Nel suo libro Nella buona e nella cattiva sorte. Gli omosessuali cristiani e la scommessa di costruire una relazione “per sempre”, G. Geraci offre un quadro molto dettagliato dei sentimenti e dei pensieri che accompagnano una stabile relazione di amore tra persone dello stesso sesso. Alcune riflessioni suscitate dal libro sul piano teologico permettono un avanzamento non piccolo nel corpo della Chiesa, presa ancora dalla tentazione di confondere ordinamento ecclesiale e ordinamento civile. La Prefazione, di cui qui pubblico solo la parte iniziale, può essere letta nella sua integralità scaricando il volume, che è disponibile gratuitamente qui).
Nel piccolo volume scritto da G. Geraci leggo il riflesso di una ricerca che attraversa l’intero campo della riflessione teologica del cattolicesimo dell’ultimo secolo. Il quale si interroga, da prospettive molto diverse, sulla medesima questione: come possiamo offrire qualche chiarimento al nuovo uso della parola “amore”, cercando di salvarne il “fenomeno”? Quello che J.-L. Marion ha chiamato “fenomeno erotico” chiede chiarimenti nuovi, rispetto a quelli che la tradizione ci ha offerto. In questi nuovi chiarimenti dobbiamo integrare tre accezioni diverse della parola amore. Una accezione “mistica”, una accezione “morale” e una accezione “sentimentale”. Amore è, allo stesso tempo, il nome più bello del Dio fatto uomo, il compito più alto dell’uomo creato e salvato e la passione più forte del corpo di carne e di spirito. Amare implica il corpo di Dio, il corpo dell’altro e il corpo proprio. Per questo amare è anzitutto questione di “tatto”, di “volontà” e di “comandamento”.
Anche la teologia ha scoperto di aver confuso i piani e di aver parlato dell’amore ma non molto in rapporto al matrimonio. E di aver parlato del matrimonio, ma non molto in rapporto all’amore. Così è stato facile, per la teologia cattolica, restare letteralmente scandalizzata dalla pretesa di fare dell’amore presente nel matrimonio un’“esperienza comune” a tutti gli uomini e le donne. Questo sviluppo tardo-moderno, che ha personalizzato l’istituzione matrimoniale, ha reso permeabile il matrimonio al sentimento dell’amore e all’amore come passione. Questo sviluppo, allo stesso tempo, ha arricchito e ha complicato il quadro istituzionale e normativo. Se “consenso” e “esercizio del diritto sul corpo dell’altro” sono ora mediati dal sentimento, dall’emozione, dalla passione, la loro relazione non può essere gestita soltanto sul piano dei contratti e dei contatti: il cuore appassionato e la dipendenza dall’altro diventano elementi insuperabili di ogni legame che prende il nome di “matrimonio”: la forma dell’amore segna il modo con cui gli uomini e le donne si legano, si prendono cura dell’altro, generano e rendono presente il mistero di Dio.
L’automatismo che fa di ogni “matrimonio tra battezzati” un sacramento è un principio che semplifica la burocrazia, rassicura la legge oggettiva, ma complica le esperienze personali e le coscienze ecclesiali. Su questa linea di confine, sottile ma decisiva, si colloca oggi anche la riflessione sull’“amore coniugale” come possibilità riferibile non solo alla relazione tra uomo e donna, ma anche alla relazione omoaffettiva.
Il nome di Dio che è amore, diventa principio di un compito di amore, e si illumina di emozione, di passione e di sentimento, per tutti coloro che amano in modo stabile, fedele, resistente, in modo quasi ostinato. Ebbene sì: la persistenza ostinata e forte nella relazione di amore riguarda anche la relazione omoaffettiva. Per questo diventa rilevante e significativa anche per la teologia cristiana.
La ricomprensione della relazione omoaffettiva
La possibilità di estendere l’amore coniugale anche alla relazione omoaffettiva implica la disponibilità ad entrare, con il cuore e con l’intelletto, nella forma concreta di questa relazione. Una lunga tradizione teologica si è tenuta ben lontana da questa possibilità, squalificando anzitutto moralmente tale relazione, definendola a priori “contro natura” e “disordinata”. La dimensione “contro natura” e il “disordine” derivavano, essenzialmente, da una connotazione che non abilitava la relazione omoaffettiva alla generazione.
