Sulla mia proposta “post-teista”: una risposta

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mirò

Vorrei rispondere qui, su Settimana News, a un articolo apparso su questa rivista (12 dicembre 2024), scritto da Paolo Trianni, in cui viene presentata una recente pubblicazione di Stefano Fenaroli dal titolo La teologia della Deep Incarnation. Si tratta di una dissertazione dottorale in teologia, pubblicata dalla casa editrice Queriniana. Paolo Trianni espone le caratteristiche principali di questa dissertazione, presentata alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, il cui relatore è stato il professor Alberto Cozzi.

In questa mia nota, mi concentrerò su quanto Stefano Fenaroli afferma nel sesto capitolo del suo libro: La teologia della Deep Incarnation. Indagine, dialogo e prospettive (Queriniana, Brescia 2024). In quelle pagine (pp. 353-426), l’autore vuole confrontarsi con il mio lavoro di ripensamento post-teista della fede cristiana, presentato nel mio recente volume, Deus DuepuntoZero (Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano 2022).

L’intenzione «ambiziosa» del mio lavoro

Paolo Trianni, nella sua esposizione, richiama alcune delle fonti del mio pensiero, facendo riferimento alle opere che ho pubblicato in giovane età. In particolare, cita la mia dissertazione teologica del 1992, dedicata al tema dell’analogia nel pensiero del teologo luterano Eberhard Jüngel. In quel lavoro, seguendo la prospettiva di Jüngel, tentavo di elaborare un’analogia fidei ispirata a un modello di ontologia relazionale. Nel 2005 scrissi un manuale di cristologia, intitolato Questo Gesù. Pensare la singolarità di Gesù Cristo (EDB, Bologna 2005). Proseguendo la riflessione sulla singolarità di Gesù, ho cercato in quest’opera di approfondire ulteriormente l’ontologia relazionale attraverso un cammino storico-critico sulla figura di Gesù e una rilettura dei dogmi cristologici.

Desidero fare, innanzitutto, una precisazione importante: tra il 1992 e il 2022, anno di pubblicazione del mio libro Deus DuepuntoZero, trascorrono trent’anni. Sono un tempo lungo. In trent’anni, una persona cresce, matura. Il pensiero evolve, integra nuove prospettive, riconsidera aspetti trascurati in precedenza. Come ricorda papa Francesco, il pensiero è incompleto, e ciò vale ancor di più per quello teologico, segnato dalla fragilità e dall’autocritica davanti alla Parola del Mistero.

In particolare, due dimensioni hanno guidato la mia ricerca teologica in questi ultimi anni e mi hanno portato a «rivedere» il paradigma dell’identificazione escatologica così come elaborato da Eberhard Jüngel: il dialogo con le altre religioni e la dimensione cosmica della cristologia. Ne è scaturita una cristologia più inclusiva, capace di cogliere la singolarità di Gesù Cristo in rapporto al cosmo e alle altre tradizioni religiose.

Alterità di Dio e della creatura

A questo punto, voglio esaminare alcune delle obiezioni che mi sono state sollevate. La prima questione riguarda il modo di intendere il rapporto tra il finito e l’infinito, tra alterità divina e creatura.

Mi viene obiettato che la mia posizione teologica sia eccessivamente sbilanciata sull’identità di Dio, fino al punto di «annichilire» la creatura. Più volte, infatti, nell’opera Deus DuepuntoZero e in articoli precedenti (dal 1995 a oggi), ho utilizzato una particolare equazione per esprimere la tesi di fondo del Monismo Relativo: x = x + y. Con questa equazione voglio indicare che l’identità di Dio (rappresentato da «x», cioè l’incognito) si dà nella relazione con la creatura (indicata con «y»). Questa relazione non aggiunge nulla all’identità di Dio (x = x).

