Quando una comunità cristiana riflette seriamente sulla missione che Dio le ha affidato in questo mondo, può essere presa dallo sconforto. Da un lato, essa è chiamata a dare testimonianza della propria fede in Gesù, aiutando in ogni modo possibile chi non crede in lui a maturare la decisione di aderire alla sua persona. Dall’altro, deve aiutare la società a crescere verso il regno di Dio promuovendo una maggiore fedeltà a quei valori fondamentali, derivati dalla dignità della persona umana e dell’ambiente, che il Creatore ha posto a fondamento della convivenza umana. Questo secondo aspetto identifica la funzione politica della missione della Chiesa.
Questa, pur non schierandosi dalla parte di alcun partito e apprezzando e promuovendo la laicità dello Stato come condizione della libertà religiosa, sa di essere chiamata a dare il suo contributo etico per umanizzare l’esistenza di ogni individuo e della collettività nel suo insieme.
Queste due grandi responsabilità possono portare a dimenticare che, in realtà, il compito delle comunità cristiane è semplicemente quello di essere uno strumento dello Spirito Santo, il quale solo può operare una vera trasformazione sia delle singole persone che della società.
A riguardo del primo aspetto, quello della conversione personale, così scrive il padre Y. Congar: «Noi riceviamo la realtà dello Spirito che ha fatto dell’umanità di Gesù un’umanità di Figlio di Dio: in questo mondo, nell’obbedienza e nella preghiera, “Abba, Padre!”, poi, per mezzo della resurrezione, nella gloria. L’immagine di Dio si attualizza, si approfondisce, nell’esercizio della vita filiale che lo Spirito anima in noi e mediante la quale noi torniamo verso il Padre. Bisogna dare il massimo realismo a questo carattere teologale di questa vita. Essa è vita nostra, radicata vitalmente in noi mediante doni che sono veramente nostri, ma ha Dio stesso per principio e per termine. Noi siamo figli di Dio (1Gv 3,1-2). È una divinizzazione!». (Y. Congar. Credo nello Spirito Santo. 3. Teologia dello Spirito Santo, Queriniana, Brescia 1987, 158-159).
Dunque, l’azione della Chiesa volta alla conversione dei singoli individui al Vangelo non ha come obiettivo quello di renderli semplicemente delle brave persone, dei galantuomini che non fanno del male a nessuno, e neppure degli individui che sanno vivere bene le relazioni interpersonali, soprattutto vero i più poveri. Per vivere questo stile relazionale, pur apprezzabile, non c’è bisogno di essere cristiani.
L’evangelizzazione non ha altro obiettivo che aiutare le persone a vivere quel cambiamento che solo lo Spirito Santo è in grado di operare in loro. Per cogliere in cosa consista questo cambiamento, occorre guardare a ciò che lo stesso Spirito ha compiuto nella persona di Gesù.
Lo Spirito ha reso possibile l’esistenza filiale del Figlio divenuto carne, come un mediatore imprescindibile del suo rapporto con il Padre. Ha guidato Gesù nella piena obbedienza al disegno divino su di lui fino alla morte in croce, e quindi è stato strumento del Padre che ha operato la risurrezione del suo Figlio.
Lo Spirito agisce nei credenti in modo analogo, facendo sì che la loro vita sia realmente somigliante a quella del Signore, cioè sia una vita da figli di Dio e culmini a suo tempo nella risurrezione.
Ovviamente, ogni credente ha caratteristiche personali diverse da quelle di Gesù, e soprattutto è figlio di Dio per grazia e non per natura. Eppure, lo Spirito rende gli umani che accolgono la sua azione realmente somiglianti al Signore, e quindi, in un certo senso, li divinizza.
Le parole del padre Congar esprimono il cuore della salvezza cristiana, che purtroppo non di rado è sottaciuto nelle comunità ecclesiali. Talora, infatti, si pensa che oggi le persone siano talmente coinvolte nel mondo del tangibile e nei drammi della vita che un annuncio del genere risulti incomprensibile o inutile.
Quando si assume questa posizione, si decostruisce la salvezza cristiana identificandola semplicemente con una vita vissuta con passione e responsabilità, attenta a promuovere relazioni autentiche e significative nei confronti delle altre persone, soprattutto se povere e marginali.
In realtà, l’azione dello Spirito nella vita di Gesù, e quindi anche in quella dei credenti, va ben oltre questi aspetti etici, rendendo possibile una relazione filiale con il Padre, e quindi una pienezza di vita che è infinitamente più grande e bella di un’esistenza umanamente appagante.
Se la cultura postmoderna nella quale ci troviamo a vivere fa fatica a comprendere il senso della divinizzazione dell’umano, dovrà farsene una ragione. Noi cristiani non possiamo tacere il dono che stiamo sperimentando.
E poi, l’esperienza pastorale insegna che, quando si identifica il cuore della vita cristiana con la sola dimensione etica, alla fine le persone si allontanano, intuendo che ciò che viene loro offerto nella Chiesa può essere vissuto autonomamente o trovato in altri contesti ben più agevoli di quelli ecclesiali.
Solo offrendo alle persone il dono di partecipare del rapporto filiale di Gesù con il Padre in virtù dell’azione dello Spirito la Chiesa donerà ciò di cui gli umani hanno sommamente bisogno, e di cui essa è strumento insuperabile.
La riflessione è davvero interessante. Tuttavia proprio perché nella Chiesa siamo tutti figli nel Figlio esiste e rimaner aperto una questione: che senso ha l’autorità? In particolare quando questa è esercitata male e non genera una fraternità vera (Francesco d’Assisi docet) siamo di fronte ad vero e proprio problema (https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/11/cattolicesimo-borghese-4.html)
Buongiorno,
mi permetto,con molta semplicità, di aggiungere una mia piccola visione . Spero che tornare all’annuncio della relazione fililale generata dallo Spirito,oltre a superare la pura dimensione etica, ci permetta di superare anche le dimensioni morali e clericali che spesso caratterizzano il nostro annuncio.