Nella locandina dell’imminente seminario annuale del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI), in programma a Roma il 15 aprile, non si vedono donne; né le donne compaiono nel titolo: «Verso una teologia pubblica. Storie, conflitti, visioni». Eppure si tratta di un appuntamento che nasce da una profonda consapevolezza di genere e non ha niente di neutro. Allora, immagine e titolo “sbagliati”?
No. È solo che – ci suggerisce l’immagine – le donne non sono un oggetto da analizzare, ma un soggetto che, dall’interno, costruisce il mondo e lo nomina; e che – passando al titolo – lo fa attraversando territori maturati proprio in decenni di riflessione femminista: l’inaggirabilità delle storie, la necessità del conflitto e il desiderio non di ottenere la propria parte in un sistema fondato sulla disparità e l’ingiustizia, ma di cambiare paradigmi e strutture, in modo che il mondo diventi casa di relazioni ospitali. Cambiarli a partire da quanto le donne hanno vissuto, patito, combattuto, intuito e plasmato: un deposito di genere vivo e generativo, a cui non si può né si intende rinunciare.
Teologia e genere: il CTI compie 20 anni
C’erano questo sguardo, queste voci e queste visioni quando, nel 2003, Marinella Perroni, Renata Natili, Adriana Valerio, Maria Luisa Rigato, Serena Noceti, Nadia Toschi, Stella Morra, Manuela Terribile, Cettina Militello, Letizia Tomassone e Cristina Simonelli fondarono il CTI «per valorizzare e promuovere gli studi di genere in ambito teologico, biblico, patristico, storico in prospettiva ecumenica e favorire la visibilità delle teologhe nel panorama ecclesiale e culturale italiano».
E ci sono anche oggi, dopo vent’anni di iniziative scientifiche e divulgative (fra queste ultime, i corsi online di teologia delle donne: puliridisciplinari nel 2020 e 2021, tematico sull’eco-teologia nel 2022), pubblicazioni, studi, relazioni intrecciate nella vita delle Chiese, nelle accademie, con altre associazioni teologiche, in particolare grazie al lavoro comune nel CATI) .
Per questo compleanno “tondo”, il Coordinamento ha scelto di dedicare il consueto seminario annuale (aperto, previa iscrizione, a tutte le persone interessate) a un tema che, appunto, dice il radicamento – reale, non retorico – della fede nelle concrete esistenze, della teologia nella città, del futuro nelle asperità del presente. E per riflettere sulla possibilità di una teologia femminista dal volto pubblico – cioè per chiedersi come la teologia femminista può interloquire con gli altri saperi in vista della costruzione del bene di tutte e tutti, ci si ritrova in un luogo che già in sé dice dell’“uscire dai recinti”: la Città dell’Altra Economia.
Una giornata, molte voci
Diverse le prospettive che si alterneranno nell’intenso programma del 15 aprile.
Aprirà i lavori la teologa Elizabeth Green, pastora battista, a partire da una domanda: quale teologia per quale pubblico? Non si può infatti dare per scontato che una teologia pubblica sia possibile in Italia, né che questa teologia pubblica sia spazio per il discorso delle donne.
Nella scommessa di un futuro in questo senso, verranno messe a fuoco alcune pratiche di trasformazione dei contesti conflittuali e ingiusti, che si presentano come alternative al sistema patriarcale dei conflitti e della giustizia rigenerativa.
Di questi modelli di speranza, particolarmente rilevanti per le donne che hanno sperimentato violenza, si occuperà Marinetta Cannito, formatrice e consulente internazionale in materia di Trasformazione dei conflitti e Restorative Justice.
In un tempo come questo, affamato di pace, una comprensione positiva e un approccio sistemico al conflitto e una comprensione del potere come processo relazionale portano a nuove letture e a nuovi processi di guarigione e di riequilibrio dei rapporti sociali.
La filosofa Annarosa Buttarelli si soffermerà sulla posizione genealogica rivoluzionaria delle donne, resa possibile ed efficace in un ambiente interiore di fede o di accentuata ricerca spirituale. La lotta contro l’assoggettamento femminile preteso dai poteri trova punti di leva nelle radici più profonde, quasi sempre vicine alla via mistica, rivelando una sovranità posta a livello dell’amore filosofico-politico.
Il pomeriggio si aprirà con un dialogo tra la biblista Marinella Perroni e la scrittrice Michela Murgia, autrice del recente God Save the Queer. Catechismo femminista (Einaudi 2022).
