Etica Teologica della Vita (Libreria Editrice Vaticana 2022, pp. 517, euro 30) è il libro pubblicato a cura della Pontificia Accademia per la Vita e riporta un dibattito libero, franco e aperto tra teologi moralisti – a partire da un Testo Base – in cui si affrontano tutti i temi dell’etica della vita.
Del volume, in queste settimane, si è discusso molto, a volte concentrandosi su passaggi particolari, come il dibattito sul rapporto tra amore e generazione, perdendo di vista l’orizzonte più complessivo.
Su questi aspetti, uno degli estensori del Testo Base e tra i partecipanti al convegno, don Maurizio Chiodi, docente a Bergamo, a Milano e a Roma al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, risponde ora ad alcune domande per chiarire il senso del lavoro svolto.
– Don Maurizio, papa Francesco ha detto che non si può fare teologia, anche teologia morale, con dei “no” davanti. È un messaggio chiaro sull’importanza della libertà di discussione e di ricerca accademica in teologia. È giusta questa interpretazione? Perché è necessario ribadirlo? Perché si è creato, nel tempo, un “freno” alla libertà accademica? Certo, il teologo è in rapporto con il magistero nella sua ricerca. Ma qual è l’equilibrio tra la libertà di ricerca e il magistero?
L’affermazione del papa si colloca all’interno di un discorso sullo sviluppo del dogma e della morale, a proposito del quale egli richiama il criterio ermeneutico di Vincenzo di Lérins e, in tale quadro, afferma che non si può fare teologia con un “no” davanti. Da parte mia, direi che la teologia non ha una libertà “assoluta”: la sua norma normans è la Rivelazione, costantemente reinterpretata e attualizzata nella Tradizione.
Per quanto riguarda il rapporto tra teologia e magistero, ricordo che, dopo il periodo patristico, nel quale le figure del pastore/vescovo e del dottore/teologo coincidevano, il compito dei pastori, cum Petro e sub Petro, si è configurato come reciproco, con compiti diversi, rispetto alla teologia.
Il magistero episcopale e pontificio è sempre intervenuto dopo i dibattiti teologici, spesso accesissimi, come nelle grandi questioni cristologiche e trinitarie dei primi secoli. Il magistero ecclesiale, dunque, presuppone la teologia e questa a sua volta ha l’autonomia che le deriva dal suo essere intelligenza della fede, e in tal senso non può ridursi a commentare il magistero, anche se non può prescindere da esso, così come – ambedue – non possono prescindere dal sensus fidei, come dice Lumen gentium 12.
Al magistero ecclesiastico spetta, in ultima istanza, di dichiarare la compatibilità o meno di un’affermazione teologica con la verità del vangelo, ma questo suppone appunto una libera discussione, almeno nella misura in cui una dottrina è affermata dal magistero ordinario e universale in modo “autentico”, ma non in una forma definitoria, definitiva e infallibile.
Ora, è opinione comune tra i teologi che su nessuna questione morale il magistero ecclesiastico sia finora intervenuto in modo infallibile, anche se ovviamente ciò non esclude che possa farlo.
Dibattere nella Chiesa
– Ci sono dei temi su cui non si può discutere? Ad esempio, in questi giorni leggiamo che l’insegnamento di Humanae vitae è “infallibile”. È davvero così?
Un certo numero di teologi da subito ha sostenuto che l’insegnamento di Humanae vitae (HV) era infallibile, mentre molti altri, la gran parte, affermava che la nota teologica – vale a dire l’autorevolezza dell’insegnamento – di un’enciclica non appartiene al magistero infallibile. HV, come ogni enciclica, compresa Veritatis splendor (VS), è un documento autorevole, ma senza pretesa di infallibilità.
Io credo che, dentro l’affermazione del papa ricordata all’inizio, sia possibile leggere questa convinzione. Sull’HV, e sulla precedente presa di posizione di Casti connubii – ancor più forte – siamo nel campo della doctrina reformabilis.
Questo non legittima a sostituire frettolosamente la propria idea con l’insegnamento del magistero, avocando a sé un’infallibilità negata a questo, ma apre la discussione teologica, dentro la Chiesa, e perfino la possibilità di un dissenso, tanto per il singolo credente quanto per il teologo. Tale possibilità, a debite condizioni, non è esclusa nemmeno da VS 113. Entrando ancor più nel merito della domanda, la questione per cui alcuni sostengono l’infallibilità di HV sono gli atti intrinsecamente cattivi (intrinsece mala).
