Che ci sia un Dio onnisciente, onnipotente e amorevole in questo universo, non è molto evidente, almeno se sentiamo i telegiornali della sera. Ancor più dopo l’attacco terroristico nello Sri Lanka.
Dov’è la risurrezione in tutto questo? Perché Dio sembra così inattivo? Dov’è la vittoria pasquale?
Il Dio che la morte e la risurrezione di Gesù ci rivelano non corrisponde molte volte alle nostre aspettative, non perché le disattende ma perché le supera infinitamente.
Ciò che insegna la risurrezione è che Dio non interviene con forza per fermare il dolore e la morte. Invece agisce per riscattare il dolore e far giustizia della morte.
Il bene e la verità trionferanno sempre, ma questo trionfo deve essere atteso, non perché Dio vuole che sopportiamo il dolore come una sorta di prova, ma perché Dio, a differenza di noi, non usa la forza o la violenza per raggiungere il suo obiettivo. Dio usa solo l’amore, la verità, la bellezza e la bontà e Dio si serve di tutto questo, incorporandoli nell’universo stesso.
Dio ha creato l’universo attraverso il suo Logos e questa è la ragione immanente che regola l’universo intero. «Tutto è stato fatto per mezzo del Logos e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,3). Il Logos è la ragione di Dio, di tutto ciò che esiste, e questa matrice divina non è altro che la connessione di tutte le cose. In virtù del Logos/legein (connettere) tutte le cose – quindi anche ciò che facciamo di bene o male su questo pianeta – è in relazione a tutto l’universo (la fisica quantistica parla di entanglement).
L’universo è come un grande corpo che dipende per la sua salute da un sistema immunitario che possa, sempre, riportare il corpo alla sua salute. Come il sistema immunitario è una complessa rete integrata di mediatori chimici e cellulari, di strutture e processi biologici, sviluppatasi nel corso dell’evoluzione, per difendere l’organismo da qualsiasi forma di attacco chimico, traumatico o infettivo alla sua integrità, così il Logos “incarnato” ha la funzione di difendere con cura il corpo dell’universo dal male.
Dio non ha bisogno di “intervenire” nell’universo poiché è già di casa, abita nel cosmo (cf. Gv 1,11) attraverso il Logos che è la matrice (dal lat. matrix -icis “madre; utero”) di tutte le cose. Dio non ha bisogno, quindi, di intervenire come fa un supereroe alla fine di un film di Hollywood, usando violenza fisica e morale, per mostrarsi vincitore sui cattivi, salvando in extremis i buoni dal dolore e dalla morte.
Dio inter-viene poiché pre-viene già con il suo Logos immanente, cioè il suo Progetto divino. Questa matrice divina fa sì che l’universo si metta a posto da sé, come fa il nostro corpo quando viene attaccato da un virus. Il sistema immunitario fa il suo lavoro, anche se, a breve termine, ci sono dolore e morte. Ma sempre, alla fine, i diritti e la salute dell’universo vengono vendicati e ristabiliti.
La matrice divina di questo Logos, la Sophìa (in greco) o Hochmah (in ebraico), si è rivelata in Gesù di Nazaret. La “regola” o la “logica” dell’universo sono rivelate nello stile di Gesù. «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,24-25). Il cristianesimo – così come il buddhismo, le altre religioni e i sistemi naturali – suggerisce che questa “regola” universale è un paradigma di trasformazione, secondo il quale la morte non è evitata, ma trasformata. Gesù ha svelato il paradigma cosmico di tutte le cose diventandone consapevole, vivendolo e annunziandolo.
In poche parole: se facciamo il male, questo non porterà mai del bene, poiché la matrice dell’universo, il suo “Logos”, la sua ragione immanente non la integrerà in se stessa. Il Logos svolge una funziona analoga a quella della legge del karma della religione e filosofia indiana. «Se il giusto si allontana dalla giustizia per commettere l’iniquità e a causa di questa muore, egli muore appunto per l’iniquità che ha commessa. E se l’ingiusto desiste dall’ingiustizia che ha commessa e agisce con giustizia e rettitudine, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà» (Ez 18,26-28). L’uomo non è “condizionato” dal destino o da un decreto divino: qualcosa di arcano e misterioso che decide e stabilisce le sorti della nostra esistenza. L’uomo è condizionato dalle proprie azioni, buone o cattive che siano, e condiziona a sua volta l’universo con le sue scelte.
Grano (bene) e zizzania (male) crescono insieme, ma il male non viene strappato via per non sradicare insieme con esso il bene (cf. Mt 13,24-30). Nel frattempo, il seme di bene caduto in terra patisce la morte, cosicché sia integrato nella vita-che-non-muore. Morte e vita sono due facce della stessa medaglia; non si può avere l’una senza l’altra. Ogni volta che ci si arrende alla realtà, ogni volta che ci si affida alla morte, si raggiungono livelli più profondi e si scopre un sé più grande oltre a sé. «Per me vivere è Cristo e morire è un guadagno» (Fil 1,21).
Il tempo della mietitura è il momento in cui il Logos integra, assumendolo e trasformandolo, tutto quanto gli è divenuto simile. «Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2-3). Il Bene integra in se stesso – divenendo “uno” con lui – quanto di bene è presente nell’universo e lo fa vivere per sempre, mentre ciò che c’è di male e di veleno di morte tornerà indietro a noi in un modo o nell’altro, è perduto e muore per sempre. «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).
