Lo Spirito e la Chiesa: 5/ L’eucaristia

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pentecoste

Una delle dottrine ampiamente divulgate nella catechesi preconciliare che, purtroppo, sono ancora parte integrante delle convinzioni religiose di alcuni cattolici è quella che ritiene che il sacerdote, cioè il prete o il vescovo, siano uomini sacri perché hanno il potere di trasformare il pane e il vino dell’eucarestia nel corpo e nel sangue di Cristo.

In realtà, tale posizione è il frutto di una banalizzazione della teologia cristiana, dal momento che propriamente parlando, ad operare la trasformazione del pane e del vino eucaristici non è il sacerdote ma lo Spirito Santo.

Su questo punto, il padre Y. Congar scrive: «L’efficacia di grazia dei sacramenti è costantemente attribuita alla potenza dello Spirito Santo, “virtus Spiritus Sancti”. Questo significa che l’azione sacra celebrata nella Chiesa richiede un sovrappiù – un sovrappiù però che non ha nulla di un’aggiunta facoltativa – una venuta attiva dello Spirito. Ciò che è vero per tutti i sacramenti lo è evidentemente per l’eucaristia. Le testimonianze sono abbondanti: esse affermano che la consacrazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo è compiuta dallo Spirito Santo.» (Y. Congar. Credo nello Spirito Santo. 3. Teologia dello Spirito Santo, Queriniana, Brescia 1987, 258).

Una possibile deriva clericale

Questo passaggio del domenicano francese è seguito da una sua lunga analisi di numerosi autori antichi, medievali e moderni che, in modi diversi, riconoscono la necessità dell’azione dello Spirito perché si dia un sacramento, soprattutto nel caso dell’eucaristia.

Propriamente parlando, quindi, dovremmo dire che il “potere” del sacerdote nella messa è quello di invocare lo Spirito – peraltro umilmente, come si dice in una preghiera eucaristica –, perché questo stesso Spirito trasformi il pane e il vino nel corpo e nel sangue del Signore, e parimenti l’assemblea che celebra e che riceve l’eucaristia nel corpo ecclesiale di Cristo.

Così, quando nella messa un presbitero o un vescovo dicono «questo è il mio corpo» e «questo è il mio sangue» sul pane e sul vino, non danno una sorta di comando a questi elementi naturali perché si trasformino nel corpo e nel sangue del Signore. Infatti, queste parole fanno parte di una preghiera, quella eucaristica, che è rivolta al Padre – e non al pane e al vino –, e sono utilizzate semplicemente per fare memoria di ciò che Gesù ha detto e fatto nella sua ultima cena.

Tutto questo potrà sembrare una puntualizzazione formale, ma non lo è. Se si afferma che il prete e il vescovo hanno il potere di trasformare il pane e il vino nel corpo e nel sangue del Signore a prescindere dall’azione dello Spirito, per una sorta di capacità ricevuta in via definitiva con il sacramento dell’ordine, è inevitabile che la comunità cristiana finisca per considerare queste figure come molto più vicine al Signore di tutti gli altri cristiani.

Infatti, non si può pensare che un ruolo così superiore termini nel momento in cui finisce la celebrazione eucaristica, ma di natura sua, tenderà ad estendersi a tutti i momenti della vita pastorale di una comunità. Il compito che una persona vive nel momento celebrativo non può che corrispondere a quello che è chiamata ad essere negli altri momenti della vita ecclesiale.

Evidentemente, in questa logica non si può dare alcuna vera sinodalità, a prescindere da tutte le consultazioni e i momenti di ascolto che si possono attivare. Questi potranno servire per introdurre delle idee, che però saranno poi affidate alla più totale discrezionalità di chi agisce nella persona di Cristo nel momento liturgico, e quindi decide nel suo nome in quello pastorale.

Tale prospettiva non può che generare una deriva clericale, non soltanto nei presbiteri e nei vescovi, che si ritrovano gravati di un ruolo tanto eccelso quanto impraticabile, ma anche da parte dei laici. Costoro saranno dissuasi dal divenire corresponsabili nella vita della Chiesa, dal momento che saranno sempre in una condizione di inferiorità rispetto ai sacerdoti.

Il celebrante “strumento” dello Spirito

Recuperando invece la testimonianza della tradizione, di cui il padre Congar dà ampia attestazione nella continuazione della citazione menzionata, il sacerdote viene compreso come un semplice strumento dello Spirito, seppure indispensabile. In effetti, se questo Spirito viene invocato sui doni eucaristici da chi non è presbitero o vescovo, non agisce e non trasforma il pane e il vino nel corpo e nel sangue di Cristo.

Tuttavia, in quest’ottica, il ruolo del sacerdote non è fondato su un potere di cui può disporre in modo autonomo, ma sulla capacità di invocare in modo sempre efficace l’azione dello Spirito Santo.

Questo aspetto pone il sacerdote più dalla parte della comunità celebrante che da quella di Dio. Egli, insomma, non è una figura sacra che ha ricevuto dei poteri divini da riversare sul popolo celebrando la messa – come purtroppo si è pensato per secoli –, ma è un membro della comunità ecclesiale che, in virtù del sacramento dell’ordine, può invocare lo Spirito in modo sicuramente efficace sui doni eucaristici e sull’assemblea celebrante.

Dunque, anche un prete o un vescovo devono anzitutto accogliere l’eucaristia come un dono di Dio, prima ancora che pensarsi come protagonisti della sua celebrazione.

Questo approccio garantisce che la messa e gli altri sacramenti non siano celebrati dai sacerdoti semplicemente per fare un servizio, per senso del dovere, men che meno per esprimere la propria superiorità nei confronti degli altri cristiani, ma per ricevere questo nutrimento primario della propria vita spirituale insieme alla propria comunità.

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2 Commenti

  1. Fabio Cittadini 29 febbraio 2024
  2. Adelmo li Cauzi 28 febbraio 2024

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