– Cioè? Che cosa si intende per “atti intrinsecamente cattivi”?
Negli anni ’70, nel corso di un aspro dibattito sul modo di “fondare” le norme morali, e cioè sul valore e il significato delle norme, alcuni teologi – poi condannati come proporzionalisti dalla VS – hanno sostenuto che non si possa valutare un’azione proibita da una norma se non a procedere dalla proporzione degli effetti che produce.
Ad esempio, si diceva, se il “dire la verità” a un malato lo porta alla disperazione, è meglio tacere o mentire: l’effetto buono – la speranza del malato – diventa moralmente e proporzionalmente più importante dell’effetto cattivo che ne deriverebbe dicendo la verità.
Contro questi teologi, altri – detti deontologi – hanno sostenuto che ci sono atti che, essendo intrinsecamente cattivi, sono condannati semper et pro semper e che nessuna cosa al mondo, nemmeno il papa, li può rendere buoni.
Ora, la contraccezione è considerata un atto intrinsecamente cattivo, insieme a molti altri, come dice il lungo elenco di VS 80.
– E come dobbiamo valutare queste discussioni?
A me pare che, nel dibattito, siano emerse due istanze che chiedono di essere ambedue accolte, in modo diverso. I teleologi – senza cadere nell’estremo di alcuni relativisti, condannati da VS – esigono di valutare gli effetti e le circostanze, e i secondi difendono la validità incondizionata del bene – evitando però di cadere nell’intellettualismo o nel legalismo di alcuni deontologi –.
Come comporre queste due istanze senza negare né l’una né l’altra, ma pensandole insieme? Questo è difficile. Per parte mia, credo che non si debbano negare gli atti intrinsecamente cattivi, ma che insieme occorra pensare in radice che cos’è un atto, superandone un’interpretazione oggettivata, che cioè prescinda dalle circostanze, dagli effetti e dalle intenzioni inscritte nelle azioni dei soggetti coinvolti.
Occorre dunque una valutazione più complessiva, circostanziata, che non si può dedurre semplicemente dall’affermazione “giuridica” delle norme. Del resto, un atto “intrinsecamente cattivo” come l’uccidere, è sempre stato – giustamente – interpretato nei limiti del “non uccidere l’innocente”, introducendo una distinzione – chi è l’innocente? – che fa appello alle circostanze e alla qualità delle intenzioni inscritte nelle relazioni umane segnate dalla violenza.
Un discorso analogo si potrebbe mostrare per quanto è sottinteso nella prassi pastorale introdotta da AL, secondo la quale la relazione sessuale tra due divorziati risposati non è necessariamente adultera.
La fede davanti al nuovo
– A volte nei riferimenti ai papi si parla di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI, o di entrambi. Come se non ci fossero altri insegnamenti, soprattutto sui temi della bioetica. Quale dev’essere il lavoro del teologo per spiegare, approfondire, insegnare? E il fedele come può orientarsi?
La storia della Chiesa, lo sappiamo, è molto lunga. Non mi pare saggio contrapporre un papa all’altro. Il magistero stesso, nella storia, conosce una riforma senza rotture, e anche alcune “discontinuità”, ma nella fondamentale continuità del riferimento al Vangelo. A volte, su singole questioni etiche, ci possono essere variazioni nel giudizio, quando si è nella doctrina reformabilis. Questo è accaduto recentemente con la pena di morte o per la “guerra giusta” o, nel passato, per il prestito a interesse e altro ancora.
Per quanto riguarda la bioetica, una disciplina recente nata per i molti dilemmi legati alla pratica medico-tecnologica, a mio parere sarebbe bene che, prima di definire a livello di magistero, sia bene approfondire e discutere a livello teologico, senza precipitosi giudizi di valore e tenendo conto del necessario discernimento nelle situazioni da parte della coscienza prsonale. Questo richiederebbe cautela negli interventi del magistero e attenzione critica nella teologia.
Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che, nei dilemmi morali, i cosiddetti “casi di coscienza” – situazioni in cui la differenza tra bene e male non è così netta – dal 1500 al 1700 tra i moralisti ci furono molte opinioni contrastanti e anche contraddittorie. In questo caso, il magistero intervenne solo in un secondo tempo, addirittura su sollecitazione delle Università di Parigi e di Lovanio, appunto per dirimere autorevolmente le controversie teologiche.
– Etica Teologica della Vita è un libro di 517 pagine che raccoglie i risultati di un convegno dove diversi teologi discutono un Testo Base. All’interno ci sono tutte le tematiche della vita umana. In che modo orientarsi nella lettura del libro? Quali sono gli aspetti più significativi?