Essendo stato, per lungo tempo, proprio questo “bonum” del generare figli il criterio primario di giustificazione di ogni esercizio della sessualità eterosessuale, la possibilità di concepire come legittima una relazione tra due uomini (o tra due donne) era sentita come una contraddizione con la realtà naturale e con la dimensione istituzionale, in quanto percepite come normative. Fino a che la “società dell’onore” ha posto questa visione come regola inaggirabile di rispetto sociale, non si dava alcune possibilità di immaginare un “coniugio legittimo” che escludesse, per principio, ogni generazione di prole.
In questo volume G. Geraci procede ad una dimostrazione “per esperienza” – diremmo dal basso e a posteriori, scritta con l’intelletto e con il cuore – di questa possibilità tradizionalmente esclusa per principio (o, meglio, per pregiudizio). Se, in teoria, possiamo sempre dimostrare come possibile una realtà, può accadere però che, di fatto, la realtà anticipi la teoria e mostri in anticipo tale verifica. Così se qualcosa sarà stato vissuto come reale, risulterà vano e quasi comico dimostrare la sua impossibilità.
La posizione che il magistero cattolico ha assunto sul tema ha ribadito in molti casi questo “principio indimostrato” (ma ritenuto del tutto convincente): ogni relazione omosessuale sarebbe “di per sé” incapace di vera alterità e perciò si ridurrebbe ad “autocompiacimento”. In altri termini, sarebbe solo sentimento, emozione, passione, senza alcuna dimensione di compito, di responsabilità e di testimonianza.
Se è vero che la relazione eterosessuale e la relazione omosessuale non sono uguali, è altrettanto vero che le differenze non impediscono di scoprire numerose analogie e profonde somiglianze. Soprattutto non si può affatto escludere che una relazione omoaffettiva possa essere esperienza di alterità, messa alla prova del carattere, esercizio delle virtù, attestazione della fedeltà, compito di una relazione “individua” e “per sempre”. Nel testo di Geraci, che non si nutre solo di esperienza diretta, troviamo una lunga citazione di un testo di Albino Luciani, scritto prima che diventasse papa Giovanni Paolo I, in cui vengono ricordate alcune sagge parole di san Francesco di Sales a proposito della relazione di amore coniugale.
Quel testo, che è degli anni Settanta e che è stato scritto esclusivamente in rapporto alle relazioni eterosessuali fedeli e indissolubili, può essere applicato oggi, senza difficoltà, anche alle relazioni omosessuali. Questo fatto, nella sua realtà, ha già superato l’esame della possibilità. La Chiesa non deve dichiarare impossibile ciò che è reale, ma è chiamata a chiedersi perché mai le sue categorie non riescono ad onorare la realtà e preferiscono difendersi da essa, non riconoscendone la qualità.
Un concetto di “natura” troppo rigido e cieco impedisce alla dottrina di vedere la realtà. La realtà di un “coniugio” diverso dal “matrimonio” potrebbe essere ridotta ad una costruzione ideologica contemporanea, ma forse potrebbe essere soltanto una categoria classica – ben presente lungo la storia – oggi capace di leggere la relazione coniugale non solo in termini di generazione, ma anche in termini di fedeltà e di stabilità1. Potremmo forse pensare che sia anche la Chiesa, e non solo molti stati moderni, a considerare come un “bene da tutelare” l’esperienza di amore fedele e indissolubile tra persone dello stesso sesso? Potrebbe forse capitare che la lotta contro l’istituzionalizzazione della relazione omoaffettiva diventi auspicio e suggerimento di un riconoscimento istituzionale ed ecclesiale?
Il compito di una teologia non solo “retro oculata”
Una teologia che non guardi solo indietro, ma anche avanti – poiché il Signore che è già venuto, deve però ancora venire – può aiutare il magistero della Chiesa a riconoscere questi fatti come portatori di “beni” e a custodire la sostanza dell’antica dottrina del depositum fidei non solo accettando, ma anzi promuovendo la sua urgente “riformulazione”.
