Nel suo articolo (cf. SettimanaNews, qui), Lorenzo Prezzi ha messo a tema alcune questioni legate ai riconoscimenti dei titoli accademici pontifici. Soprattutto nella seconda parte, legata alla sfera degli studi teologici in Italia, solleva delle osservazioni davvero serie e che credo necessitino di interventi a stretto giro, pena essere inefficaci.
A mio avviso, considerando il sempre più esiguo numero di iscritti presso le istituzioni teologiche e di scienze religiose, occorre procedere ad alcuni cambi significativi. Provo ad enumerarne alcuni.
- Prevedere un graduale ma costante inserimento degli ISSR nelle Facoltà teologiche, modificando il percorso di primo ciclo delle Facoltà teologiche, da 5 anni (baccalaureato) a 3 anni (laurea triennale in teologia e scienze religione).
- Pensare ad un triennio di formazione filosofica (con relativo riconoscimento statale come laurea triennale) da vincolare ai futuri candidati al sacerdozio (obbligatorio almeno quanto ai primi due anni), fermo restando la possibilità di accedervi anche per laici che intendano conseguire una previa laurea triennale in filosofia.
- Avviare alcune fasi di studio in comune, fino poi a giungere ad un unico soggetto accademico, tra gli ITA (i seminari) e le Facoltà teologiche, soprattutto per quelli situati in una medesima regione.
- Concretizzare la “spendibilità” dei titoli teologici nel sistema civile italiano attraverso una costante e concreta interlocuzione tra CEI e Miur: corsi di teologia per dipendenti della sovrintendenza, operatori del turismo, mediatori culturali, etc.
- Giungere ad un riconoscimento, da parte dello stato italiano, dei titoli teologici come laurea umanistica, così da consentire ai suoi cittadini che hanno studiato teologia/scienze religiose di poter partecipare a concorsi pubblici.
Alcuni punti saranno “ardui” da conseguire? Spero perlomeno sia solo l’ultimo punto …
Aggiungo un’ultima considerazione. A quanti invocano la presenza di ISSR (ma anche ITA) sparsi nel territorio, pena la scomparsa di “presidi culturali” in zone geografiche abbandonate dalle Istituzioni, o a coloro che invocano sempre la medesima presenza, al fine di garantire una formazione teologica dei laici, dico che nulla vieta alle singole diocesi di pensare a percorsi di formazione teologico-pastorale che possano rispondere a queste giuste e importanti esigenze.
Una cosa però è pensare alla formazione scientifica e accademica (con tutti i requisiti che essa comporta, non da ultimo almeno una qualche base economica), altra è la formazione culturale e religiosa in senso più ampio.
Tanto per essere chiari e concreti: in nessuna regione italiana ci sono, ad esempio, otto corsi di laurea in scienze politiche o in scienze storico-sociali. Se però, sempre nella medesima regione, vi sono dai cinque agli otto corsi di laurea in teologia e/o scienze religiose, non occorre aggiungere commenti…
L’ultimo punto è il più arduo, ma anche il più longevo per un vero ripensamento della teologia in Italia. Un sapere teologico scientifico a servizio dell’uomo e della cultura per attenuare l’analfabetismo religioso.
Gli studi teologici , per avere un riconoscimento a livello di titolo , dovrebbero avvenire in università pubbliche , dove insegnanti e curricula siano certificati da enti pubblici che garantiscano la preparazione dei docenti , la congruità curriculare e il rispetto della pluralità di visioni , ricerca e sviluppo della materia trattata . Niente di tutto questo nelle scuole di teologia italiane , dove valgono solo logiche clericali di cooptazione .
Fintanto che le ISSR saranno succursali dei seminari diocesani mi asterrei dal chiedere di più .. che non si faccia largo finalmente l’idea che la religione cattolica come “religione di stato” è ormai alquanto obsoleta .