Presentare questo testo in poche battute sarebbe presuntuoso. A me pare che tra il poderoso lavoro del Testo Base, frutto di un impegno di molti intensi mesi, e i tre fruttuosi giorni del Seminario, con gli interventi dei Discussant e dei Respondent, c’è stato un notevole esercizio teologico – com’è stato detto – secondo lo stile della quaestio disputata.
Nel volume troviamo, dunque, un saggio equilibrio tra un testo e la discussione che ne è scaturita, con una pluralità di voci, anche discordanti, ma vivaci e dialetticamente feconde.
Per fermarmi al Testo Base, vorrei sottolineare il suo disegno complessivo sul tema della vita: partendo dalle sollecitazioni di Francesco, si attinge al tesoro delle Scritture, poi si approfondisce l’analisi del tempo presente, in cui vive il destinatario della Rivelazione, e si studia il passato, che ci appartiene, con l’ermeneutica della tradizione teologica e le posizioni del magistero ecclesiastico.
Sullo sfondo di tale cammino, ci si concentra su due questioni radicali: il rapporto circolare tra etica e antropologia e il nesso tra coscienza, norma e discernimento. In tale prospettiva teologico-morale fondamentale, si sviluppano le grandi questioni teologiche legate alla cura della vita e della salute, nella casa comune. La conclusione è dedicata ad un formidabile affresco teologico, che mostra come il compimento evangelico si inscriva nella drammatica della storia.
Solo in questa riflessione sistematica si possono comprendere alcuni nodi che hanno maggiormente attirato le attenzioni e le polemiche, come i temi della generazione responsabile, il fine-vita, la differenza tra etica e diritto, il significato del discernimento.
La vita
– La vita umana è diventata il terreno di scontri ideologici e anche ecclesiali. È difficile far capire che la difesa della vita è la difesa di tutta la vita, di tutte le fasi. Ad esempio, è difficile capire che battersi contro la pena di morte significa difendere la vita. Oppure far comprendere che denunciare i conflitti armati significa difendere la vita. Questo accade perché gli interessi economici e propagandistici hanno afferrato anche temi così cruciali. Qual è la sua opinione?
Più che parlare di “difesa della vita”, perché questo ci mette subito in una logica difensiva, apologetica, sottolineerei che, anzitutto, la vita umana chiede di essere ricevuta, accolta e pensata. Essa non è riducibile a un ambito “regionale”, biologico, psicologico, sociale o politico, economico, ecologico e globale.
I contributi delle scienze umane sono importantissimi e imprescindibili, ma non ci devono far dimenticare che la vita pone una questione radicale. Dalla domanda – che cos’è la vita? – nasce lo stupore, la meraviglia e questo mette in moto il pensiero, l’azione, le emozioni e le relazioni, in inscindibile unità.
La vita è l’esperienza meravigliosa di scoprirsi dati a sé stessi e di scoprire che così è per l’altro e che per questo siamo invitati a prenderci cura l’un l’altro, all’interno della casa comune, che è il mondo in cui viviamo. È evidente che in tale ottica la vita ha un profilo religioso, che rimanda all’Origine e alla sua destinazione: non siamo noi umani a darci la vita e da tale dono siamo sollecitati a rispondere…
Di questa evidenza antropologica noi cristiani siamo chiamati a dare testimonianza: l’unicità e la singolarità della vita umana è un dono prezioso e mortale, che ci chiede di rispondere con impegno grato, a tutti i livelli, che tu hai citato e senza mai dimenticarne nessuno.
– In relazione ad alcuni aspetti di Humanae vitae, qualcuno ha scritto che il papa attuale, da solo, non ha l’autorità di cambiare la dottrina. Eppure noi sappiamo, dagli studi di diversi storici e dalla consultazione degli archivi, che Paolo VI prese posizione contro la contraccezione in completo disaccordo con la Commissione di teologi chiamata a più riprese a studiare il tema e fornire un parere (alla fine la Commissione era formata da 73 esperti!).
Sono ormai ben note le circostanze, realmente complesse, che hanno portato all’enciclica HV. Io ritengo che, al di là dell’importante indagine storica, oggi la teologia abbia maturato una profondità di riflessioni, approfondimenti e concetti, a tutto campo, che ci permettono un passo ulteriore, che non contraddice l’HV, ma ne recepisce lo spirito, senza fermarsi alla lettera di una norma: la generazione è un atto di responsabilità, che si inscrive all’interno della relazione matrimoniale tra uomo e donna. Questo dono reciproco sta all’origine di ogni figlio.
