevole e definitivo di una comprensione ecclesiale infallibile, riguarda la «riserva maschile» dell’ordinazione sacerdotale, su cui il papa Giovanni Paolo II afferma, nel 1994, di non avere la facoltà di modificarla, appartenendo alla «divina costituzione della Chiesa».
Tutti e tre i pronunciamenti hanno per oggetto «donne»: i primi due intervengono nel definire l’origine e la fine di Maria di Nazareth, ossia il concepimento senza peccato e la morte riscattata in anima e corpo. Il terzo riguarda, in negativo, tutte le donne, Maria compresa.
Differenze
La delicatezza della figura femminile, nell’economia della salvezza cristiana e cattolica, risulta straordinariamente confermata dal convergere, sul tema femminile, di tutti i pronunciamenti dotati della massima autorità negli ultimi 170 anni: riguardano appunto le donne. Una donna decisiva come la «madre di Dio», «immacolata» e «assunta», e tutte le altre donne, escluse dal ministero sacerdotale.
Tuttavia, a ben vedere, non sfugge all’osservatore attento una differenza fondamentale. Mentre le due affermazioni di carattere dogmatico, che identificano una «verità di fede» in modo formale, sono caratterizzate dal tratto positivo di qualificazione delle peculiarità di Maria nell’economia della salvezza, il terzo pronunciamento, proprio a causa del suo carattere «negativo» (come negazione di una facoltà ecclesiale) e per il suo effetto di esclusione (delle donne dall’ordinazione sacerdotale) non ha assunto la forma ufficiale di una definizione ex cathedra, ma è ricorso ad un escamotage piuttosto interessante: il papa Giovanni Paolo II ha affermato che la Chiesa non ha la facoltà di ammettere le donne al ministero sacerdotale. Questa verità non è definita dal papa, ma dichiarata come una «verità di fede» che la Chiesa ha elaborato con sicurezza nel proprio cammino storico.
Questo escamotage produce, però, una situazione paradossale, perché sposta il centro dell’attenzione dalla dichiarazione del papa alla coscienza della Chiesa, nella quale sarebbe custodita la verità che il papa si sarebbe limitato a costatare. Sarebbe, perciò, la storia della coscienza ecclesiale, nel suo organico sviluppo, ad aver maturato l’evidenza secondo cui al ministero sacerdotale accedono solo i maschi e non le femmine.
Qui, tuttavia, la mancanza di fondamento certo sul piano biblico, dove si trova, in positivo, la chiamata di uomini maschi, ma non in negativo l’esclusione delle donne, crea una condizione precaria all’assunzione di questa «infallibilità» non definita dal papa. Perché la condizione dell’infallibilità ecclesiale richiede un’evidenza che il passato ha avuto, ma il presente non ha più. Perciò, in questa argomentazione minimale, su cui è costruito il testo di Ordinatio sacerdotalis del 1994, appare una tensione non risolta tra due dimensioni, tra loro eterogenee.
- Sarebbe il «fatto» della tradizione della «riserva maschile» a fondare l’evidenza di un’assenza di autorità in capo alla Chiesa circa la sua possibile estensione dell’ordinazione alle donne. Ma questo «fatto» è il prodotto di una lettura che la tradizione ha pesantemente accompagnato con riflessioni profondamente segnate da una lettura riduttiva, soggiogata, subordinata della donna; nella Chiesa ci sono state tradizioni sane, ma anche tradizioni malate: il discernimento chiede un criterio sistematico, che non può essere solo quello fattuale;
- La trascrizione «dottrinale», che identificherebbe la riserva maschile come appartenente alla «divina costituzione della Chiesa», non assume il valore di un pronunciamento «ex cathedra», rinviando all’«evidenza della tradizione ecclesiale» – quella che il papa semplicemente riconosce, ma non pone. Questa differenza crea una certa difficoltà nel qualificare il livello di autorità del testo, il cui contenuto dottrinale sembra dipendere da una costatazione fattuale tutt’altro che pacifica.
Ma proprio questo duplice livello strutturale di Ordinatio sacerdotalis mostra il lato scoperto della lettera apostolica. Se non vi è modo di dimostrare, sul piano esegetico e sul piano della tradizione, un «fatto» che sia davvero indipendente da interpretazioni profondamente patriarcali e misogine, il rischio (che non si è voluto correre) era quello di impegnare la Chiesa per sempre ed ex cathedra in una lettura non aggiornata della tradizione.