Perché ciò sia possibile, l’essere della creatura (y) deve essere compresa in termini di relazionalità. Senza questa relazionalità, la creatura «non è», non ha un’esistenza autonoma. Ciò che costituisce l’autonomia della creatura è proprio la sua relazionalità. Per esprimere che la creatura è nulla senza la relazionalità a Dio, utilizzo il simbolo: y = 0. Dire che la creatura in sé è «nulla», significa affermare che essa va compresa in praedicamento relationis, cioè che è nulla se si prescinde dalla sua relazionalità-a-Dio.

Il mio pensiero non intende affatto annichilire la creatura ma rilevarne la sua totale e radicale relazionalità.

Panenteismo e creaturalità

Paolo Trianni e Stefano Fenaroli fanno riferimento a una visione panenteistica entro cui comprendere Dio, il creato e la loro relazione. Questa è anche la prospettiva di molti esponenti del cosiddetto «Teismo personale», noto anche come «Teismo aperto» (Open Theism).

Vi sono sostenitori del panenteismo – come Gregersen, Edwards e altri – che giungono ad affermare che Dio si lascia muovere, com-muovere dalla creatura. Ma anche qui, niente di nuovo! Già lo diceva Jüngel. «[L’essere creato] muove dall’interno l’essere del Dio che crea»[1]. Questo lasciarsi muovere, tuttavia, non implica un mutamento nella natura divina. Sorprende che Fenaroli, nel sesto capitolo del suo libro (p. 409), non si accorga della «leggerezza» delle sue affermazioni. Da un lato, mi contesta che «[l’] evento dell’incarnazione […] non è qualcosa di “già presente” in un Dio ultimamente immutabile»; e, dall’altro, afferma un «divenire di Dio» senza precisare teoreticamente tale affermazione.

L’incarnazione è certamente il divenire «di Dio», ma non nel senso che da un Dio del prima dell’incarnazione (ἄσαρκος) si passi a un Dio del dopo (ἔνσαρκος) l’incarnazione, come se ci fosse una alter-azione di Dio (genitivo soggettivo). Come se ci fosse un prima e un dopo in Dio, per voler così affermare a tutti i costi una novità in Dio.

La risposta di Rahner è chiara. «Il Dio in sé stesso immutabile può, in un altro, essere mutevole, può cioè diventare uomo»[2]. Non è che Dio diventi altro, nel senso di alterarsi, ma Dio diventa «in» altro. Questo «altro», in cui Dio diventa mutabile, è l’uomo Gesù. Il divenire di Dio, dunque, significa che la storia di Gesù (nascita, vita e morte) appartengono, definiscono Dio. Gesù è la definizione di Dio, e, dato che il finito è essenzialmente «storico», Gesù è la storia di Dio.

Come predicare di Dio una novità che sia né un mutamento di Dio, né riferita solamente alla creatura? La vaghezza o leggerezza della posizione di Fenaroli non è capace di articolare coerentemente una risposta. Cosa invece che il punto di vista sub specie aeternitatis consente[3].

Singolarità di Gesù Cristo

Mi viene rivolta la critica che, nella mia teologia attuale, non sottolinei in modo sufficiente la differenza tra Gesù Cristo e l’umanità. Secondo alcuni, questa carenza comprometterebbe la comprensione della «singolarità» di Gesù Cristo. In questo senso, cadrei in contraddizione con quanto affermavo nel mio testo Questo Gesù. Pensare la singolarità di Gesù Cristo.

Rispondo dicendo che è stata la frequentazione con le teologie del pluralismo religioso, in particolare con i testi di Jacques Dupuis e Paul Knitter, che mi hanno portato a riconsiderare il rapporto tra la singolarità di Gesù Cristo e la storia della salvezza universale. Ritengo che l’evento dell’unione ipostatica sia certamente unico, ma non esclusivo.

