Il tema della Provvidenza è uno di temi teologici più intriganti.
Scrivo queste note a partire dall’articolo di Fabrizio Mandreoli, La teologia interrogata, apparso su SettimanaNews il 10 aprile 2020. E scrivo di Sabato Santo, cioè il giorno vuoto, un giorno che in tanti aspetti richiama il settimo giorno della creazione, il giorno che Dio ha voluto di riposo, anche per sé stesso.
Enuncio subito la mia tesi: non esiste un Dio provvidente. Si può arrivare a indicare che esiste un Dio che ha provveduto e poi ha voluto intrecciare la sua vita con la nostra.
Domande aperte
Due nazioni cattoliche in guerra. Entrambi i popoli pregano per vincere; chi sarà ascoltato da Dio? E chi, quindi, canterà il Te Deum di ringraziamento? Chi, al contrario, potrà solo intonare il Requiem aeternam?
Nella Bibbia. Uno degli episodi più difficili (forse impossibile) da spiegare è quello in cui Dio chiede ad Abramo di sacrificare il figlio. Ma lo voleva davvero? O era una prova per capire fin dove Abramo potesse spingersi? È stato Abramo a non capire cosa gli veniva chiesto?
Sicuramente, anche in questa pagina, Abramo si dimostra padre della fede di tutti noi; fede anche in un Dio che provvederà; si legge infatti: «Abramo rispose: “Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!”. Proseguirono tutti e due insieme» (Gen 22,8). Ma attenzione: Dio, si dice, provvede a sé stesso. Inoltre, è molto particolare il v. 14 («Abramo chiamò quel luogo “Il Signore vede”; perciò oggi si dice: “Sul monte il Signore si fa vedere”»): la lettura che viene fatta dell’episodio non è più il Signore vede, ma il Signore si fa vedere. Non si sottolinea il fatto che Dio veda (e quindi possa provvedere), ma che il Signore è visto, è riconosciuto. È Abramo ad alzare il livello fino a quel punto. E quindi Dio si manifesta per quel che è veramente, secondo le promesse che aveva fatto prima.
Le piaghe di Egitto: perché i figli degli egiziani non hanno avuto un Dio provvidente? Dio, per far uscire il suo popolo, cosa ha fatto agli egiziani, ai loro piccoli, sicuramente non colpevoli?
Capitolo 5 della Lettera agli Ebrei: Gesù prega, ma in quello che chiede (essere liberato da morte) non viene ascoltato come ci parrebbe più umano e più semplice; il testo però ci dice che viene esaudito. Quindi lì Dio è intervenuto o no?
Dopo la morte in croce di Gesù qualcuno provvede, ad esempio, a salvare Giuda? Era necessario che Giuda arrivasse fin lì? Potevano essere per lui strumento della provvidenza di Dio i sacerdoti, i quali gli dicono «A noi che importa? Pensaci tu!» (Mt 27,4b)?
Un linguaggio difficile
I brani biblici potrebbero moltiplicarsi. Ma la questione rimane molto semplice: dobbiamo trovare un linguaggio che non neghi la cura di Dio per tutta l’umanità, ma che non ci faccia entrare in pensieri devozionalisti, secondo i quali Dio sistema sempre tutto e, se non lo fa, vuol dire che aveva pensieri diversi.
Mi sembra che l’unico modo di farlo sia dire che Dio è stato provvidente (ha già compiuto tutto quello che pensava fosse necessario all’uomo) e poi si è unito a noi per fare il viaggio della storia.
