Anche se invocato da più parti, non sempre viene messo in atto in maniera adeguata quell’approccio basato sull’interazione critica tra saperi, non più solo esigenza di natura metodologica, ma che sta diventando in più ambiti di ricerca una vera e propria strategia di pensiero ad ampio raggio; e se condotto con strumenti appropriati permette di raggiungere proficui risultati cognitivi nelle discipline coinvolte con a volte l’apertura di inediti orizzonti esistenziali in quanto il cammino delle idee non è avulso dalle nostre scelte di vita, ma il combinato della «realtà della mente umana, della creatività umana e della sofferenza umana», come ha scritto Karl Popper nel Proscritto alla Logica della scoperta scientifica, fatto che spesso si dimentica e che fa da plafond con un altro linguaggio all’esperienza di vita e di pensiero di Simone Weil.
Così, ad esempio, una persona impegnata in un determinato ambito, come quello religioso, è portata ad interrogarsi su alcuni scenari a cui approdano certi risultati in campo scientifico che costringono a rivedere sotto altra luce i punti fondamentali della propria esperienza di fede; si segnala in tal senso il lavoro di Marco Bernardoni, religioso dehoniano laureatosi prima in Ingegneria delle telecomunicazioni col conseguire poi la licenza in Teologia dogmatica, Scenari dalla fine del mondo. Teologia e scienza nell’opera di Robert John Russell (Bologna, EDB 2021), dove si prendono in considerazione i contributi di uno dei maggiori protagonisti, insieme a Ian Barbour, di quell’«impresa chiamata Theology and Science» e fondatore del Center for Theology and the Natural Sciences (CTNS).
Tali iniziative sono nate nel mondo anglosassone e in quello statunitense, in particolar modo, nell’area della teologia riformata liberale per avviare su nuovi binari il sempre «delicato rapporto fra il sapere scientifico e il sapere critico della fede cristiana», che per diverso tempo correvano come due linguaggi indipendenti e magisteri separati come sostenevano, per esempio, Steven Gould, da una parte, e, dall’altra, in area protestante figure come Karl Bart e Paul Tillich.
Questo lavoro è il seguito di altri studi dedicati all’analisi critica di alcune strategiche “parole della scienza” come teorie e modelli, continuo e discreto, forma e materia, e condotti alla luce delle più recenti acquisizioni incentrate da una parte sull’idea di “pensiero delle scienze” in base ai risultati del ’900, dalla relatività e meccanica quantistica alle teorie del caos e della complessità, e dall’altra del “pensiero sulle scienze” in ambito storico-epistemologico, tenuta metodologicamente presente da Bernardoni, idea che ha trovato nell’espressione pensée des sciences avanzata negli anni ’30 da Gaston Bachelard una più precisa fisionomia nel “pensare con le scienze e attraverso di esse”; un simile approccio gli ha permesso di cogliere in pieno la portata concettuale del pensiero di Robert J. Russell incentrata sulla strategica idea di creative mutual interaction tra teologia e scienze, insieme con la necessità di una loro «interazione bidirezionale» una volta che questi ambiti si siano liberati rispettivamente delle rispettive visioni unilaterali col mettere definitivamente da parte «l’interpretazione “letterale” delle proprie teorie», fatto già denunciato in area cattolica da Giovanni Paolo II nel definire «dono di Dio» l’operato di Galileo per averci liberato dalla «dittatura del letteralismo biblico».
Questo richiede da entrambe le parti un bagno di umiltà nel senso che i teologi, per Bernardoni, devono accettare le continue «sfide che la scienza porta alle loro affermazioni» e, dal canto loro, gli scienziati devono ammettere che i percorsi che intraprendono sono guidati «da assunzioni filosofiche che funzionano creativamente – e derivano (anche) da posizioni filosofiche e teologiche implicite», come ha dimostrato magistralmente Hélène Metzger in un lavoro del 1938 su Newton e i dibattiti teologici nella cosiddetta “fisico-teologia” del ’700 (Hélène Metzger vittima della Shoah, filosofa della scienza, Odysseo 27 gennaio 2021).