Dinanzi alla grazia del generare i genitori si scoprono recettori e attori, donatari e donatori, passivi e attivi. Questa è l’esperienza meravigliosa che HV chiede di custodire. Come essa si debba declinare nelle condizioni attuali e con le possibilità offerte dalla scienza – non prive di suggestioni e di inganni – questo è ciò su cui abbiamo cercato di riflettere, sia nel Testo Base sia negli interventi seminariali. Il frutto di questo lavoro mi pare un atto teologico sinodale, di grande responsabilità ecclesiale.
Come cristiani siamo chiamati e sollecitati a rispondere al dono e alla benedizione della vita, ricevuta e ri-donata, diventandone testimoni per tutti. La saggezza pratica – la ratio practica di san Tommaso – ci aiuta a discernere come concretamente rispondere al dono di Dio, che è la vita.
– Oggi, con lo sviluppo dei social media, chiunque può argomentare qualunque tesi, anche bizzarra e infondata, e trovare seguito. Come si può fare teologia in tale situazione?
La teologia scaturisce dalla fede: non posso credere senza comprendere, così come il mio comprendere approfondisce la fede di tutti. A questo è chiamato ogni credente, in forza del suo battesimo, anche se è evidente che – come in tutte le cose – tale compito richiede dialogo, competenza, passione e dedizione.
Il rischio dei social è che si accentui una tendenza “da tifo sportivo”, nella quale, più che alla profondità del pensiero, si va subito alle conclusioni, con il rischio che queste confermino il pregiudizio.
Insieme a ciò, il difetto è che tutto possa esser detto in un tweet, un cinguettio, dimenticando la fatica e il rigore del pensare, alla ricerca delle forme pratiche – sempre rinnovate – in cui testimoniare la fede nel vangelo di Gesù.
«La prima, ed in certo senso la più grave, è che anche nella comunità cristiana si sono sentite e si sentono voci che mettono in dubbio la verità stessa dell’insegnamento della Chiesa. Tale insegnamento è stato espresso vigorosamente dal Vaticano II, dall’enciclica Humanae Vitae, dall’esortazione apostolica Familiaris Consortio e dalla recente istruzione “Il dono della vita”. Emerge, a tale proposito, una grave responsabilità: coloro che si pongono in aperto contrasto con la legge di Dio, autenticamente insegnata dalla Chiesa, guidano gli sposi su una strada sbagliata. Quanto è insegnato dalla Chiesa sulla contraccezione non appartiene a materia liberamente disputabile fra teologi. Insegnare il contrario equivale a indurre nell’errore la coscienza morale degli sposi. » (Giovanni Paolo II, 5.6.1987)
Anche da parte di don Maurizio, grazie a tutte le persone che sono intervenute, anche se qualcuno sotto pseudonimo. In ogni caso il numero dei commenti dimostra l’importanza del tema e la necessità di un dibattito. Che però deve essere pacato, serio, aperto al contributo di tutti, senza anatemi. Non così accade su social (leggi Twitter) dove le posizioni della Pontificia Accademia per la Vita ed il libro “Etica Teologica della Vita” sono presentati in modo caricaturale, approssimativo, come se fosse in atto non un dialogo tra teologi ma un tentativo di cambiare la morale matrimoniale. A questo proposito vorrei notare che il libro in questione è un dialogo serrato ed aperto su TUTTI i temi della teologia morale (non solo matrimonio e sessualità!) ed ha un ultimo importante capitolo sulla fase terminale della vita e sul significato complessivo dell’esistenza. Tema difficile, ed andrebbe letto anche questo capitolo (come tutti gli altri…) proprio per non fare presentazioni eccessivamente semplicistiche. Quanto al tema specifico, il dibattito qui si è concentrato sulla morale sessuale-matrimoniale, che ha una storia evidentemente molto complessa. In proposito vorrei invitare ‘IoNessuno’ a non soffermarsi sull’interpretazione esclusivamente letterale di Matteo, anche perché lo stesso evangelista subito dopo fornisce una singolare eccezione che va evidentemente contestualizzata nell’epoca in cui parla il Vangelo. I problemi esegetici in proposito sono molti e assai articolati ed anche gli studiosi hanno diverse posizioni interpretative. In generale direi grazie a tutti e a mio avviso l’atteggiamento migliore per trarre profitto dagli articoli è fare domande agli autori degli articoli stessi. Se invece si desidera fare delle affermazioni, sarebbe opportuno indicarne le fonti, in modo da avviare un dialogo informato e fondato. Ma avremo tempo di ragionarci su, perchè il tema è sempre attuale. Infine grazie alla Direzione di Settimananews anche per il lavoro di moderazione degli interventi (non è cosa da poco!). Fabrizio Mastrofini
Certamente un tempo ripudiare la moglie significava spesso costringerla alla prostituzione o comunque ad una vita ridotta ai minimi termini, non avendo la donna spesso la possibilità di lavorare onestamente. Mi rifaccio quindi al biblista Alberto Maggi quando dice che il divorzio di oggi non è il ripudio dei tempi di Gesù. È cambiato il contesto e bisogna tenerne conto. Gesù sempre dalla parte dei più deboli non poteva accettare che il maschio potesse senza problemi abbandonare la moglie ad un destino molto triste per ragioni futili, come prevedeva la legge ebraica di allora. Oggi c’è il mantenimento che impedisce di ridurre alla fame la moglie.