Sono una nsegnante abbastanza vecchia,ho studiato lettere e anche filosofia,ho avuto l’onore di ospitare nella nostra famiglia seminaristi stranieri oggi sacerdoti che ho potuto aiutare anche ,con tutti i miei limiti, nello studio.Ma soprattutto conosco oggi giovani laici che hanno studiato in università pontificie ‘prestigiose’, conseguendo la licenza presso la facoltà di Beni culturali della chiesa nonché dottorandi con una passione quasi commovente verso i loro studi :giovani ai quali viene quasi negata la possibilità di ‘spendere’ nel senso anche e soprattutto cristiano di ‘mettere a servizio ‘il loro bagaglio culturale, a cominciare dalle diocesi di appartenenza, dove ancora si attribuiscono mansioni a persone quasi senza titoli ma con molti legami di altro tipo quali conoscenze ecc ecc.Mi chiedo a cosa possano servire istituzioni nuove se non ci si rinnova dentro, se continuiamo a piegarci a logiche che nulla hanno a che fare con la preparazione accademica ?Giovani che hanno studiato teologia,filosofia,oltre ovviamente le materie specifiche riguardanti il mondo della storia della chiesa e dei beni cukturali…giovani abbandonat i a se stessi,se figli di ‘nessuno’,eccetto la certezza meravigliosa di essere sempre e comunque figli di Dio.Perdonatemi,ma vi chiedo in ginocchio di ascoltare questo grido di bisogno di moralità all’interno delle istituzioni ecclesiastiche,di libertà dalla logica del potere che ci tocca tutti, ma quando chiude il cielo e il futuro ai giovani dovremmo fermarci, interrogarci.Ricominciare.
L’unico corso di laurea che potrebbe essere spendibile perché analogo ad un corso universitario statale è la licenza o il dottorato in storia della Chiesa. Oggi è l’unico studio escluso dalle equipollenze, e Dio solo sa quanto ci sarebbe bisogno di buoni professori di storia. Possibile cominciare a ripensare tutto questo?
In un alcuni contesti, penso alle Marche, si è già intrapresa la strada descritta al punto 1. Speriamo che si possa procedere. Una faccenda seria rimane: il diverso statuto epistemologico tra studi di teologia da una parte e scienze religiose.
Concordo!! Un unico percorso in teologia per tutti sarebbe decisamente migliore!!
Dall’ inizio di questo secolo (a.a. 2005-6) ho iniziato la frequenza ai corsi tenuti presso la Facoltà teologica, iscrivendomi in periodi diversi sia ai corsi del quinquennio (che ho frequentato consecuitivamente fino al quinto anno escluso, senza sostenere esami) sia all’ ISSRT, progettando di iscrivermi l’anno prossimo al secondo anno della specialistica. L’ argomento della tesi di baccalaureato ha attenuto alla fenomenologia e comportato quindi approfondimenti tanto di carattere filosofico che teologico. A me la prospettiva di mantenere non separata la ratio studiorum in un solo istituto sarebbe sicuramente sembrata indirizzare a una buona pratica fino da subito, anche se mi è sembrato interessante e utile anche sostenere alcuni esami estemporaneamente, sulla base dello specifico soggetto. (Mi è impossibile rileggere questo breve testo, spero che sia risultato chiaro). Saluti.
Sposo e concordo con i quattro punti suggeriti da Guglielmi. Io sarei anche per l’istituzionalizzazione di scuole di teologia diffuse sul territorio..Ci sono tanti laico, bravo e preparati, che se me possono occupare. Inoltre a mo avviso in questo processo di riforma i laici dovrebbero avere più peso e più spazio. Non può ancora una volta rimanere una questione clericale.
Si non può rimanere una questione clericale. Ho fatto alcuni studi teologici e devo dire che hanno appassionata. Penso che bisognerebbe allargare, “sdoganare” lo studio teologico ai laici perché giunti a un certo punto del cammino di fede si ha necessità di conoscere il pensiero, la riflessione cristiana. E questo a prescindere dalla necessità di avere una formazione in vista del servizio, ma per puro piacere del conoscere. A me, il poco che ho fatto, mi ha dato una certa fierezza di essere cattolica .