Se la valutazione etica dei teologi moralisti può dirsi in qualche modo omogenea o, perlomeno, concorde, nel negare – nel nostro contesto temporale e tecnologico – qualsiasi possibile legame tra guerra e giustizia, il giudizio si fa più complesso e articolato nel valutare la liceità etica dell’uso delle armi, nella tutela che un Paese fa del proprio territorio e dei propri cittadini, nel caso di un’ingiusta aggressione in atto, come drammaticamente sta accadendo in questi giorni da parte della Russia a danno dell’Ucraina.
Il problema cruciale che si pone alla nostra riflessione teologica oggi è il problema della legittima difesa: è legittimo difendersi? Ed eventualmente con quali mezzi?
Qualche interrogativo
La difesa, infatti, proprio perché è difesa – e non attacco – è semplicemente finalizzata a disarmare – o al più – a respingere l’attacco, non certo a compiere atti di rappresaglia, che avrebbero più il sapore della vendetta che quello della giusta e legittima tutela della propria incolumità.
La legittima difesa comunitaria violenta ha per scopo – e nessun altro può averne legittimamente – il puro vim vi repellere. Le condizioni che, secondo l’insegnamento tradizionale, consentono di parlare di un’oggettiva e legittima difesa sono:
- Una giusta causa grave e diretta.
- Un’autorità competente: cioè, possono decidere il ricorso alla legittima difesa soltanto coloro che legittimamente sono preposti alla cosa pubblica e al bene comune.
- Una retta intenzione: cioè, l’intenzione effettiva di difendersi per respingere l’aggressore e per ristabilire una vera pace nella giustizia; che non sia, cioè, il pretesto per altri scopi.
- Rimedio estremo o “ultima ratio”, cioè che non vi siano altri rimedi per sanare la controversia.
- La probabilità del successo, cioè di conseguire il ristabilimento del diritto leso, onde evitare che ad un primo danno subito se ne aggiungano altri più gravi.
- Proporzionalità tra il fine giusto che si persegue e i danni che, per sé e per gli altri, possono derivare. Su questo criterio c’è un grande dibattito tra i moralisti cattolici in quanto taluni ritengono che oggi la tecnologia moderna, lo sviluppo delle armi chimiche, biologiche e nucleari e l’avvento della guerra aerea con tutte le possibili immani capacità distruttive di uomini e cose non rende mai più possibile la proporzionalità tra mezzi e fine, tra il pur giusto e legittimo bene da conseguire e il male globale che si provoca anche oltre i confini dei belligeranti.
Tuttavia, la condizione della proporzionalità resta valida nella misura in cui l’azione militare si contiene entro i limiti della legittima difesa. Il timore che, con le potenzialità di cui si dispone oggi, si possano facilmente superare questi limiti, induce l’autorità morale della Chiesa a scongiurare ogni guerra.
Concilio Vaticano II
Sebbene la legittima difesa sia per se stessa un diritto indiscutibile, discutibile è invece il modo di attuazione: vi è una modalità adeguata e proporzionata (uso di legittima difesa) e una modalità inadeguata e sproporzionata (abuso di legittima difesa). Un punto di partenza chiaro per tutti gli autori è senz’altro quello della lettura e dell’ermeneutica del testo di Gaudium et spes 79: “E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma altra cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, e altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. Né la potenza bellica rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto”.
Questo testo, di fatto, offre molteplici possibilità di lettura e di interpretazione, lasciando lo spazio a diverse elaborazioni teologiche. Il problema etico della legittima difesa, anzi, diventa in qualche modo la cartina al tornasole della fragilità della riflessione ecclesiale sulla pace, riflessione che, appena svincolatasi dal giogo della teoria della guerra giusta, fa ancora fatica a trovare delle soluzioni veramente giuste, ma anche praticamente efficaci.
Ciò che, pertanto, rende molto più complessa la riflessione morale sulla legittima difesa, rispetto a quella sulla guerra, è il fatto che praticamente nessuno è disposto, almeno in linea di principio, a negare questo diritto all’autotutela; in caso contrario, a livello pratico ciò comporterebbe la rinuncia alla lotta per la giustizia in un mondo fatto di ingiustizie. E davvero, su questo principio teorico della giustezza e dell’assoluta legittimità di questo diritto c’è l’unanimità da parte dei teologi: anche sulla scorta del testo di Gaudium et spes, esso è riconosciuto e indubbiamente affermato come sacrosanto. I dubbi, viceversa, riguardano le modalità, in cui questo diritto può e deve essere esercitato, perché, esse non sono moralmente indifferenti.