Quindi occorre tener conto del contesto in cui Gesù parlava. La realtà del ripudio ai tempi di
Gesù non è il divorzio di oggi.
mi sembra una visione molto materialista del matrimonio, che ignora tutta la teologia del sacramento come riflesso dell’unione tra Gesù e la Chiesa
ma anche senza entrare in teologia, si ignora totalmente tutto lo strascico di danni a livello relazione ed emotivo che molti divorzi causano
Come se il non divorziare non producesse esattamente lo stesso stress emotivo. Trovo ingenuo pensare che ubbidire alle regole della chiesa sia per sua natura foriero di maggior gioia. Purtroppo quando la situazione si fa insostenibile vale il concetto dell’accanimento teraputico. Occorre spegnere la macchina.
infatti la Chiesa ha una possibilità in caso che il matrimonio esploda per motivi vari: la separazione
comunque il problema non va affrontato dopo che l’unione è andata a ramengo, ma prima di sposarsi, anche dicendo alle coppie un ‘no’ educativo, perchè ci sono tanti matrimoni che erano già falliti prima di essere celebrati: ne ho uno in famiglia, i due avevano già problemi personali vari ma si sposarono lo stesso, e ora dopo il divorzio non è una bella situazione da vedere, anche per i loro figli
L’ errore consiste nel contrapporre artificialmente ” amore” e “regole” . Ubbidire a delle regole di comportamento che ci sono state rivelate da Dio e’ un atto d’ amore ,prima di tutto verso Dio e poi verso il prossimo. Se Dio ci ha comandato di non. “uccidere” ,obbedire a questa regola e’ un atto d’ amore. Lo stesso vale per l’ adulterio e il divorzio : artificioso contrapporre chi rispetta la regola come troppo ” rigido” verso chi non la rispetta .
La Chiesa moderna ama fare contrapposizioni di questo genere ,dottrina verso misericordia, dogma contro liberta’ eccetera. Ma sono contrapposizioni false alla radice. Chi ama Dio non si pone altro scopo che quello di obbedirgli . Se poi non si crede piu’ in Dio, allora bisogna dirlo chiaramente : dire che nel corso dei secoli si e’ perso la fede in quel che ha sempre insegnato la Chiesa.
“Maggi dixit” quindi cara Anima errante non puoi che accettare il neo-verbo! A nulla serve che il Signore nello spiegare la sua posizione fondamentalista sul matrimonio (che scandalizzava gli apostoli di allora come i progressisti di oggi) non adduceva affatto motivazioni sociali quanto teologiche rifacendosi addirittura alla narrazione della creazione. Maggi male dixit!
Preferisco che si confronta a chi non avendo nulla da dire liquida malamente il contraddittorio come fai tu. Ringrazio anima errante perché pur non condividendo per intero il suo punto di vista concordo su alcuni punti. Specialmente che molti matrimoni sono falliti prima ancora di partire.
Mi pare di aver detto e di non aver liquidato il contraddittorio. “Sapere aude” ammoniva Kant! Usiamo la nostra capacità critica per comprendere le cose. Forse scopriremo che certi maestri hanno spesso torto e che a volte sono più dogmatici e perentori del tanto vituperato Magistero. Io uso argomenti invitò a fare altrettanto: così si fa contraddittorio o meglio si dialoga.
