La Facoltà teologica? Un laboratorio di vita ecclesiale

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Don Maurizio Girolami, nuovo preside della Facoltà teologica del Triveneto.

Don Maurizio Girolami, nuovo preside della Facoltà teologica del Triveneto.

Un segno visibile della comunione vivace e dinamica delle Chiese nel Triveneto; un laboratorio che vuole creare spazi di partecipazione per gli uomini e le donne desiderosi di far dialogare il vangelo con l’oggi del mondo; un punto di partenza e di arrivo per riprendere sempre da capo la missione affidata, perché ogni popolo conosca il bene della giustizia e della pace: «Mi piace pensare alla vita della Facoltà come l’Antiochia di Siria dalla quale Paolo partiva e ritornava dai suoi viaggi per pensare e raccogliere i frutti della sua missione; anche la nostra istituzione vuole e può essere un’edizione rinnovata di quel laboratorio apostolico che sa rinfrancare, motivare e far ripartire la missione di aprire l’intelligenza e la vita delle persone alla luce del vangelo».
Don Maurizio Girolami dal primo settembre 2024 diventa il nuovo preside della Facoltà teologica del Triveneto e in questa intervista racconta qual è la sua visione dell’istituzione accademica che guiderà per i prossimi quattro anni.
«Per descrivere le dimensioni fondamentali e le finalità caratteristiche della Facoltà – esordisce – faccio mie le parole che accompagnano il cammino della Chiesa universale verso la seconda sessione del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità: la Facoltà esprime e realizza, in maniera propria, la comunione, la partecipazione e la missione della Chiesa».

– Partiamo dalla comunione.

Nata dalla volontà dei quindici vescovi del Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Trentino-Alto Adige, ritengo che oggi la Facoltà sia non solo una realtà accademica che offre il suo specifico contributo alla ricerca universitaria, ma anche un laboratorio di vita ecclesiale, capace non solo di incidere nella vita delle nostre Chiese, ma anche di diventare promotrice di rinnovamento sociale.

L’impegno formativo di docenti e studenti è opera di comunione, perché lo studio della teologia è un gettare ponti nel tempo e nello spazio per conoscere meglio i cammini di fede di donne e uomini che prima di noi, accanto o lontano da noi, hanno imparato a seguire Cristo.

– Lo studio della teologia è anche uno spazio di partecipazione?

È partecipazione innanzitutto come voglia di esserci e di stare nella storia e nella vita delle persone in questo nostro tempo; in modo particolare, lo studio della teologia è uno spazio perché i giovani, che si affacciano alla vita con i loro desideri, mettano a frutto il dono dell’intelligenza ricevuta per dare un senso pieno alla storia personale in un contesto di legami ecclesiali che valorizzano il dono di ciascuno.

Studiare teologia non significa solo accostare la Bibbia e i documenti della fede cattolica, ma volgersi alla vita delle persone nella loro concretezza.

– E in ambito ecclesiale?

La Facoltà vuole partecipare in modo sempre più intenso alla vita delle nostre Chiese locali, perché è per esse che esiste: i progetti di ricerca che in questi anni si sono avviati, e quelli che verranno aperti nel prossimo futuro, vogliono essere un luogo di riflessione sulla vita delle comunità cristiane, perché si possa pensare la fede con ogni intelligenza possibile, in un continuo dialogo con il tesoro della tradizione e in una inesausta ricerca di sapienza nei molti ambiti in cui si spiega la storia umana.

Lo studio della teologia non è un tempo dedicato a una qualche teoria da applicare alla prassi, ma – ben radicati alla fonte della rivelazione e guidati da acuto spirito critico – un imparare modelli e criteri per capire, per discernere e per agire, affinché ogni generazione possa vivere la gioia del vangelo dando il proprio specifico apporto a creare un mondo più giusto e fraterno.

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– Qual è la missione della Facoltà?

Mi piace paragonarla alla scalata di una montagna molto alta, la cui vetta è raggiungibile almeno da tre versanti diversi: l’insegnamento, che è come un sentiero battuto e sicuro, grazie al quale si impara a misurare le proprie forze, a essere attenti a chi cammina con noi, a imparare a desiderare la meta; la ricerca, che è come un sentiero poco battuto, una via intravvista, ma ancora poco segnata.

Il terzo sentiero, non meno importante, è quello che resta più esposto ai dirupi ma anche ai panorami più mozzafiato: è quello dei progetti di ricerca, con i quali i professori attivano percorsi di approfondimento su temi ecclesiali e di attualità sociale per darsi un metodo di pensiero e, così, poter offrire alla Chiesa e alla società strumenti più adatti per affrontare e risolvere i problemi del nostro tempo.

– Come tenere il respiro della Chiesa aperto al mondo?