Ma per approdare ad un simile esito che poi diventa il punto di partenza sia per scienziati che teologi, e non solo, è necessaria la presa in carico sul terreno non solo teoretico, ma anche esistenziale della complessità del reale o sua “rugosità”, per usare l’espressione weiliana, esigenza che là dove penetra è in grado di apportare i più significativi cambiamenti paradigmatici e di far vedere sotto altra luce il senso dei vari “eventi di verità”, come li chiama Alain Badiou e tipici dell’avventura umana in ogni campo; questo richiede ormai ad ogni livello l’abbandono di posizioni dualistiche che sfociano inevitabilmente in assolutizzazioni ideologizzate, come philosophia universalis o spiegazione generale del reale e theologia perennis, frutto dell’interpretazione “letterale” sia del Libro della natura che del Libro della rivelazione e che hanno portato al secolare conflitto tra scienza e fede e a quello che da più parti è stato definito il “modello bellico” col raggiungere il suo culmine nel XIX secolo col produrre, da una parte, lo scientismo e, dall’altra, forme di autoritarismo ecclesiastico.
La Theology and Science nel suo complesso, anche per la presenza attiva al suo interno di alcuni “scienziati-teologi” in analogia con quanto avvenne tra ’800 e ’900 grazie al ruolo decisivo di “scienziati-filosofi” del calibro di Henri Poincaré e Albert Einstein nell’avviare su nuove basi il dialogo costruttivo tra scienza e filosofia, ci offre per Bernardoni un ampio ventaglio di strumenti concettuali per superare questo stato di cose come l’idea di hypothetical consonance, avanzata da Robert J. Russell in vari lavori come ad esempio Cosmology. From Alpha to Omega. The Creative Mutual Interaction of Theology and Science del 2008, Cosmology, Evolution, and Resurrection Hope del 2006 insieme ad altri saggi su Eschatology and Scientific Cosmology scritti in questi ultimi anni.
La “consonanza ipotetica” si rivela uno strumento ermeneutico in grado di far dialogare tra di loro le diverse forme di conoscenza e di intelligibilità del reale, ognuna col suo carico di specifici contributi di verità che, vagliati sul terreno epistemico senza cadere in forme di rinnovato “concordismo”, interagiscono creando le basi per un mutuo arricchimento e possono portare ad un nuovo modo di interpretare «gli elementi fondanti la cosmologia scientifica» come le varie ipotesi sul big-crunch, il big-chill e il big-rip; esse arricchiscono la stessa riflessione teologica e in particolar modo l’escatologia cristiana, come avvenne del resto con le scoperte astronomiche di Galileo che richiedevano però un vero e proprio renversement epistemologico-ermeneutico per essere colte nel loro pieno spessore veritativo sia per la scienza che per la stessa esperienza di fede.
In tal modo si pongono le basi per superare il plurisecolare divario tra scienze naturali e discipline teologiche, la nefasta idea del duplice ordine di verità, quello della scienza legato esclusivamente ai “fatti”, e quello dato dalla religione in grado di “rivelare” il senso del reale e dell’uomo; come diceva con altre parole Giovanni Paolo II, due percorsi di verità non possono mai entrare in conflitto tra di loro, sono le false interpretazioni dell’uno e dell’altro che entrano in conflitto con lacerare le menti e condurre su falsi binari.
Ma lo sforzo di Russell, fisico-teologo, non si limita a far prendere atto alla riflessione teologica del valore veritativo intrinseco nelle più recenti teorie cosmologiche, ma nel farne delle vere e proprie risorse per ridefinire il senso stesso dell’uomo, del cosmo, della natura col porre all’attenzione la problematica della “fine” del mondo in base alle “consonanze” riscontrate tra la dimensione escatologica propria della tradizione cristiana e i dati provenienti da diversi settori scientifici; e su questa scia di tali indicazioni metodologiche, Marco Bernardoni tenta una non facile operazione tendente a ridare senso al percorso dell’escatologia cristiana e, nello stesso tempo, “credibilità” alla rivelazione col mettere sul tappeto la questione degli «scenari catastrofici sul futuro dell’universo».
Se la questione delle origini dell’universo, grazie alla Theology and Science, ha trovato più facilmente delle “consonanze” con gli studi delle discipline scientifiche, sia per Russell che per Bernardoni, tali possibili “scenari”, che le diverse teorie cosmologiche avanzano sulla fine dell’universo, possono sembrare entrare in conflitto con alcune verità di fede cristiane che vedono nella risurrezione un percorso teso alla «trasformazione di questo mondo nella “nuova creazione”».