“Un discorso analogo si potrebbe mostrare per quanto è sottinteso nella prassi pastorale introdotta da AL, secondo la quale la relazione sessuale tra due divorziati risposati non è necessariamente adultera.”. Con tutto il rispetto per don Maurizio, che ha offerto la sua vita al Signore e ha studiato certamente più di me, ma siamo certi che AL dica questo? Nella mia comprensione, AL afferma che i cosiddetti “casi limite” non riguardano tanto l’assenza di gravità dell’atto commesso quanto il pieno consenso, che sarebbe viziato da situazioni famigliari complesse (per esempio, il dover crescere dei bambini assieme alla persona con cui si compiono gli atti sessuali).
Inoltre il Vangelo secondo Matteo, al cap 5 versetto 32, recita: “ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”. Queste sono parole attribuite a Gesù stesso. Capisco che il Cattolicesimo non è una religione del libro però mi sembra che si facciano dei ragionamenti molto astratti finendo per contraddire ciò che il Signore ha detto in maniera chiara e semplice e che, tra l’altro, mi risulta essere confermato dalla Tradizione. Guardiamo ai Santi, al loro esempio. Alcuni di loro, come S. Giuseppe, hanno rinunciato ad esercitare la sessualità addirittura all’interno del matrimonio. Se non erro la Tradizione insegna che lo fece anche San Pietro, e non mancano i Santi che hanno seguito il suo esempio (S. Isidoro l’Agricoltore, per citarne uno). Ora, se alcuni Santi hanno deciso di rinunciare (nel nome di Dio) a ciò che era lecito, non dovremmo perlomeno chiedere ai cristiani di rinunciare a quanto illecito? E’ per il loro stesso bene, perché siano Santi. Perché non capiamo che determinate atteggiamenti verso determinate coppie potrebbero scandalizzare coloro che, per non contraddire il Vangelo e non per loro desiderio personale, hanno fatto grandi rinunce rimanendo celibi e nubili (inclusi divorziati, omosessuali, persone che hanno perso una relazione per il loro “no” alla convivenza, persone che hanno detto no al “comprare” uno/a sposo/a da paesi poveri e persone che hanno rinunciato all’amore di una persona perché sposata)? Che non si può sempre caricare l’onere del “non giudicare” e “non invidiare” su di loro, che già spesso vivono una terribile solitudine? E che alcune di quelle persone ferite potrebbero poi dire, perché la contraccezione sì e la pornografia e la masturbazione no? Perché non si pensa a non esporre loro al peccato, che è uno dei principi esposti da S. Paolo? Perché non si pensa che aprire una fessura nel muro potrebbe farlo crollare?
Ovviamente, ripeto, nessuna critica verso don Maurizio che non conosco e che sono certo che, nel nome della misericordia, stia facendo il possibile per “salvare” delle situazioni che nemmeno lo riguardano personalmente. Se ho una critica, è verso SettimanaNews, che trovo sbilanciata verso interventi di questo tipo (in buona fede, per il dialogo, ne sono certo). A mio avviso così si crea confusione tra i fedeli, specialmente tra coloro che hanno fatto scelte importanti per poter seguire il Signore e che si sentono “traditi” da queste discussioni. Io dico una cosa ai teologi di oggi: per favore, non pensate solo ad attrarre chi è fuori dalla Chiesa ma anche a trattenere chi, a costo di grandi sacrifici, è ancora dentro. La confusione fa male, è nemica della Verità. I cristiani (e prima di loro, gli ebrei) di ogni era hanno trovato conforto nelle Leggi di Dio, come recita il Salmo 1. Mistificare, anche involontariamente, queste Leggi non può aiutare la Chiesa. Non ci rendiamo conto di cosa sta succedendo ai paesi protestanti come gli USA e i paesi nord-Europei? Agli abbandoni di massa della cosiddetta “religione organizzata” di qualunque tipo (e qualunque sia la sua dottrina) ed ai “Nones” in aumento? Una maggiore tolleranza, soprattutto in campo sessuale, non si traduce necessariamente in un aumento di fedeli, si traduce piuttosto in un abbandono di una fede che non è più “segno di contraddizione”, e che echeggia le ideologie distruttive di questo mondo.
