Intervento dell’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, al XXVII Congresso Nazionale dell’Associazione Teologica Italiana svoltosi presso la Sezione “San Luigi” della PFTIM.
Carissime e carissimi tutti,
sono felice di incontrarvi questa mattina e di potervi dire personalmente il mio “grazie” per aver scelto Napoli come casa per questi giorni di riflessione, di studio, di condivisione, di amicizia.
Qualche mese fa, come sapete, il Signore è venuto a bussare alla mia porta, inviandomi in questa “grande città”, un po’ come fece con il recalcitrante profeta Giona inviato a Ninive, luogo abitato da una moltitudine di uomini e creature amate oltre ogni misura da Dio, che sognava per loro un futuro di giustizia, di riconciliazione, di misericordia, di pace, oltre ogni attesa e previsione personale che il profeta stesso (!) potesse elaborare.
Ogni città, come Ninive, come Napoli, è un luogo teologico, un ambone da cui Dio parla, ma anche grembo in cui Egli si incarna, si comunica, senza smettere di essere quel Dio che “largheggia” soprattutto con i più piccoli e poveri. Ricordate? L’Apostolo Paolo nel promuovere la colletta in favore dei cristiani bisognosi di Gerusalemme (cf. 2 Cor 8-9), cita il salmo 112, narrando quel Dio che da buon teologo-missionario conosce, ama e serve con tutto se stesso: “Ha largheggiato, ha dato ai poveri; la sua giustizia rimane per sempre”.
Questo Dio, che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, spinge incessantemente tutta la Chiesa per renderla sempre più disponibile ad andare incontro all’uomo, ad ogni uomo e ad ogni donna, per condividere la buona notizia della resurrezione, dell’amore che sconfigge la morte, che vince ogni morte, non solo quella fisica ma anche quella interiore e quella sociale. Di questo annuncio vivo le nostre città, i vari contesti umani hanno terribilmente bisogno. E noi, come Chiesa, non vogliamo essere latitanti!
In questo tempo abbiamo bisogno, perciò, di una teologia che sappia ascoltare la Parola di Dio, imparando a sentirne l’eco e a decifrarne i codici tra le tante parole e le molte grida che salgono dalla città dell’uomo. Per il servizio a cui sono stato chiamato, nel pensare al grido della città, non posso non pensare alla mia terra, a questa mia città partenopea che rappresenta per me l’altare presso cui Dio mi chiede di celebrare ogni giorno la Pasqua. Per questo vorrei condividere brevemente con voi alcune suggestioni teologiche che nascono dall’ascolto di questa città.
Il mare
Napoli è una città di mare, una madre accovacciata sul Mar Mediterraneo con lo sguardo rivolto ad un orizzonte ampio. Abbiamo bisogno di una teologia del mare, capace di riflettere i colori del cielo, le sfumature di Dio, per irrorare con le proprie onde le differenti sponde dell’umanità, portando ventate di freschezza, di vita, di speranza. La teologia deve favorire un mare navigabile, capace di generare incontri, di diventare crocevia di contaminazioni inaspettate, dove le differenze degli uomini si armonizzano nell’abbraccio inclusivo di Dio.
La teologia, come il mare, deve avere un orizzonte ampio, nella consapevolezza che l’orizzonte è qualcosa verso cui si naviga ma che non si possiede mai del tutto. Vorrei chiedervi di possedere sempre e di non perdere mai questa sana umiltà nei riguardi del mare e di quanto rappresenta. Noi non siamo il mare. Ne siamo solo servi per permettere che gli incontri accadano e non smettano di accadere. E che le diverse visioni non abbiano mai a far diminuire la stima verso il mare e la sua sconfinata grandezza.
Il fuoco
Napoli è una città di fuoco, sorvegliata dal grande monte vulcanico del Vesuvio, che come un padre severo ricorda ai suoi figli le proprie radici sotterranee, fatte di magma e di fuoco.
Abbiamo bisogno di una teologia del fuoco, vissuta con la passione degli innamorati, consumata dalla voglia di non tener racchiusa nelle proprie piccole e grette mura, il roveto ardente ricevuto in dono, senza alcun merito, per pura grazia. Il nostro mondo ha bisogno del fuoco del Vangelo, ha bisogno di ritrovare il calore dell’incontro con il Signore della vita e della speranza.
E attenzione: se a volte la gente risponde con freddezza al nostro annuncio, domandiamoci con coraggio se le nostre parole erano capaci di riscaldare, se erano frutto di un incontro appassionato o se non erano piuttosto astrazioni disincarnate o peggio cose belle e importanti, ma dette con lo sguardo delle abitudini noiose.
Siamo – come dice la Scrittura – “figli di santi e profeti” e così desideriamo vivere adempiendo il nostro ministero, senza mai finire per essere “scribi e farisei”, omologati, narratori annacquati di un dio che non ha più parole (e parole d’amore!) per questo tempo e per questa storia. Attenti, perché è in gioco la fedeltà e siamo esposti anche noi al tradimento del mistero dell’Incarnazione, mistero che si rinnova qui e oggi, di giorno in giorno.
Abbiamo davvero tutti bisogno che lo Spirito accenda nei nostri cuori il fuoco del Vangelo!
Il sangue
Infine, Napoli è una città di sangue e non solo perché custodisce con tenerezza simbiotica la famosa reliquia del suo Patrono Gennaro, ma anche perché è bagnata dal sangue di tanti dolori silenti, di tante vite spezzate, di tanti sogni caduti sul suolo dell’indifferenza, di tante vittime innocenti del male, dell’ingiustizia, della corruzione. Napoli è una città da cui il sangue di Abele grida continuamente a Dio e da cui Dio rivolge senza sosta la domanda primordiale rivolta a Caino: “dov’è tuo fratello?”.
Non vi nascondo, che tante volte come Pastore di questa nostra amata Chiesa, mi sono chiesto quanto siamo capaci come comunità cristiana di raccogliere questo sangue, queste grida, queste vittime… Possiamo certamente far crescere quella maternità che a tutta la Chiesa è chiesta, specie verso i figli più lontani e dispersi, più fragili e più piccoli, schiacciati e oppressi. E dobbiamo essere di più Chiesa Madre perché – come ci ricorda papa Francesco nella Christus vivit (n. 75) – anche la società sia madre e madre solidale.
È per questo allora che abbiamo bisogno di una teologia di sangue, bagnata dal sangue di Cristo, fecondata dal sangue dei martiri, rafforzata dal sangue degli ultimi, una teologia capace di sostare dinanzi alla cattedra delle vittime di questo nostro Sud e di ogni Sud del mondo, di ogni Sud esistenziale, per essere strumento di liberazione e di giustizia.
Una teologia pronta a ribaltare la logica del mondo con la potenza del Magnificat, diventando profezia di cieli nuovi e di terre nuove. I nostri studi, le nostre parole, le nostre cattedre, le nostre aule teologiche non devono mai essere solo luoghi informativi, dove ci si scambia qualche nozione e si accrescono i saperi accademici, ma devono diventare sempre più luoghi formativi e performativi, culle in cui accade qualcosa di unico e di utile alla gestazione del Regno.
Chiedo scusa, grazie a tutti per la vostra attenzione e buon lavoro a tutti voi!”