Le collaborazioni già avviate con il Kenya e la Thailandia ci dicono che la Facoltà tiene desta l’attenzione sulla vita di quei popoli e di quelle Chiese che hanno molto da dare all’intelligenza del vangelo. Lo sguardo alle Chiese più giovani non fa certo dimenticare l’amore alle Chiese di antica tradizione, ormai segnate dalla scarsità di presenza cristiana, come quelle che sono in Medioriente (Israele, Palestina, Turchia) e in Africa del Nord.

Allargare gli orizzonti è prendere coscienza che nessuna Chiesa, per quanta storia possa avere alle spalle come quella in Europa, può essere tale senza il dono delle Chiese più giovani e certamente più vitali.

In questo senso, sono e saranno importanti i progetti di ricerca e di dialogo con comunità cristiane cresciute in altre culture.

– Quali sono le attenzioni che la Facoltà metterà nella formazione per il prossimo anno accademico, quali pilastri sorreggeranno la formazione?

Le attenzioni sono quelle espresse da papa Francesco nella Veritatis gaudium: gusto sapienziale dello studio, teologia in ginocchio consapevoli che il mistero di Dio è più grande, metodo della interdisciplinarità e della transdisciplinarità.

Lo studio della teologia, per un credente, ha come fine la professione di fede che ha una sua intrinseca dimensione comunitaria e necessariamente personale.

L’impegno a poter professare la fede non è opzionale alla realizzazione umana, ma sua piena fioritura.

Lo studio della teologia, perciò, è un servizio a una visione integrale e compiuta dell’umanità; è prontezza a criticare ogni forma di riduzionismo della dignità delle persone; è attenzione a cogliere in ogni elemento umano il dialogo con il divino.

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– Quali attenzioni richiede oggi la didattica in una facoltà teologica?

La questione didattica oggi si pone come decisiva per una buona trasmissione dei contenuti e per la costituzione di relazioni personali intergenerazionali che favoriscano la maturazione umana di tutti.

La didattica, infatti, non è una serie di tecniche per apprendere, ma un multiverso fatto di relazioni e contenuti di cui il docente è chiamato a tenere conto, affinché il suo insegnamento e la sua testimonianza cristiana siano efficaci.

Molto dipende dalla preparazione del docente, non solo come cultore della materia che insegna, ma anche del suo modo di porre domande, intercettare bisogni, analizzare il contesto sociale contemporaneo, creare legami tra il vangelo e la vita di oggi.

C’è ancora strada da fare, ma il cammino è già iniziato bene, stando al gradimento globale dei nostri studenti.

– A quali bisogni formativi (che stanno cambiando in fretta, per tanti motivi) cercherà di rispondere la Facoltà nei prossimi anni?

Lo studio della teologia è intrapreso principalmente da persone che vogliono imparare a rendere ragione della fede ricevuta nel battesimo, essendo questo la sorgente di tutta la vita cristiana. Perciò, in generale, è compito specifico della Facoltà far maturare la consapevolezza dei doni ricevuti per metterli a servizio della vita della Chiesa.

Le nostre comunità cristiane non potranno diventare polmoni spirituali per la gente del nostro tempo, se non si va oltre all’idea che la vita di fede si risolva nella partecipazione a qualche celebrazione.

– In particolare, quale attenzione viene posta verso la ministerialità laicale, per chi è e sempre più sarà chiamato a svolgere un servizio pastorale o nell’ambito educativo e sociale?

Il tema dei ministeri richiama un altro motivo importante per lo studio della teologia, che è quello della diversità.

La tradizione ecclesiale che ci sta alle spalle, in molte delle nostre comunità, concentra ancora molto sul ministero presbiterale, come se questo fosse l’unico a garantire la vita ecclesiale.

Proprio la situazione dei seminari, con l’esiguità dei candidati alla vita presbiterale, ci ricorda che anche questo indispensabile ministero, senza gli altri, cade.

Sarebbe interessante studiare un po’ più a fondo il fenomeno e chiedersi se la crisi delle vocazioni al sacerdozio non abbia come causa solo il secolarismo culturale, ma derivi anche dall’impoverimento di carismi e ministeri dovuto a una visione troppo clericalizzata della Chiesa.

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– Oggi però nei servizi ecclesiali il volontariato gratuito resta l’ossatura principale di tante iniziative e la cosa non appare più sostenibile.

Senza dubbio è necessaria una riflessione per poter sostenere, anche economicamente, ministeri e servizi: bisogna stimolare le comunità cristiane a supportare i servizi di cui hanno bisogno.

Per i presbiteri e i vescovi italiani conosciamo il modello dell’8×1000, ma questo importante strumento ha forse generato, come è stato sottolineato da più parti, una sorta di deresponsabilizzazione del popolo di Dio nel cercare iniziative e proposte per attuare la condivisione dei beni.

Le Chiese più giovani e anche più povere sanno essere più pronte a testimoniare la condivisione dei beni di quanto le nostre, più antiche, sanno fare oggi.