Se avessimo voluto attribuire alla «divina costituzione della Chiesa» l’inesistenza dell’America (dopo la sua scoperta), la centralità della terra nell’universo anche dopo Copernico, o la subordinazione della donna all’uomo nel matrimonio anche dopo il nuovo diritto di famiglia, saremmo rimasti bloccati a nozioni geografiche, astronomiche o familiari elaborate da culture che oggi abbiamo in larga parte superato.
Quale giustificazione?
Un’esclusione della donna dal ministero ordinato, che si voglia giustificare sulla base della sola tradizione ecclesiale, e che non trova un fondamento biblico indiscutibile, non regge alla mancanza di argomentazioni plausibili. Ordinatio sacerdotalis, sapendo questo rischio, ha scelto una sorta di “via media”: ha reso assolutamente «dottrinale» la riserva maschile, ma ha accuratamente evitato di spiegarla teologicamente.
Ha sperato che, nei decenni successivi, qualche teologo trovasse la forza o l’ingegno di dare figura sistematica convincente a questa “dichiarazione”. Di fatto, tutti i tentativi sono caduti nel vuoto. Così restano in piedi solo due strade:
- Accontentarsi di una «teologia di autorità», che però non dice tutta la verità. Perché, se diciamo che le donne non possono accedere al ministero sacerdotale «perché lo ha detto il papa», non diciamo la verità. Il papa rimanda, prima e oltre di sé, alla coscienza ecclesiale, nella quale la domanda non riceve, da decenni, una risposta pacifica.
- Scoprire che sotto le parole di Ordinatio sacerdotalis vi sono assunzioni fattuali discutibili e soluzioni dottrinali che dipendono in modo troppo unilaterale da queste ricostruzioni di comodo. Quando Gesù chiama gli apostoli, solo in una lettura troppo orientata possiamo leggere la «libera scelta» di chiamare solo maschi. L’azione di Gesù non è così chiara come vorremmo noi oggi. Gesù ha chiamato uomini galilei, circoncisi e maschi. Ognuna di queste determinazioni (galilei, circoncisi, maschi) ha subito, nelle diverse epoche, interpretazioni diverse. Per porre seriamente la questione della possibile ordinazione di donne al ministero ordinato, si deve restare fedeli al lavoro interpretativo che ha condotto la Chiesa, fin dai primi decenni, nell’interrogarsi se fosse possibile ordinare non galilei, poi non circoncisi e più di recente non maschi. La cultura mediterranea antica o quella universale tardo-moderna non possono restare estranee alla meditazione e alla deliberazione ecclesiale. Aver chiuso occhi, bocca e orecchie di fronte a questa evoluzione culturale è il punto debole di Ordinatio sacerdotalis.
La Chiesa può ben deliberare in modo infallibile sul concepimento e sulla morte di Maria. Ma non può deliberare sull’esclusione della donna dall’ordinazione senza assumere, esplicitamente, la trasformazione che l’identità femminile ha subito nello sviluppo culturale degli ultimi 200 anni, in larga parte del mondo.
Se la Chiesa si chiude nel piccolo orto delle proprie tradizioni di gestione dell’autorità e pensa che, sulla base di esse, possa continuare ad escludere ogni donna da ogni autorità ministeriale ordinata, rischia di scambiare una dichiarazione di assenza di autorità con una manifestazione di prepotenza. Il che, come è evidente, sarebbe in contraddizione con la sua vocazione.
Infine, se piace a molti compiacersi del fatto che, quando il papa parla, il cattolico deve obbedire a quanto dice, e che perciò sul tema dell’ordinazione sacerdotale non c’è più nulla di nuovo da dire, allora è chiaro che le idee restano un po’ confuse. Sul tema dell’ordinazione sacerdotale il papa non si è pronunciato in modo infallibile, ma ha dichiarato come definitiva una coscienza ecclesiale ritenuta infallibile.
Non solo fede ma anche cultura
Ma se il fatto di cui si discute, ossia la riserva maschile, è legato non semplicemente ad una evidenza di fede, ma ad una concezione genealogica, biologica, sociologica e culturale della donna, la pretesa di chiudere il discorso in una semplice evidenza di fede – che assimilerebbe la «riserva maschile» alla «natura divina di Cristo» o alla «presenza reale» dell’eucaristia – sarebbe davvero un esito del tutto sproporzionato e condizionato sul piano emotivo, perciò inadeguato come soluzione plausibile ad una questione seria.