Ogni nostro atto, di bene o di male, è sottoposto al giudizio di questo Logos cosmico senza eccezioni (cf. l’espressione biblica: necessario che…). Molte volte questo giudizio “universale” ineludibile e necessario non si avvera immediatamente. Può darsi che ci metta un po’ di tempo (per esempio: tre giorni, ma molte volte richiede molto più tempo) e ciò ci rende confusi e perplessi. Ci fa chiedere: «Come mai Dio, la verità e il bene non scendono dalla croce a vendicare i giusti, le vittime e i martiri?».
La Pasqua ci rivela “come” agisce la matrice immanente dell’universo. Il bene alla fine, senza eccezione alcuna, trionfa, e il male, svelato nella sua vergogna, è sconfitto.
Paolo Gamberini, gesuita, scrittore e docente di Teologia sistematica alla Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale “Sez. San Luigi” e in università americane (Chicago, Berkely, San Francisco, Boston), attualmente risiede presso la Cappella universitaria “La Sapienza” di Roma; tiene conferenze, ritiri spirituali e insegnamenti in vari centri teologici e di ricerca.
Non è il piano di Dio che si evolve ma che il piano divino orienta e fa muovere tutto (dunque evolvere) verso il Bene. Di fronte al dolore e all’abbandono nemmeno Gesù si è fermato (come lei suggerisce), ma ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”? L’interrogare è insito nel “rogare” ovvero nello stare della preghiera e nel grido di Gesù e in quello che si ode a Rama. Se si grida vuol dire che la domanda di senso è ben più potente . Ed è questo senso di bene che mi fa domandare davanti al male e chiedermi: Che senso ha tutto questo? Questo senso del bene è potente su tutto e in tutte le cose. L’onnipotenza di Dio si manifesta nel rendere le cose create capaci di essere portatrici di salvezza: “Le creature del mondo sono portatrici di salvezza” (Sap 1,14). Senza l’onni-potenza di Dio, si rende Dio impotente dinanzi al male. Ha ragione Rahner che afferma: «Al fine di tirarmi fuori dal mio fango e dalla mia sfortuna, in verità non mi giova nulla se le cose vanno schifosamente allo stesso modo anche a Dio» (in H. VORGRIMLER, Comprendere Karl Rahner, Morcelliana, Brescia 1987, 167).
Questo è l’esito tragico a cui giunge la sua posizione.
“Senza il male fisico non ci sarebbe creazione.” ha basi scritturistiche? Sì. “Tutta la creazione geme e soffre le dogli del parto fino a oggi” (Romani 8,22). Qui, inoltre una citazione di San Tommaso: “Creatura est tenebra in quantum est ex nihilo” (S. TOMMASO, De Veritate, q.18, a.2, ad quintum)
Romani 8,22 si riferisce alla creazione decaduta dopo il cosiddetto peccato originale e non com’era in principio. Quindi la sua affermazione mi pare del tutto arbitraria.
La questione di base può essere vista in due modi:
1. Gesù ci ha già salvati. Bisogna solo attendere il compimento come evoluzione.
2. Gesù ci salverà. È primizia di risurrezione ma la salvezza definitiva avverrà con la seconda venuta di Gesù che potrebbe anche non trovare la fede sulla terra.
Entrambe le posizioni possono essere sostenute con opportuni copia/incolla dal nuovo testamento tralasciando ciò che fa problema.
Mi perdoni ma la teologia ha sempre fatto così. Solo i testi sacri tengono insieme la contraddizione.
La teologia dovrebbe piuttosto chiedersi cosa vuole Dio e perché non ha ancora mantenuto tutte le promesse invece che limitarsi a dire che è tutto sotto controllo.
Comunque non si preoccupi, il problema è mio. Le auguro un buon lavoro.
Non mi pare che Gesù si sia “affidato alla morte” per “raggiungere livelli più profondi” ma si sia affidato al Padre. Mi sembra anche di ricordare che per San Paolo la morte sia l’ultima nemica ancora da sconfiggere. Ma non sono un teologo. In qualsiasi caso se la morte anche di un solo innocente (come lo erano le vittime dello Sri Lanka) fa parte del piano divino cosmico allora è un Dio crudele.
Gesù si è affidato alla realtà più profonda di sé (la Vita) e di Dio (il Mistero). Gesù in questo affidarsi al silente Mistero si è consegnato alle concrete circostanze in cui poter esprimere la sua Vita. Affidandosi alla morte l’ha attraversata con l’amore. Si è abbandonato alla morte perché non gli faceva più paura. L’amore è più forte della morte. Ecco perché è “risorto”. “Chi sta nell’amore, dimora in Dio” (1Gv 4,18). Nulla sfugge al piano divino cosmico non perché ciò che accade è “voluto” o “permesso” da Dio ma perché la creazione è custodita nell’amore creatore di Dio. In quanto finita ed imperfetta, la creazione è segnata dal male fisico: morte e sofferenza. “Infatti noi sappiamo che fino ad ora tutto il mondo creato geme insieme ed è in travaglio” (Rom 8,22). Senza il male fisico non ci sarebbe creazione. Non Dio, ma chi ha inflitto “volutamente” la morte a degli innocenti, è crudele e colpevole di male morale. Ma il piano divino cosmico fa sì che tutto ciò che è bene evolva verso la piena liberazione dal male fisico e morale, “per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio” (Rom 8,21).
“Senza il male fisico non ci sarebbe creazione.” ha basi scritturistiche?
È tutto molto consolatorio ma personalmente rifiuto un piano divino che si “evolve” perché è qualcosa di estremamente tragico. Penso, per esempio, che una madre che ha perso un figlio se ne freghi abbondantemente dell’evoluzione cosmica…
“Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata, perché non sono più.” Mt 2,18
Il problema è che si cerca di far tornare i conti per garantire l’onnipotenza di Dio invece di fermarci di fronte al mistero di un Dio crocifisso e risorto nella carne.