A differenza di altri che, pur avendo col mondo scientifico un dialogo costante, affermano come Arthur Peacocke «l’irrilevanza della cosmologia per la teologia», Russell è dell’avviso, sulla scia di un altro teologo-fisico anglicano come John Polkinghorne, che bisogna lavorare ad una escatologia che «prevede la trasformazione del presente universo fisico nella “nuova” (ed eterna ) creazione» con l’affrontare la questione della «storicità della risurrezione corporea di Gesù e dei racconti della tomba vuota».
In tal modo si pongono le basi per quella che chiama «escatologia “scientifica” relativisticamente corretta» che deve riguardare il futuro e deve essere elaborata «in un dialogo stretto con i risultati della scienza» col tenere in debito conto le “implicazioni” filosofiche in primis delle teorie relativistiche e quantistiche; nello stesso tempo, Russell ci offre delle linee guida per una «teologia elaborata alla luce della scienza» e per portare avanti tale progetto di «revisione e di ripensamento dell’escatologia» con considerare «condizione vincolante» il ruolo del modello cosmologico standard, corretto con l’ipotesi inflattiva, da prendere come imprescindibili «“dati’ per la teologia, in particolare se filosoficamente interpretati» e se ben compresi come diceva il gesuita e biopaleontologo Pierre Teilhard de Chardin.
Molti, pertanto, sono gli spunti di riflessione impliciti nel percorso di Robert J. Russell evidenziati da Marco Bernardoni con un non comune senso critico come, ad esempio, i benefici che le discipline teologiche possono derivare dal loro dialogo con le scienze naturali, ritenute indispensabili per affrontare la «relazione tra Dio e il mondo» e lo stesso tema della creazione; e, nell’accettarne l’implicita dimensione veritativa, rafforzano il loro modo di essere e di mettere in atto una scienza storica e quindi “relativa” nel mettersi criticamente in rapporto con altre forme di sapere.
In tal modo, si ha lo strumento per difendere anche la loro autonomia con l’approfondire il proprio statuto epistemologico e soprattutto questo serve a chiarire, nel processo di “interazione bidirezionale” e di “consonanza” con altri eventi di verità, ciò che sono in grado di dare alla scienza stessa; tali contributi trovano il loro spazio proprio nell’ambito del «contesto della scoperta (costruzione della teoria)» e della «scelta fra progetti scientifici in competizione fra di loro (theory choise)» con l’individuare «nuovi campi di indagine rimasti nell’ombra».
E sugli strategici temi della creazione e della fine dell’universo, cosmologia e escatologia non possono più procedere l’una separata dall’altra e sulla loro inscindibile relazione si gioca quella che Robert J. Russell, con linguaggio quasi in comune con quello di Edgar Morin, chiama la “nuova riforma” del pensiero, percorso dove – come sottolinea Marco Bernardoni – «tutto quanto si pensa e si crede verrà ripensato in termini completamente nuovi» sulla scia anche di alcune “profetiche” indicazioni avanzate da Alfred N. Whitehead, agli inizi del secolo scorso, e relative al fatto che, data l’importanza per l’umanità sia della scienza che della religione, «il corso della storia futura dipende dalle decisioni della nostra generazione riguardo ai loro rapporti».
Non è stato dunque un caso se, in area cattolica, Giovanni Paolo II ha messo al centro del suo magistero anche una costante attenzione verso i “problemi della scienza” col promuovere una serie di iniziative tese ad un rinnovato dialogo costruttivo; in tale contesto viene ad assumere un ruolo cruciale la rinnovata presenza di “teologi scienziati” o “scienziati teologi” come ad esempio Giuseppe Tanzella-Nitti e il più giovane Marco Bernardoni impegnati, come viene indicato nella recente Veritatis gaudium, a più livelli nel portare avanti un discorso orientato in tal senso.
MARCO BERNARDONI, Scenari dalla fine del mondo. Teologia e scienza nell’opera di Robert John Russell, EDB, Bologna 2021, coll. Studi e Ricerche, pp. 168, € 15,00, EAN 9788810217092.
- Questa recensione è stata pubblicata sulla rivista online Odysseo.