Nelle questioni in cui non è in gioco solo la fede, ma anche la cultura, non esiste alcuna competenza indiscutibile né della Chiesa né del papa. Dove si tratta dell’identità dei soggetti umani, uomini o donne che siano, è proprio la tradizione cristiana e cattolica a scoprire che la «libertà» è parte decisiva della loro identità.
Riconoscere anche alle donne l’autorità di presiedere nella Chiesa è un dato culturale e antropologico che la Chiesa non sa valorizzare, perché non riesce a concepire una «vocazione universale al ministero ordinato». Perciò, anche in questo ambito, se un papa dicesse che è nero ciò che è bianco, non potrei seguirlo non per motivi di fede, ma per motivi di verità.
La donna che «è entrata nella vita pubblica (quae in re publica interest)» da soli due secoli è un «segno dei tempi» che cambia anche la tradizione ecclesiale. Pensare di salvare la Chiesa tenendo in piedi una struttura ingiusta della societas inaequalis, sarebbe un errore gravissimo.
Anche la grande orchestra Filarmonica di Berlino, finché H. Von Karajan era stato il suo direttore, non ammetteva le donne al concorso. Una riserva maschile vigeva come norma indiscussa. Con l’arrivo di Claudio Abbado a Berlino le cose sono cambiate.
Anche la Chiesa cattolica ha bisogno di entrare nella prospettiva di Claudio Abbado: non come cedimento alla cultura dominante, ma per non cedere alla nostalgia tossica di identificare la differenza di Dio con la differenza tra maschio e femmina.
L’intento di salvare la differenza di Dio con la resistenza ad oltranza sulla riserva maschile, a costo di farla diventare addirittura un «mistero della fede», è un vicolo cieco. Che non può ostacolare il cammino della sana tradizione.
- Pubblicato sul blog dell’autore Come se non.
Nell’articolo in questione e in molti altri simili interventi sull’argomento, che è molto serio per la vita di fede dei Cattolici, l’autore si arrampica sugli specchi per negare l’autorevolezza, la definitività e la infallibilità di Ordinatio sacerdotalis; pecca di presunzione in ogni suo intervento scritto e nelle sue lezioni si esprime senza peli sulla lingua contro il Magistero (specie contro Benedetto XVI), violando il giuramento fatto quando gli fu data licenza di insegnare Teologia in facoltà Cattoliche.
Grazie a Dio me ne sono ben guardato da dare gli “esami” con lui quando ero studente di “liturgia”, perché la Liturgia cattolica è tutta un’altra cosa; in coscienza non potevo dire, per prendere un miserabile voto, dire cose che nel modo più assoluto non credevo e non credo e non crederò.
Mi pare addirittura riprovevole che ci siano siti di ispirazione cattolica che pubblicano le cose che asserisce quasi che fossero oracoli.
Male!
Tuttavia la cosa che è molto consolante è vedere che i preti giovani e quei pochi giovani che frequentano le parrocchie e/o movimenti ecclesiali sono quantomeno perplessi per non dire allibiti che taluni che si fregiano dei loro dottorati in Teologia propinino le loro teorie protestanti nella Chiesa cattolica. E stanno bene alla larga da tali individui e se ne guardano attentamente dall’acquistare le loro pubblicazioni, preferendo testi autorevoli di Teologia e Spiritualità.
2 osservazioni:
1) GESÙ non ha corretto le concezioni della cosmologia della cultura del tempo… avrebbe potuto farlo, ovviamente!
Se non l’ha fatto vuol dire che le condivideva???
Ma l’incarnazione è una cosa seria: si è inserito nella mentalità del tempo; lasciando aperto il futuro…
2) …”lo Spirito vi ricorderà ogni cosa…”, vi guiderà alla,verità tutta intera.
È la responsabilità e la missione della chiesa nei secoli.
Il Concilio Vaticano II, con l’”aggiornamento” ci ha insegnato un metodo.
E così i sinodi (quello sulla famiglia del 2015: sono uno dei 2 parroci che hanno avuto la ventura – inaspettata e immeritata! – di parteciparvi…).
…con la pace di tutti.