L’ultima relazione sarà di Serena Noceti, ecclesiologa, che, analizzando il cosiddetto “potere di rendere conto” ad altre e altri, cercherà di immaginare una Chiesa diversa, ispirata dal coraggio di fare dei dati una visione, per vivere il potere come occasione per autorizzare e sostenere libertà.
Chiuderà la riflessione una tavola rotonda tra generazioni diverse, in cui si confronteranno: Luisa Alioto, teologa specializzata in studi giudaici; Maria Bianco, docente di filosofia e di teologia al Centro Hurtado e alla Pontificia Università Antonianum; Stella Morra, docente di teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana.
Al termine, «Mayn Lid. Un percorso tra parole e musica», a cura di Maria Teresa Milano.
Ho sostenuto alcuni esami di teologia in Cattolica, primi anni ’90 e fortunatamente non esistevano esami per donne e uomini separati, nemmeno fossi mia nonna. Sono contenta di aver potuto studiare questa splendida materia in quegli anni fortunati.
Detto ciò, buon lavoro.
Io credo che Maria sia stata ed è la più grande teologa, mi basta sentire le sue poche e illuminanti parole per riflettere. Eppure non si è fatta Sacerdote, diacona né femminista a tutti i costi. Lei la creatura più femminile che ci sia da sempre. Ciò che non capisco è quella parte di noi donne che sembra voglia avere più… potere (sinceramente credo ne abbiamo abbastanza) ed inoltre il cercare di rendere mondana la chiesa per accontentare quelle richieste sfrenate di modernità come l’eccesso di femminismo e le benedizioni alle coppie omosessuali? Mi domando perché venga invitata la signora Murgia che sicuramente non rappresenta la maggioranza di noi donne cattoliche?
Nkn so dove si legga che il CTI sia riservato alle donne. I maschi che ne abbiano i titoli sono ammessi e benvenuti nel CTI. I nostri soci condividono la prospettiva di genere e fanno teologia con la consapevolezza che il maschile è parziale. Quando al nome dell’associazione declinato al femminile, non è un problema per i nostri soci. A noi donne, del resto, capita spesso di far parte di associazioni declinate al maschile, per esempio associazioni di “giuristi”, nel mio caso.
Benissimo.
Quindi anche i maschi possono far parte del Coordinamento Teologhe Italiane.
Meglio così.
Non sarebbe meglio allora, in nome della parità di genere , cambiare nome?
Che so.
Coordinamento Teologhe e Teologi Italiane e italiani?
Oppure al contrario.
Coordinamento Teologi e Teologhe Italiani e italiane.
Sarebbe meglio e non provocherebbe incomprensioni.
Se si è potuto cambiare il rito della Messa (fratelli e sorelle) si potrà bene cambiare il nome di una associazione.
Se l’esistenza di un’associazione a carattere scientifico, che ammette solo donne, è giudicato «cosa da pazzi», che dire di istituzioni a carattere universale, nelle quali l’autorità intellettuale e la giurisdizione continuano ad essere di pertinenza esclusiva dei maschi? Eppure il potere di questi maschi ha sempre riguardato e continua a riguardare pure i corpi delle donne.
Inoltre l’esempio del coordinamento dei giuristi italiani solo maschi mi pare quanto meno un oltraggio al pudore … storico! A parte i consapevoli nostalgici dell’Italia del Ventennio, dovrei ricordare che nel nostro paese solo con grandissimo ritardo e a partire dagli Anni Sessanta (oggi tanto vituperati) e solo grazie alla «rivoluzione femminista» (deprecatissima!!!) le donne hanno avuto accesso alla magistratura. E mi fermo qui ….
Appunto.
Gli anni sessanta.
2020-1960=60.
Sono passati sessant’anni.
Sessanta.
Mi pare arrivato il momento di fare un passo avanti.
Basta con la nostalgia.
Bisogna pensare al futuro non al passato.
Prendere atto che donne e uomini hanno un cervello che funziona allo stesso modo.
Allora che senso ha tenere separati teologi e teologhe, fisici e fisiche, giuristi e giuriste etc?
Ma sul serio esiste un’associazione a carattere scientifico che ammette solo donne?
Cose da pazzi.
Ve l’immaginate un Coordinamento giuristi italiani aperto solo ai maschi?
Sarebbe certamente considerato un reperto da museo (nella migliore delle ipotesi).