Io sono un (più o meno) giovane laico, ho circa 30 anni e non sono attratto dall’idea di contraddire l’insegnamento di quasi 2000 anni. Noi (più o meno) giovani cattolici cerchiamo nella Chiesa un riparo dalla postmodernità che è in qualsiasi altro luogo, in primis sul web. Parlando di contraccezione, lo stesso web (Wikipedia e altre fonti) mi dice che è stata condannata da Padri della Chiesa come S. Giovanni Crisostomo, S. Agostino, S. Girolamo; Dottori della Chiesa come S. Tommaso d’Aquino; diversi Papi, anche recenti come Pio XI, S. Paolo VI e S. Giovanni Paolo II. Discussioni come queste, per grazia di Dio, non mi allontaneranno dalla Chiesa (solo Lei ha parole di Vita) ma potranno impattare sul mio quotidiano. Concretamente, se un amico mi chiede un consiglio per conformare meglio la sua vita al piano di Dio, cosa gli dico? Io gli risponderei secondo l’insegnamento del Catechismo, ma dopo qualche minuto sul web troverebbe una persona più autorevole di me (un ipotetico prete teologo, non parlo di don Maurizio) che afferma l’esatto contrario. L’amico non si sentirebbe legittimato a seguire la strada più comoda? Pensiamo alle conseguenze ultime di questi dibattiti.
Finisco dicendo che i “lontani” a mio avviso preferiscono una Chiesa coerente, le cui posizioni sono verificabili nei millenni, piuttosto che una Chiesa che cambia le proprie dottrine per adattarsi al mondo come fanno tante altre religioni. Nel mondo della post-verità, noi (più o meno) giovani vogliamo la Verità. Lo so perché ero un “lontano” anche io, con posizioni ben più estreme di quelle esposte dai c.d. dissidenti.
Poi, se mi sbaglio, per favore fatemelo capire, perché magari sono io ad essere superbo nel credere di potermi confrontare con chi ha studiato più di me, essendo io un semplice fedele. Però, prima di scusarmi, voglio capire perché sia possibile dire qualcosa che sembra contraddire le parole stesse del Signore, la tradizione dalla Chiesa e anche la mia esperienza spirituale. Grazie.
grazie della tua condivisione ioNessuno, molto interessante. Il mio punto di vista è che non si tratta di “contraddire il perenne insegnamento di 2000 anni”, o di fare questo per “piacere al mondo, alle mode o alle nuove generazioni”.
Si tratta di riconoscere umilmente che l’impianto teologico ecclesiastico cattolico ha i suoi punti di forza e le sue evidenti falle. La motivazione di ripensare alcuni punti della dottrina è semplicemente un tentativo di avvicinarsi al Vangelo nella sua semplicità, approfondendo la verità. In 2000 anni di trasmissione della dottrina è chiaro che è stato trasmesso il messaggio originario di Gesù, insieme però anche a distorsioni, esagerazioni, o cose che non si sono ancora completamente capite e ad altre cose che erano proprio sbagliate. Ad esempio la dottrina delle dottrine “definitive”, “irreformabili”, “indiscutibili” è qualcosa che evoca oscuri totem e tabu. E’ veramente questo il linguaggio e il modo di presentare la fede che Gesù desidera? Queste sono domande serie. “Se non ti confessi sacramentalmente rischi di andare all’inferno”- perla di saggezza cattolica: è questa una affermazione meno fondamentalista di quelle che propinano i talebani? Non credo- occorre essere onesti e riconoscere che la teologia cattolica ha molti aspetti che rasentano il fondamentalismo. E’ qualcosa di diverso dal radicalismo di Gesù. Quando vuoi per forza definire tutte le zone di grigio e separare il bianco dal nero, cadiamo nel fondamentalismo.
Perchè Gesù non ha mai parlato di contraccettivi, ma ha insegnato a non cercare la pagliuzza nell’occhio del fratello quando nel nostro c’è la trave.