Ogni battezzato, in Cristo, entra in una vita casta, ossia in una vita di sequela del Signore, nelle forme di esistenza che si aprono davanti al cammino di ciascuno. La castità è minacciata dalla mancanza di fede, di speranza e di carità. La castità è minacciata dalla mancanza di giustizia, di prudenza, di temperanza e di coraggio. La castità è minacciata dalla superbia, dall’invidia e dall’ira.
I “vizi della castità” sono molto più ampi del secco elenco con cui il Catechismo li elenca, in una sequenza che oggi appare poco meditata, ispirata più dal divieto di “atto impuro” che dalla sete di “vita santa dei discepoli del Signore”. In questo elenco, come riproposto rozzamente dal Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, si legge:
“Sono peccati gravemente contrari alla castità, ognuno secondo la natura del proprio oggetto: l’adulterio, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, la prostituzione, lo stupro, gli atti omosessuali” (Compendio CCC, 492).
Quanta rozzezza nella sequenza, costruita per affastellamento, senza vero discernimento! Quanta finezza rileggiamo, invece, nei maggiori autori medievali! Pietro Lombardo ha, in proposito, una frase elegantissima: “Melior est virginitas mentis quam carnis” (Sententiae, D. 33).
Una delle cose belle, che la nostra epoca è capace di farci gustare, è il fatto di tornare alla grande tradizione, passando per le esperienze che emergono nel cuore della “società della dignità”, ben oltre le forme civili ed ecclesiali della società dell’onore. La società dell’eguaglianza, con tutti i suoi limiti, ci mostra gli abissi di ingiustizia della società della differenza e della preferenza. Il richiamo che la tradizione fa alla “vita casta” riguarda tutte gli stati di vita. C’è una castità celibataria e c’è una castità coniugale.
Tra castità e continenza vi sono analogie e differenze, che non si possono mai ridurre né a identità né a opposizione. Questo vale per l’orientamento eterosessuale come per quello omosessuale. Le pagine che Geraci scrive a proposito della “castità” sono esemplari e aprono possibilità di interpretazione nuova, motivata dalla dignità dell’eguaglianza, piuttosto che dalla discriminazione della differenza.
- Pubblicato sul blog Come se non, 3 gennaio 2024.
1 Mi pare che in questa direzione si muova C. Scordato, nel suo contributo Chiesa cattolica e “coniugio omosessuale”: realtà e possibilità, in A. Grillo – C. Scordato, Può una madre non benedire i propri figli? Unioni omoaffettive e fede cattolica, Cittadella, Assisi 2021, pp. 57-84.
Non entro nel merito della tematica ( al riguardo ho già espresso il mio pensiero scrivendolo oggi)
Mi sento di dire dopo aver letto i vostri interventi che nel vangelo alcune parole recitano circa:
Nelle assemblee prevalga la concordia, ammonitevi ed istruitevi vicendevolmente, nell’ordine e non nel disordine
penso che il Sapiente San Paolo si ribalterebbe nella tomba sè dovesse sentire il tono o il modo di come i suoi eredi cristiani discutano.
Risibile questo tentativo tanto dotto quanto maldestro di destrutturare il concetto di castità secondo categorie puramente sociologiche. La “rozzezza” che il prof. Grillo lamenta è, in realtà, semplice chiarezza. La chiarezza che si richiede financo al nutrizionista che, dopo le grasse feste natalizie, non si sognerebbe mai di dire ad un suo paziente che la lettura di un libro o un amplesso fisico siano contrari al regime di continenza alimentare. Purtroppo smarrendo la retta dottrina spesso si smarrisce anche il senso di realtà e l’uso degli elementari strumenti della logica. La mancanza di menti come quella di Ratzinger si fa sempre più pesante.