Se l’insegnamento apostolico non fosse più saldo e radicato nel deposito della fede si aprirebbero le praterie del relativismo e del soggettivismo. La storicità (indubitabile) della Tradizione si cambierebbe nello storicismo tipico modernista. Se la tradizione la si riconoscesse come sola figlia dei tempi allora perché non ammetterla anche come figlia eletta dei luoghi? Così allo smarrimento della verità seguirebbe quello della comunione. Qui molto avremmo da imparare dai rovesci che sta subendo la Comunione Anglicana.
Purtroppo questo articolo contiene molti errori e molto gravi.
1) «Quando Gesù chiama gli apostoli, solo in una lettura troppo orientata possiamo leggere la libera scelta di chiamare solo maschi»
Questo è il tipico argomento progressista di chi, non riuscendo a darsi pace del fatto che Gesù abbia “discriminato” cioè trattato diversamente, cerca di assolverlo dal mostruoso crimine (per i progressisti) e dunque: ah ma non è colpa di Gesù, lui poveretto avrebbe preferito fare diversamente, ma il contesto glielo imponeva…
È un argomento infondato teologicamente e psicologicamente. Un Gesù timoroso dell’opinione pubblica è incompatibile con il Cristo narrato dai Vangeli: che non ha timore di scandalizzare quando guarisce e mangia di sabato, quando abolisce il divorzio, quando si dichiara superiore alla Legge … Gesù è disposto a perdere gran parte dei suoi seguaci, e perfino i suoi stessi apostoli, quando insegna che chi vuol essere salvo dovrà mangiare il suo corpo. Non è plausibile che quello stesso Cristo diventasse improvvisamente un vigliacco timoroso di come avrebbe reagito il popolo se avesse visto apostoli femmine. Gesù, se avesse voluto, era sovranamente libero di ordinare anche femmine, nel qual caso avrebbe insegnato agli scandalizzati “vi è stato detto, ma io vi dico”. E certo concretamente non gli mancavano accanto donne degne di tale onore. Ma non l’ha fatto: dunque non ha voluto. Bisogna ammettere questo fatto e partire da esso, invece di inventarsi psicologie alternative insostenibili ed antievangeliche.
2) «la mancanza di fondamento certo sul piano biblico, dove si trova in positivo la chiamata di uomini maschi, ma non in negativo la esclusione delle donne, crea una condizione precaria alla assunzione di questa “infallibilità” non definita dal papa»
Per quanto spiegato sopra, il fondamento biblico esiste ed è certo: Cristo ha deliberatamente chiamato solo maschi. Dopodiché ci può essere discussione aperta sul perché lo abbia fatto, ma questo è un di più. È necessario alla Chiesa e al Papa spiegare esattamente il di più, al fine di poter insegnare un magistero infallibile sull’argomento? No, non è necessario. La Chiesa e il Papa possono benissimo insegnare infallibilmente un fatto, senza bisogno di entrare nel merito delle cause e concause. Con il dogma dell’Assunzione, il Papa ha insegnato che Maria è corporalmente in cielo, ma ha deliberatamente omesso di prendere posizione su come ciò sia avvenuto, dunque è ancora aperta la discussione tra tesi della morte e tesi della dormizione. Si può forse dire che il dogma dell’Assunzione “non vale” finché il Papa non spiega se fu per morte o per dormizione? No, non si può dire. Così è per la definizione di Ordinatio Sacerdotalis: il Papa ex cathedra ha insegnato *definitivamente* un fatto, la Chiesa non ha il potere di ordinare donne, e i fedeli cattolici a questo insegnamento si devono attenere – se vogliono dirsi cattolici – e si dovranno attenere per tutti i secoli in eterno – è questo il significato di *definitivo*.
3) «Gesù ha chiamato uomini galilei, circoncisi e maschi. Ognuna di queste determinazioni (galilei, circoncisi, maschi) ha subito, nelle diverse epoche, interpretazioni diverse»
Questo è semplicemente non vero: non c’è stata alcuna successione di “diverse epoche”. La comprensione della portata universale del cristianesimo, a tutte le genti e non solo agli ebrei, è subitanea ed emerge già in Atti degli Apostoli. La Chiesa nascente ha risolto immediatamente il problema insegnando che possono essere presbiteri anche i non ebrei e non circoncisi. Allo stesso modo non c’è stata nessuna sequela di interpretazione diverse della riserva maschile, è stata insegnata fin da subito e mai messa in discussione fino ad oggi.