E forse la parola “intrinsecamente cattivo”, è veramente sproporzionata e il Signore non la userebbe per un preservativo, che a quanto pare rappresenta la principale preoccupazione di certi teologi e famiglie cattoliche. Se hai ragionevoli motivi per farlo usa il preservativo con la tua sposa-o o la tua fidanzata- e il Signore sarà contento di te. Perchè usare un briciolo di buonsenso nelle cose non è contrario agli insegnamenti del Signore, ma è “intrinsecamente positivo” e gradito a Dio. Chi vuole continuare ad uniformare la propria coscienza al talebanesimo cattolico è sempre libero di farlo. Nella vita si potrebbe anche giungere anche alla conclusione che certe scelte che sono state fatte per fedeltà estrema a certi insegnamenti- come perdere la fidanzata per non andare a convivere- forse erano sbagliate, forse gli insegnamenti erano sbagliati e rigidi. Chi comunque ha fatto queste scelte credendo in coscienza di fare bene, e probabilmente al momento in cui le ha fatte ha fatto bene a fare così perchè era convinto che era quella la via da seguire, non perderà la ricompensa e il bene derivanti dalla propria fedeltà. Eppure la chiesa deve continuare a discutere apertamente e ad approfondire la rivelazione e i temi morali, per arrivarne al cuore, cosa che non può dirsi affatto compiuta. E’ un dato di fatto che la chiesa nel passato ha guidato le persone in direzioni sbagliate. Per esempio accettando pagamenti per la penitenza dei peccati, cosa che si chiamava “penitenza tariffata” o vietando la lettura della Parola di Dio ai laici. Mentre ora si raccomanda vivamente a tutti la lettura della parola di Dio. Un amico cappuccino mi ha detto che negli anni 50 in noviziato dovette chiedere il permesso al maestro dei novizi per poter leggere il vangelo, non era permesso ai novizi! ” Continuità della dottrina che mai si contraddice?” Come la mettiamo? Oggi non si fa che parlare di Lectio Divina dappertutto e per tutti. Occorre accettare che il Magistero sbaglia e non è infallibile, neppure quando pretenderebbe di esserlo. Se qualcuno vuole continuare a camminare sopra un castello di specchi è libero di farlo. Non dico che bisogna distruggerlo, ma prendiamolo almeno con un pizzico di sale. Accettando la realtà che, insieme alle cose belle che aiutano ad avvicinarsi a Dio ci sono anche molte cose imperfette e perfino sbagliate. Ed è dovere di coloro che, per grazia di Dio, sono riusciti a tirarsene un pò fuori aprire gli occhi a coloro che ne sono le ignare vittime. Non come dice l’intervistato “avocando a sè una infallibilità che viene negata al Magistero”, quello che è opportuno è solo un briciolo di realismo che porta alla possibilità di un dissenso e di ricezione “critica” del Magistero
Grazie per la risposta, Lorenzo. Riallacciandomi al tuo discorso su semplicità del Vangelo e possibile fallibilità del Magistero, queste sono state le parole del Signore: “Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna.”. Non mi pare che il Signore sia lassista, addirittura arriva a dire che il solo desiderio può essere peccato! Inoltre, se la Chiesa avesse interpretato in maniera fondamentalista questo passaggio, non sarebbe stata condannata l’auto-evirazione praticata da Origene ed altri. E poi, quali sono le conseguenze di un Magistero fallibile? Un uomo lasciato a se stesso in un caos di passioni, stimoli e contraddizioni.
il commento del signor Lorenzo M. a mio avviso ignora uno dei punti centrali del commento di ioNessuno: ci sono tante persone che hanno ‘rispettato le regole’, magari solo in parte, magari con fatica, magari con dubbi, indecisioni, rinunce etc ora vengono ‘lasciati indietro’ e additati a ‘talebani’, ‘fondamentalisti’, ‘rigidi’ e colpevoli di aver fatto scelte sbagliate
in compenso gente che non ha seguito le regole viene detta ‘ispirata’, ‘libera’ e accolta a braccia aperte
e umano che i primi abbiano un grande giramento di balle e si sentano traditi dall’istituzione: ma no, loro non sono degni della nostra compassione
La verità è che ognuno è libero di fare tutto quello che gli pare.
L’importante è che lo faccia con “amore”.
L’amore, l’accoglienza, l’inclusività, l’apertura, la chiesa in uscita ecc. ecc. ecc.
E che se ne vadano a farsi benedire quei rigidi settari che non sono d’accordo.
Ma a farsi benedire da qualcuno che non sia un prete cattolico sennò pure lui sarebbe un tradizionalista senza carità.
Oh, insomma, forse quando avrete la mia età, saprete che il cuore è una bestia indegna di fiducia. Anche la mente lo è, ma essa non parla d’amore. Amore. E una ragazza si butta in acqua, o un bimbo viene strangolato, e il cuore dice sempre amore, amore.
Graham Greene, Il potere e la gloria
La chiesa ha amato le regole più delle persone per troppo tempo per non pagare lo scotto. Quindi con una buona dose di realismo si accetti lo scotto dei troppi errori passati e si vada avanti in parte tamponando dove possibile e in parte ricostruendo una credibilità di chiesa che non passa più per le certezze assolute che qualcuno ancora sbandite con una sicumera degna di miglior causa.
speriamo che la Chiesa da ‘società delle regole’ non diventi l’opposto, ovvero una ‘società dell’arbitrio’, cosa a mio avviso molto peggiore
le regole, pur in tutta la loro pesantezza e insensatezza, almeno ti danno certezza di quello che può accadere; l’arbitrio no