In questa stagione ecclesiale, sollecitati dal magistero di papa Francesco, stiamo familiarizzando sempre più con la categoria del discernimento. è una categoria che promuove la responsabilità dei fedeli nella costruzione del sé e della comunità.
è una riscoperta dell’autentico concetto di applicazione dei principi alla realtà concreta delle persone. i principi non sono mannaie che calano inesorabilmente sulle persone per riportarle tutte nelle stesse misure (come la spada di Damocle o il letto di Procuste), ma sono espressioni di valori che la persona deve far vivere nel modo migliore nelle situazioni concrete della sua vita.
L’agire concreto: la prudenza
Il cammino per passare dal principio al comportamento concreto talora è lungo e complesso, tanto da richiedere l’opera di una virtù speciale, la prudenza, che annovera tra le sue parti integranti anche il consiglio e tra le parti potenziali l’eubolia, la synesis, e la gnome. Tre nomi greci, evidentemente mantenuti dai traduttori latini dell’Etica Nicomachea di Aristotele perché non era possibile trovare una parola latina adatta.
Anche noi usiamo la parola «prudenza», ma l’uso quotidiano (ad esempio: «sii prudente!») significa piuttosto la cautela, non la virtù cardinale. La cautela fa parte della prudenza, ma è un atteggiamento verso i mali e gli ostacoli, dunque non per scegliere i beni umani e le cose su cui si deve «deliberare» (in greco c’è bouleusasthai – Aristotele, Etica Nicomachea, 1141 b 8-9).
L’eubulia di san Tommaso viene tradotta come capacità di ben deliberare, e ciò fa pensare a quel deliberato consenso che sarebbe la decisione stessa, mentre per Tommaso (e per Aristotele) era qualcosa a monte: cioè la capacità di ricerca propria della boule, in latino consilium. Si tratta di saper trovare i mezzi tra i quali arrivare a scegliere il migliore.
La seconda parte virtuale della prudenza è la synesis. Anche qui è impossibile tradurre in latino e pure in italiano. San Tommaso ne parla come di ciò che caratterizza le persone sensate (cf. S. Th., II-II, q. 51, a. 2.). Uno potrebbe essere molto bravo a trovare i mezzi possibili, ma potrebbe mancare di sensatezza nel valutare quale sia il migliore. Tale giudizio è poi quello che determina che cosa scegliamo.
Eccezione e giudizio
La terza virtù, sulla quale intendo richiamare l’attenzione che è parte potenziale della prudenza, è la gnome (posiamo tradurre il termine in diversi modi: duttilità, elasticità, larghezza di vedute, lungimiranza, epicheia). Il compito di questa virtù è quello di ben giudicare i casi straordinari. Afferma S. Tommaso: «Come dunque la synesis implica (importat) un giudizio retto a proposito di quelle cose che capitano per lo più, così la gnome implica un retto giudizio nel dirigere la giustizia legale. Per questo [Aristotele] dice che quella virtù che si chiama gnome, per la quale noi chiamiamo alcuni eugnomonas, cioè che sentenziano bene, e [diciamo] che hanno gnome, cioè arrivano ad (attingere ad) una sentenza retta, non è altro che un retto giudizio di ciò che è oggetto di epicheia» (Tommaso, Sententia Libri Ethicorum, VI, lect. 9.).
L’epicheia è regola superiore in quanto per giudicare casi eccezionali si richiama direttamente ai principi morali di più alto livello.
Temo che in questo tempo di Coronavirus ci siamo lasciati prendere troppo dalla cautela e dalla prudenza della carne. è sentenza comune tra i moralisti che la prudenza della carne è uno dei vizi della falsa prudenza che considerato in se stesso è ex genere suo peccato veniale, anche se può diventare peccato grave se causa scandalo o da luogo ad altri peccati, quale per esempio la perdita della fede. A questo punto la prudenza della carne, in senso stretto, diventerebbe peccato grave.
La ragion pratica
In altri termini, di fronte ad una norma presa alla lettera, trascurando i fini più importanti, credo che il ruolo della ragion pratica sia non quello di attenuare un rigore, ma quello di evitarci di filtrare il moscerino inghiottendo il cammello, e questo sarebbe compito della virtù della gnome, cui, nella volontà che è giusta, corrisponde la virtù dell’epicheia.
La gnome è la virtù secondo la quale la persona dispone della propria volontà in vista del suo bene finale, naturale e soprannaturale. è ciò che effettivamente è nell’interesse dell’individuo e nella competenza di ogni individuo, nella situazione concreta in cui vuole realizzare il proprio desiderio (destino).
Come cittadini credenti nell’aderire «docilmente» alle disposizioni del Governo italiano in questo tempo abbiamo avuto un senso profondo del rispetto dell’autorità civile, ma abbiamo avuto anche un senso completo della virtù della prudenza?
Nella prospettiva cristiana, che trascende tutte le norme della giustizia legale, il senso della situazione (gnome) dovrebbe avere un ruolo fondamentale.
Cosa avremmo dovuto fare davanti a una tale situazione? Oltre che esercitare la nostra responsabilità, avremmo dovuto risalire con spirito soprannaturale ai principi più alti.
San Tommaso afferma: «Spetta soltanto alla divina Provvidenza di considerare tutti i casi che possono capitare fuori del corso normale delle cose; tuttavia tra gli uomini, chi è più perspicace può giudicare con la sua ragione molte di queste cose. Ed è questo il compito della gnome, che implica appunto una certa perspicacia di giudizio» (Tommaso, IIa IIae, q.51, a. 4, ad. 3.).
Le cose casuali quindi, secondo S. Tommaso, possono essere giudicate con certezza solo dalla Provvidenza divina, ma tra gli uomini i più perspicaci riescono a giudicare con la loro ragione almeno buona parte degli eventi casuali e a questo si richiede la gnome.
La gnome si può ottenere da una certa perspicacia naturale (se questa manca, un uomo, anche se dottissimo, si orienta difficilmente in casi straordinari) e da una assidua lettura degli eventi del passato tra i quali vi sono dei casi straordinari precedenti.
Per poter esercitare la gnome bisogna aver chiara la scala dei valori, in modo tale da percepire i casi nei quali un certo valore, per quanto importante, deve farsi da parte per cedere il posto a un valore superiore.
Ritengo che in questo particolare contesto avremmo dovuto tenerci pronti a praticare eccezionalmente questa prudenza particolare, la gnome. Come credenti avremmo dovuto soffermarci di più a riflettere e a ponderare gli eventi sub specie aeternitatis, alla luce del nostre destino eterno.
«E che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde l’anima sua? Infatti, che darebbe l’uomo in cambio della sua anima?» (cf. Mc 8,35-37). La prudenza cristiana ha nella fede e nella fiducia in Dio il suo punto d’appoggio.
Alcuni di noi cittadini abbiamo fatto questo, non sottoponendoci acriticamente alle prescrizioni e imposizioni del governo, assumendoci la responsabilità delle nostre libere decisioni e accettando anche il martirio di essere stigmatizzati ed esclusi dalla vita sociale e dal lavoro.
i dannati rifiutano le prescrizioni e imposizioni di Dio, e si assumono la responsabilità delle loro decisioni accettando di essere esclusi per sempre dalla Beatitudine eterna
Cara Anna Riita, mi riconosco pienamente nelle tue parole. Il tempo, come sapevamo, ci ha dato ragione. La nostra capacità di non sottoporci “acriticamente alle prescrizioni e imposizioni del governo” purtroppo suscita malumori in taluni. Questo malumore ha un nome ben preciso: si chiama invidia.