Se abbiamo fede nella Chiesa come attendibile soggetto che interpreta la volontà di Cristo, allora crediamo a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato. Altrimenti, è inutile girarci attorno, il vero problema è la mancanza di fede: non si crede più alla Chiesa Cattolica. Ma allora lo si dica chiaramente.
Avere fede nella Chiesa non significa negare quanto afferma il Concilio Vaticano II: La Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia”. E nel cammino tante cose possono cambiare…. come infatti sono cambiate nei secoli….
Veramente, chi (come il professor Grillo) nega la facoltà della Chiesa di insegnare infallibilmente sull’argomento, sta esattamente negando un punto del Concilio Vaticano II:
https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19951028_dubium-ordinatio-sac_it.html
“Questa dottrina esige un assenso definitivo poiché, fondata nella Parola di Dio scritta e costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa fin dall’inizio, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale (cfr. Conc. Vaticano II, cost. dogm. Lumen Gentium, 25, 2).”
Per essere esatti Gesù scelse un gruppo stabile di donne (Luca 8,1-3) e di uomini (Marco 3,13-19 Luca 6,12-15 Matteo 10,1-4) per seguirlo. Ora per quanto riguarda il gruppo maschile Gesù scelse dodici ebrei e li chiamò apostoli (inviati). La Chiesa non si attiene né al numero. né alla nazionalità e né al titolo e rimane vincolata solo al sesso, infatti i vescovi e i preti sono maschi di qualsiasi nazionalità e di qualsiasi numero. Nei Vangeli non esiste un divieto esplicito riguardante le donne, infatti le donne sono le prime testimoni della Resurrezione di Cristo. Il divieto chiaro ed esplicito è posto da San Paolo (1 Timoteo 2,11-15), il quale autorizza, però, il diaconato femminile (1 Timoteo 3,11) come servizio alle donne. La materia è complessa, perchè è la Chiesa che stabilisce lungo la storia i servizi ed i ministeri sotto l’azione dello Spirito Santo.
Gesù scelse discepoli e apostoli. I primi erano il laicato della Chiesa nascente, i secondi il clero.
Nei Vangeli non esiste un divieto esplicito, ma la scelta di Gesù è già una dichiarazione implicita.
La separazione tra clero e laici è assente nelle prime comunità cristiane e ne parlano nel III secolo Tertulliano e Cipriano. Il diaconato non è stato stabilito da Gesù ma dagli apostoli per una necessità pratica il servizio alle mense. La Chiesa ha il dovere di discernere servizi e ministeri sotto l’azione dello Spirito Santo.
Interessante quanto afferma Grillo. Tuttavia sembra sfuggire al teologo come Papa Francesco non abbia alcuna intenzione di mettere in discussione quanto il suo predecessore ha autorevolmente sancito (il Papa stesso lo ha dichiarato). Peraltro non si sa cosa stia facendo la ben nota Commissione di studio per il diaconato femminile, istituita da tempo, che dopo anni di studio non ha prodotto alcun documento.
Perché il fine della Commissione è consultivo, non deliberativo, e l’argomento è spinoso e complesso
L’articolo di Grillo pone in evidenza un dato che dovrebbe essere scontato: al fondo delle nostre produzioni discorsive (comprese dunque quelle dottrinali) sono sottesi fattori di ordine socio-culturale. Negare ciò significa semplicemente ammettere/decidere solo in favore di alcuni periodi e precomprensioni del passato, facendoli passare per eterni (i cosiddetti “fatti” che spingerebbero ad un “non possumus”). Affermare la storicità della nostra tradizione significa invece interrogarci su come intendiamo vivere il Vangelo del Regno nel nostro tempo, al pari di coloro che ci hanno preceduto nel cammino di fede.
“Res tene, verba sequentur.”
Le nostre produzioni discorsive sono sì influenzate da fattori di ordine socio-culturale, ma questi fattori non possono essere tutta la sostanza. Deve esserci alla base un fatto vero rappresentato dalle parole, altrimenti il nostro parlare è solo un flatus vocis. Ma se si avesse questa considerazione così bassa delle produzioni discorsive della Chiesa, allora semplicemente si afferma la falsità del cattolicesimo.