– Eppure la storia della Chiesa, con diversi esempi, mostra una dottrina sociale imperniata sui principi fondamentali della solidarietà, della sussidiarietà e della destinazione universale dei beni: un buon uso del microcredito, l’autotassazione, una gestione economica con gruppi di famiglie che condividono un progetto comune…

In tal senso ci sono diversi esperimenti in Italia e all’estero. Si tratta non di creare apparati burocratici paralleli a sistemi economici già complessi, ma di aprire spazi di azione perché chiunque vuole servire il vangelo abbia il suo giusto salario.

Tra le sfide del prossimo futuro per la Chiesa che è in Italia c’è quella di rendere tutto il popolo di Dio partecipe e responsabile, anche economicamente, della vita dei ministeri e dei servizi di cui ha bisogno per servire il vangelo di Cristo.

– La storia della Facoltà è direttamente legata alla formazione del clero, già da quando nacque lo Studio teologico per volontà di Urbano V nel 1363, poi rinnovato dal vescovo Gregorio Barbarigo. In quale ottica si sviluppa oggi la formazione dei futuri presbiteri?

È compito specifico della Facoltà aiutare i candidati al ministero ordinato a trovare motivazioni solide, robuste, ragionevoli e sensate a un tipo di vita che oggi, da tanti punti di vista, sembra aver perso lucentezza e fascino per molti giovani.

L’attenzione al tessuto sociale ed ecclesiale, per l’indole pastorale-pratica della Facoltà, non può farci chiudere gli occhi di fronte a vissuti ministeriali affaticati e privi di slancio. Non certo per mancanza di generosità o di fede da parte dei ministri, ma perché, essendo il loro ministero scaturito dalla Chiesa e per la Chiesa, non può essere nutrito che dalla vita della Chiesa stessa e cioè dalla vivacità di fede delle comunità cristiane.

Invece, troppo frequentemente, un ministro si trova in ampi spazi di solitudine e di marginalità, perché privato di tutti quegli elementi che costituiscono la comunità. Non si tratta di solitudine affettiva, ma di isolamento pastorale e di disinteresse sociale.

La Facoltà, che raccoglie seminaristi e religiosi di diverse diocesi e comunità religiose, crede che nello studio affrontato assieme si possano creare legami di amicizia e di passione apostolica affinché in ciascuno nasca la voglia di corrispondere al meglio alla vocazione ricevuta.

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– Tra i progetti di ricerca avviati (forma straordinaria della penitenza, famiglia, economia e teologia, diritto e teologia, Bibbia e antropologia), ce n’è anche uno sull’intelligenza artificiale, tema già pervasivo in tanti ambienti della vita sociale. Che tipo di attenzione sarà data a questo tema?

Cercheremo di scorgere tutte le potenzialità che tale innovazione tecnologica può portare a una vita umana più giusta e fraterna. Come ha avvisato papa Francesco in diverse circostanze, si tratta di assumere questo strumento per una crescita di tutta l’umanità, evitando che aumentino le disuguaglianze sociali ed economiche che sono spesso all’origine di guerre e di ampi spazi di povertà.

Le novità tecnologiche non sopprimono quelle consolidate: ad esempio, la radio non ha soppresso i giornali, così come internet non ha abolito la carta stampata. Si tratterà di mantenere aperta la riflessione sulla comunicazione umana che conosce oggi strumenti impensabili solo dieci anni fa. La posta in gioco non è la possibilità tecnica, ma un’antropologia che consideri ogni persona e tutti gli uomini come soggetti di dignità e rispetto nell’orizzonte della destinazione universale dei beni, anche quelli tecnologici.

 – La Facoltà ha un indirizzo di studio e di ricerca che si definisce “pratico”. Che cosa significa e come si declina la teologia in dimensione pratica?

La dimensione pratica della teologia non è togliere valore all’aspetto teoretico e di certo non coincide con la mera elaborazione di progetti pastorali da sperimentare sul campo. Si tratta, piuttosto, di rendere il vangelo credibile e affidabile oggi, nella chiara consapevolezza che il vangelo eterno vale sempre e che nessuna sua applicazione e realizzazione storica può esaurirne la ricchezza. Papa Francesco in Evangelii gaudium (nn. 231-233) aveva espresso bene lo spirito della dimensione pratica della teologia con quella frase icastica ed efficace: “la realtà è superiore all’idea”.

Lo studio della teologia serve ad amare la realtà per quella che è, per imparare a servirla affinché diventi portatrice di vita. Se la teologia viene capita come un pacchetto di idee, sopra o accanto alla realtà, essa diventa uno sforzo di scarsa utilità per la vita umana. Il metodo pastorale-pratico vuole invece essere non solo utile, ma fruttuoso per ciascuno e specialmente per la vita ecclesiale.

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