Il Concilio Vaticano II riafferma il diritto di ogni stato a una legittima difesa, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, ma si nega che oggi tale principio possa trovare ragionevole applicazione, nel senso che la distruttività della guerra moderna, anche quella condotta con armi convenzionali, supera di gran lunga i limiti di una legittima difesa.
Difendersi legittimamente, dal punto di vista etico, significa fare il minimo indispensabile per disarmare l’avversario: ma, nel caso della forza degli ordigni bellici contemporanei, una difesa intesa in questo modo sembra per lo più un miraggio, un’utopia; al contrario, tutto ciò che appare ed è, purtroppo, sempre realizzabile, è la vendetta, la ritorsione, la guerra, appunto. Tutto ciò non è mai lecito.
Oggi le azioni di guerra sono tali che anche con armi convenzionali difficilmente rientrano nei limiti della legittima difesa. Qualunque azione che riguardi armi non convenzionali, è, sempre e in assoluto, fuori dei limiti della legittima difesa. Sarà difesa, ma non legittima.
Inoltre non va ignorato che la difesa militare, dal punto di vista della possibilità di successo, rischia di essere, nella maggior parte dei casi, non solo inefficace, ma soprattutto dannosa, proprio per quel Paese che si sta difendendo (si veda la sopra, la condizione n. 5).
Consideriamo pure il caso di questa improvvisa e ingiusta aggressione esterna della Russia nei confronti dell’Ucraina. La resistenza del Paese aggredito si esaurirà in un breve giro di tempo. Ma, anche se attacco e difesa si svolgessero con armi convenzionali, le perdite di vite umane e di risorse, l’alterazione profonda dei rapporti internazionali, il rischio – tutt’altro che ipotetico – dell’estensione del conflitto, sconsiglierebbero al Paese aggredito la resistenza militare.
Sostengo, perciò, l’inopportunità della difesa militare: ancora una volta – ribadisco – non viene contestato il principio teorico della legittima difesa con mezzi militari, quanto la legittimità di una sua applicazione odierna. Infatti, se anche la difesa militare non si trasformasse in un eccesso di violenza, essa resterebbe altresì una vera follia, perché costituirebbe solo un inutile e inefficace massacro.
A tale riguardo già Pio XII in una allocuzione del 19 ottobre 1953 [1] afferma questo principio: «Non basta dunque doversi difendere da qualche ingiustizia per utilizzare il metodo violento della guerra. Quando i danni che questa comporta non hanno confronto con quelli dell’“ingiustizia tollerata”, si può avere l’obbligo di “subire l’ingiustizia”».
Quale sovranità difendere?
Nel documento, La Santa Sede e il disarmo[2] del 1976, i teologi venivano invitati a riflettere ed, eventualmente, a ripensare proprio il concetto di legittima difesa, a partire dal suo indissolubile legame col tema della sovranità nazionale.
A questo proposito va, infatti, anche meglio compreso proprio questo stesso concetto di sovranità nazionale. Intendere l’autonomia e l’autoreferenzialità di un’entità politica indipendente, quale uno Stato appunto, come assoluta e illimitata, nei suoi diritti e nella rivendicazione delle sue prerogative e dei suoi interessi, significa davvero, come la storia purtroppo ha già mostrato, alimentare soltanto una fucina di rivalse, di tensioni e di violenze internazionali.