Gentilissimo visto che si mette a dieta usando la scienza (e non la religione) veda di fare altrettanto con l’omosessualità. La medicina e le psicologia hanno dato le loro risposte al riguardo. Non essendoci nulla di patologico anche la religione deve farsene una ragione e (come scritto nel Vaticano II) deve utilizzare tutti i mezzi che la scienza mette a disposizione per giungere alla verità. Non può fare finta di nulla come lei pretenderebbe. Quindi quella che lei chiama chiarezza a casa mia si chiama giustamente rozzezza.
“medicina e psicologia hanno dato le loro risposte”. Credo, al contrario, che ci sia ancora molto da studiare a proposito della/e causa/e dell’omosessualità che ,a sua volta, può anche essere di tipi diversi. Certe “risposte” perentorie e che si presumono definitive sono piuttosto frutto di ideologie e sono diffuse e percepite come Verità indiscutibili. E siamo arrivati al punto che se si ha l’ardire di invitare a continuare nell’approfondimento del problema, certe lobby mediche e psicologiche allineate al pensiero unico nonché le organizzazioni militanti omosessualiste ti saltano negli occhi. Ancora di più se si osa parlare (orrore!) della possibilità di prevenire per lo meno alcuni tipi di omosessualità. Chi poi osi ancora proporre, a chi lo desidera e lo chiede, percorsi allo scopo di superare questo orientamento corre il rischio di subire ostracismi e piogge di insulti. Il dogma dice che l’omosessualità è un modo come un altro di vivere la sessualità ( per alcuni sarebbe innata, per altri frutto di libera scelta -ma va bene tutto) e che perciò va assolutamente equiparata all’eterosessualità, anche con i relativi riconoscimenti legali fino al matrimonio, e addirittura propagandata e ormai anche ostentata ed esaltata. Come cristiani possiamo adeguarci a ciò? L’assoluto dovere del rispetto, dell’accoglienza e della comprensione per le persone omosessuali non può implicare la sottomissione al pensiero unico politicamente corretto.
Un altro complottista… Lobby, poteri forti, pensiero unico. Sciocchezze. Qui si parla della vita delle persone e non volerlo capire è anticristiano.
Lobby, poteri forti, pensiero unico non esistono? Magari così fosse! Dobbiamo invece prendere atto realisticamente che da tempo, ormai, è in atto una strategia, a volte subdola, a volte arrogante, intollerante e senza scrupoli, tesa a distruggere o almeno a ridurre all’irrilevanza la fede e la cultura cristiane, imponendo il pensiero radical-agnostico-relativista come pensiero unico.
(Non si arrabbi se qualcuno espone argomenti che non Le piacciono, ma risponda, a sua volta, argomentando)
O forse l’ipotesi del complotto serve a nascondere il fatto che la crisi generalizzata del Cristianesimo in Occidente ha cause principalmente interne
Il ‘pensiero unico’ spesso è fatto di ‘verità cristiane diventate folli’ e non di qualcosa di per sé contrario al cristianesimo
Risposte serie a ragionamenti seri che quin non vedo.
Purtroppo i suoi post non argomentano mai in maniera conseguente. Il mio post rilevava l’insipienza del paragonare fischi e fiaschi cosa che per lei, ovviamente, è normale: basta che tiri acqua al suo mulino! Quanto alla “sua” scienza, ad oggi non ha provato un bel nulla. Ma anche quando provasse che l’omicida seriale è tale a causa di un gene o che l’adultero incallito è agito da una sconosciuta variabile biologica, beh neanche allora il 5° ed il 6° comandamento smetterebbero di essere validi. La legge morale non ci indica un comportamento che è biologicamente naturale ma ci addita una “vita buona” che è naturale nel senso “ontologico” ovvero nel senso della natura che il Creatore aveva ordinato ab aeterno e che il peccato originale ha sovvertito.
La scienza studia la natura come oggi si presenta dopo il sovvertimento operato da quel primo peccato e, ovviamente, non può fare altro che constatare un dato di fatto. Un dato di fatto che non può diventare normativo! D’altronde ogni scienza ha una dimensione sperimentale ed una normativa. Ad esempio in economia è facile constatare che quasi in tutti i sistemi la maggior parte della ricchezza è concentrata nelle mani di pochi, è un dato di fatto. Ma se ne può fare una regola? La scienza non fa la morale e tanto meno la fede.