Rimane comunque un linguaggio difficile da trovare. Padre Cantalamessa, nella meditazione dello scorso Venerdì Santo, per aiutare a entrare in profondità nell’azione di Dio, ha raccontato la storia del pittore James Thornhill. Volendo guardare l’affresco da lui eseguito nella cattedrale di San Paolo, a Londra, il pittore stava per precipitare da un’impalcatura. Per salvarlo un suo assistente lanciò un pennello sul dipinto perché il pittore non indietreggiasse ma facesse un balzo in avanti. E così l’opera fu compromessa, ma il maestro si salvò. A volte Dio «sconvolge i nostri progetti e la nostra quiete, per salvarci dal baratro che non vediamo», notava il frate, precisando però che «non è Dio che con il Coronavirus ha scaraventato il pennello sull’affresco della nostra orgogliosa civiltà tecnologica». «Dio è alleato nostro, non del virus! “Io ho progetti di pace, non di afflizione”, dice nella Bibbia. Se questi flagelli fossero castighi di Dio, non si spiegherebbe perché essi colpiscono ugualmente buoni e cattivi, e perché, di solito, sono i poveri a portarne le conseguenze maggiori. Sono forse essi più peccatori degli altri? No!»[1]
Il Sabato Santo dell’umanità
Si fatica a trovare esempi chiarificatori di tutto quello che non capiamo nella nostra storia. Padre Cantalamessa ha la precisa intenzione di togliere a Dio ogni responsabilità su tante vicende, a partire dal Coronavirus. Ma l’episodio non aiuta del tutto: la persona che vuole salvare il pittore intenzionalmente rovina il capolavoro. E ci farebbe pensare che è il Creatore, per salvarci, a lanciare qualcosa che ci allontani dal pericolo, ma che finisce per rovinare l’opera in atto. Forse, l’esempio avrebbe potuto funzionare se l’assistente si fosse buttato giù lui, personalmente. Ma non è stato così.
Vi deve essere un porsi di Dio, definitivo ed esaustivo, e uno spazio libero/liberato in cui l’uomo accoglie per sé quell’opera. È esattamente il nostro Sabato Santo, ancora più vuoto a causa della pandemia.
Possiamo fare un passo avanti ricordando l’episodio della risurrezione di Lazzaro. Gesù manifesta la sua potenza anche col risvegliare dai morti. Ma per chi ha avuto un lutto, per chi si sta facendo carico delle sofferenze dell’Italia e del mondo intero, gli interrogativi potrebbero essere molto più invadenti delle risposte che il testo ci offre.
La frase che, una dopo l’altra, le sorelle del morto pronunciano è una frase pesantissima: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Sono le parole di noi credenti, quando non vediamo che Gesù mantiene la promessa di essere con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo. È l’atteggiamento dei discepoli sulla barca, che sta affondando nella tempesta, quando dicono: «Signore, non ti importa, non ti curi che moriamo?» (Mc 4). Ed è la stessa espressione verbale di Marta, quando vede sua sorella Maria, apparentemente nullafacente, ai piedi di Gesù: «Maestro, non ti curi che mia sorella mi abbia lasciata sola?» (Lc 10).
Gesù se ne cura?
Prima di chiederci se esista un Dio provvidente, rimane una domanda a monte: a Gesù importa? Gesù si cura? E cosa mette in campo per la cura? Che ne è del nostro (perenne) senso di abbandono? Un film (Habemus papam, di Nanni Moretti), ambientato in Vaticano, teorizzava il deficit di accudimento.
È, quindi, necessario vedere le conseguenze dell’agire di Gesù: l’esito di questo segno è che Gesù viene condannato a morte, come d’altra parte avviene alla fine del capitolo 8 e anche del capitolo 10. Far uscire Lazzaro dal sepolcro costa a Gesù la sua vita. Caifa profetizza: «Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!».
Il prezzo pagato è infinitamente più alto, anche per il nostro Signore. Che qui sia in gioco la morte di Gesù, lo possiamo anche evincere dal forte grido che Gesù emette davanti alla tomba dell’amico («gridò a gran voce»), parente non lontano del grido inarticolato con cui il Signore chiude la sua esistenza. Un grido che è anche il modo con cui ci consegna il suo Spirito («Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito», Mt 27,50).
Quindi, per arrivare a far risorgere Lazzaro, Gesù consegna tutto, ma davvero tutto, se stesso. E dona lo Spirito. L’assistente si deve buttare giù dall’impalcatura. Il tema diventa, ora, quanto sia efficace questo agire di Gesù; se egli consegna sé stesso e nella mia vita non cambia nulla… in modo brutale si potrebbe dire: poteva anche non farlo! Come agisce ancor oggi quello che Gesù ha fatto?