«La sovranità è la concezione di un potere superiore ad ogni altro potere, un potere “superiorem non reconoscens”. Un potere che gode quindi della sua insindacabilità, di una sorta di trascendenza che lo innalza sopra ogni altro potere. […] L’idea di questa sovranità non faceva difficoltà quando si poteva supporre che il sovrano fosse uno solo, uno solo l’Impero, e si poteva prendere a modello la signoria assoluta di Dio […]. Ma quando, con la formazione dello Stato moderno, le sovranità diventano molte, l’unicità di questo potere supremo si spezza, e nasce il problema di come queste, ciascuna senza rivali in casa sua (sovranità interna), possano coesistere tra loro (sovranità esterna). Nasce cioè il problema del diritto internazionale. […] Riprendendo Aristotele, [Francisco] de Vitoría dice che la perfezione consiste nell’autosufficienza; è perfetta quella società che ha in sé tutti i mezzi di sussistenza, e che, al contrario dei privati, non ha bisogno di nessuno, neanche per farsi giustizia; il mezzo necessario e sufficiente a tale scopo essendo la guerra».
Grazie a questa chiave di lettura, è facile comprendere come la realtà degli Stati nazionali – ciascuno dei quali si considerava l’autorità suprema e autoreferenziale, cioè «superiorem non reconoscens» – abbia segnato profondamente l’evo moderno e sia stata così all’origine delle tensioni internazionali e delle guerre che hanno insanguinato l’Europa. I due conflitti mondiali sono stati proprio la prova inconfutabile dell’instabilità e della problematicità di un sistema internazionale fondato su questi presupposti.
Finché gli Stati saranno sovrani, cioè totalmente indipendenti e autosufficienti politicamente e giuridicamente, gli uni dagli altri, il pericolo di guerra sarà sempre sospeso sull’umanità. Manca infatti un’autorità che possa dirimere i loro contrasti. La sovranità non può essere considerata assoluta.
Ritengo che il cuore dell’argomentazione debba muoversi su un altro versante, che è quello della riflessione sul bene comune: è questo, in realtà, il criterio di fondo, attraverso il quale argomentare e individuare delle conclusioni normative. E il bene comune su cui insistere non è certamente quello di un gruppo, di una nazione, di una classe sociale o di una porzione del mondo: consiste, invece, nella promozione della giustizia e di condizioni di vita eque (il vero progresso, nelle intenzioni della Populorum progressio) per l’umanità tutta, che deve riconoscersi, nei tempi del Villaggio globale, come l’unica grande famiglia, presente sul nostro pianeta.
[1] Pio XII, Discorso al 16° Congresso dell’Ufficio Internazionale di documentazione di medicina militare, in https://www.vatican.va/content/pius-xii/fr/speeches/1953/documents/hf_p-xii_spe_19531019_medici-militari.html
[2] COMMISSIONE PONTIFICIA “JUSTITIA ET PAX”, Le Saint-Siège et le désarmement général, 3.VI.1976, 2.c, cit. in, EV V.
Gesù ha proclamato certamente beati i buoni, ma non i tonti. Anzi il credente è chiamato a essere il primo a denunciare ogni ingiustizia e ogni sopruso, e se non lo fa ne diventa complice. Seguire l’insegnamento del Cristo non significa essere neutrali o lavarsi le mani, ma partecipare e agire attivamente, come lo stesso Gesù insegna e agisce. Sempre dalla parte degli oppressi e mai da quella di chi opprime, Gesù ha denunciato il comportamento dei potenti con parole di fuoco.
Il Cristo, che è veritiero perché non ha soggezione di alcuno e non guarda in faccia a nessuno (Mc 12,14), non conosce il felpato linguaggio diplomatico, né le prudenze del quieto vivere, ma si scaglia contro i suoi avversari con inusuale violenza verbale, senza andare troppo per il sottile. Basta leggere le tremende invettive contro scribi e farisei, che definisce ipocriti, guide cieche, stolti, sepolcri imbiancati, pieni di ipocrisia e di iniquità, serpenti, razza di vipere, assassini… (Mt 23,1-36).
Padre Alberto Maggi
La citazione dell’ineffabile Maggi c’entra come il cavolo a merenda. Qui non si tratta di prendere o no a parolacce i cattivi ma si tratta di sparargli o meno. Porgere l’altra guancia – come fece il Cristo nei confronti proprio di quegli ipocriti di scribi e farisei – oppure difendersi e imbracciare le armi come tentò di fare Pietro nell’orto degli ulivi per poi esserne dissuaso dal Signore stesso?
Io pongo una domanda più radicale infinitamente più “semplice”: ma alla luce del “porgi l’altra guancia!” è possibile per in cristiano anche semplicemente ipotizzare una legittima difesa? Se si come?