Grazie per il gentilissimo.
Ma rispondere ai suoi post è difficile perché significherebbe entrare nelle sue logiche astruse. Io le rifiuto. Temo ci sia proprio una impossibilità comunicativa fra noi. Anche perché ripete come un mantra gli stessi concetti ad ogni articolo. L’unica risposta possibile è l’ironia.
In base al suo ragionamento infatti occorre andare contro natura quando la morale chiede di non fare ciò che per la natura è normale. Quindi propone di andare contro natura a chi secondo il suo ragionamento lo è già, perchè in realtà la natura non prevederebbe il comportamento omosessuale secondo la religione. Inoltre il fatto che la ricchezza si concentra nella mani di pochi non è naturale ma dipende dai meccanismi economici voluti dall’uomo. Quindi un esempio fuorviante. Come vede starle dietro è cosa assai ardua essendo i suoi ragionamenti contradditori. Meglio riderci su quindi.
Come al solito la sua povertà di argomenti la fa scadere in attacchi personali di bassa lega! Maldestro ed involontariamente comico il tentativo di rendere le mie argomentazioni contraddittorie.
Se tutte le relazioni (sottinteso a contenuto sessuale) fedeli e durature sono “coniugio”allora si può applicare il concetto a molteplici realtà.
Faccio degli esempi.
I rapporti poligamici se duraturi e esclusivi, almeno al loro interno, sono “coniugio”?
Il rapporto di una coppia aperta che liberamente dispone, con il consenso reciproco, della propria sessualità percependosi come stabile e fedele è “coniugio”?
Il rapporto fra il protettore e la prostituta, se liberamente vissuto e privo di violenza, se durevole e percepito come amore vicendevole è “coniugio”?
Tutte queste relazioni possono quindi essere benedette?
Sono chiaramente esempi estremi che, a mio modestissimo avviso, pongono in evidenza la fallacia di certi discorsi basati esclusivamente sul sentimento e su una malintesa idea di libertà.
Infatti l’Inferno è molto reale… attenzione a voler essere più buoni di Dio
E lei cosa ne sa di quanto è buono Dio?
Gianni Geraci è una persona intellettualmente onesta e che apprezzo.
La realtà è più importante delle idee e lui lo dimostra con la sua esperienza di vita.
Ma la realtà non è quella che certi teologi “aperti, inclusivi, progressisti” immaginano. Mi pare che ci offrano autentiche favole frutto di scarsa conoscenza del mondo gay. Ci sarà forse anche qualche coppia che ama “in modo stabile, fedele, resistente, quasi ostinato”, ma si tratta di rare eccezioni e una rondine non fa primavera.
Le coppie omosessuali sono notoriamente instabili e generalmente di breve durata. O se durano a lungo sono comunque per lo più infedeli, perché ognuno dei due si concede le sue scappatelle, magari di nascosto o con il consenso reciproco o chiamando un terzo di comune accordo. Non per niente i doveri a cui si devono impegnare i contraenti una unione di fatto ricalcano molto da vicino quelli di due, uomo e donna, che contraggono matrimonio, ad esclusione dell’impegno alla fedeltà. Anche il legislatore l’ha considerato improponibile. Non si tratta di pregiudizi, ma di prendere atto di una obiettiva difficoltà per l’omosessuale che sente in sè una spinta a cambiare partner, in un’ inesausta ricerca del nuovo, dell’ideale ( o di se stesso?). Anche il fatto che la coppia omosessuale non possa avere figli, i quali mantengono sempre in evoluzione e rinnovano il rapporto fra coniugi nel matrimonio, porta alla routine e alla stanchezza.
Rispetto e comprensione, quindi, per le persone omosessuali, ma non veniteci a raccontare favole. Marco
Temo invece si tatti di pregiudizi dettati dalla più totale non conoscenza della realtà. Poi se vuole ammantarli diversamente faccia pure. Ma non mi convince.