Occorre allora tornare all’inizio del capitolo 11, dove, misteriosamente, si anticipa un fatto (o meglio: si dà per scontato che sia avvenuto e il lettore lo conosca) che avverrà solo nel capitolo 12: l’unzione di Betania, da parte di Maria sorella di Lazzaro. Perché è importante per noi? Si capisce da qui che tutto quello che fa Gesù è fatto affinché la nostra vita, tutta la nostra vita, tutto quello che abbiamo di più prezioso, sia conservato e abbia senso. Il capitolo 12 è fatto di tantissime contrapposizioni: vita/morte (ad esempio di Lazzaro); profumo/cattivo odore (il corpo di Lazzaro manda cattivo odore, l’olio è profumato e profuma tutta la stanza, immagine questa del mondo intero), donare/rubare (il dono di Maria di Betania e il furto di Giuda). Quello che fa Maria non è sprecato (cf. Matteo 26,8: «I discepoli, vedendo ciò, si sdegnarono e dissero: “Perché questo spreco?”»).
Siamo (e restiamo) mortali
Siamo, credo, al punto decisivo: il segno della risurrezione di Lazzaro ci porta a vedere come l’agire di Gesù non ci consente di essere immortali e tutelati da ogni evento negativo. Ci aiuta a non sprecare la nostra vita, a vederla conservata e a sapere che anche la vita dei nostri cari è conservata.
Non siamo eterni, purtroppo o per fortuna, a seconda delle opinioni. Spesso eventi inspiegabili ci colpiscono tanto duramente da lasciarci tramortiti. Possiamo pensare che quello che riusciamo a offrire verrà conservato dalla stessa potenza d’amore che ha impedito che Gesù rimanesse nella tomba per sempre. L’amore che lui ha avuto dal e per il Padre lo ha fatto sorgere di nuovo; e di questo amore, di questo legame, di questa relazione c’è traccia anche in Gv 11.
Solo l’affetto salva dalla morte certa. E allora, diventano meno “poetiche” e più necessarie anche le azioni di Gesù, così umane: si commosse profondamente, pianse, gridò a gran voce. Solo chi sa «piangere per e piangere con» è davvero un uomo.
Sabato santo, grazie all’unzione di Betania, ci aiuta a capire che Dio, in Gesù, ha già provveduto. A noi sta capire cosa vogliamo mettere in campo, dopo la morte del Nazareno; riusciamo a porre gesti che riempiono di profumo il mondo intero e che conservano la nostra vita? Il Sabato Santo è il giorno adatto a riflettere sul tema della provvidenza, custoditi dal silenzio assoluto della liturgia.
La difficile preghiera
Il tema della provvidenza pone immediatamente una domanda sulla preghiera; la fede ci dice che la preghiera è sempre esaudita. Ma tutti abbiamo pregato per situazioni in cui ci è sembrato che Dio non sia intervenuto.
Non abbiamo modo, qui, di affrontare il problema. Indico solo un testo davvero intensissimo di Evangelii gaudium (n. 283). «I grandi uomini e donne di Dio sono stati grandi intercessori. L’intercessione è come “lievito” nel seno della Trinità. È un addentrarci nel Padre e scoprire nuove dimensioni che illuminano le situazioni concrete e le cambiano. Possiamo dire che il cuore di Dio si commuove per l’intercessione, ma in realtà Egli sempre ci anticipa, e quello che possiamo fare con la nostra intercessione è che la sua potenza, il suo amore e la sua lealtà si manifestino con maggiore chiarezza nel popolo».
Il testo dice due cose in apparenza contrapposte: la preghiera di intercessione agisce in Dio come lievito, cambiando, evidentemente, Dio stesso, come avviene nella farina che deve essere trasformata per offrirsi in cibo. Ma dice anche che egli ha già agito prima, affinché tutto il popolo accolga con più evidenza la rivelazione. Mi sembra che queste parole siano accostabili alla mia riflessione: Dio ha già provveduto, in Gesù morto e risorto; a noi far esplodere, anche con la preghiera, la sua presenza trasformante nella storia del mondo.
[1] Il testo della predica di p. Cantalamessa è disponibile sul sito ufficiale della Santa Sede all’indirizzo https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2020-04/papa-francesco-passione-adorazione-croce-venerdi-santo.html (accesso: 14 aprile 2020).