Nel mio testo Deus DuepuntoZero comprendo l’unicità dell’incarnazione nell’orizzonte di ciò che Rahner chiama cristologia evolutiva. Per il teologo gesuita, l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo costituisce il «caso supremo dell’attuazione essenziale della realtà umana, attuazione consistente nel fatto che l’uomo è colui che si abbandona al mistero che chiamiamo Dio»[4]. Si sente qui l’influenza di Teilhard de Chardin.

Secondo Rahner, l’unione ipostatica rappresenta l’evento fondativo di un movimento più ampio, in cui l’intero mondo viene compreso come orientato verso Dio, diretto verso il suo compimento escatologico[5]. L’incarnazione è «uno e un solo evento» non per l’identità del Verbo, ma perché unico è l’evento apicale, culmine e anticipazione dell’unione divino-umana.

Questo processo dinamico della unione tra divino e umano è compreso secondo una cristologia non solo evolutiva ma anche ispirata al calcedonismo cristologico. È importante sottolineare che Rahner ne segue la forma «pura» e non la sua variante neo-calcedonese.

In un suo saggio fondamentale, Rahner così riassume la sua prospettiva: «Gesù è un vero uomo, un genuino frammento di terra, proprio un momento interno del divenire biologico di questo mondo, un prodotto della storia naturale umana, in quanto è nato da una donna. È un uomo, il quale è, al pari di noi, un soggetto ricevente di quella autocomunicazione di Dio per via di grazia che noi affermiamo goduta da tutti gli uomini, e quindi anche dal cosmo come punto culminante dell’evoluzione, nel quale acme il mondo raggiunge in modo radicale sé stesso e la più stretta unione con Dio. Egli è colui il quale […] ha dato la più perfetta accoglienza della grazia donatagli da Dio e ottenuto il più perfetto accostamento con lui, realizzando così sino al massimo grado le caratteristiche umane da lui possedute»[6].

La singolarità dell’esperienza di Gesù non è un evento «meteora» isolato, ma costituisce un punto culminante all’interno di una storia evolutiva e culturale.

Eschaton e divinizzazione personalista

Un’altra critica che mi è stata rivolta riguarda la prospettiva escatologica della mia teologia. Secondo alcuni, la mancata affermazione dell’identificazione singolare ed esclusiva di Dio con l’evento di Gesù Cristo comporterebbe una perdita del carattere personale dell’evento finale escatologico, quando tutto sarà ricapitolato in Cristo (cf. Ef 1,10). Secondo questa interpretazione, la mia concezione della divinizzazione universale rischierebbe di dissolvere il creato in una vaga e amorfa unità con il divino, che annulla le individualità (cf. Deus DuepuntoZero, 461-464).

Quando affermo che l’io si perde nel di Cristo (cf. Mc 8,34-35; Mt 16,24-26; Lc 9,23-25; Gv 12-23-25) non faccio altro che riferirmi a ciò che Teilhard de Chardin e Bede Griffiths sostengono. Nel saggio Cristianesimo e Panteismo, Teilhard sottolinea che nel «Punto Omega» l’unità e la molteplicità, la personalizzazione e l’unione, crescono in modo direttamente proporzionale[7].

Le singole personalità, nell’unità cristica, non si confondono, ma si comprendono in una nuova relazione nonduale, cioè non più separate le une dalle altre (cf. Ef 2,15-16). In tal senso viene in aiuto anche il monaco benedettino Bede Griffiths che nel suo Commento alla Bhagavad Gita, risponde alla questione di come unità e molteplicità si coniughino insieme nella identità divina, affermando che nel corpo mistico di Cristo, gli individui non sono più isole separate, ma persone pienamente realizzate in un «nuovo soggetto più grande»[8]. Unici nell’uni-cum[9].

Conclusioni

Spero di avere risposto alle critiche mosse da Stefano Fenaroli, e fatte proprie da Paolo Trianni. Queste critiche derivano principalmente da estrapolazioni non accurate di alcune affermazioni del mio testo; da una mancata comprensione dell’ontologia relazionale che assumo nel mio lavoro; da una scarsa considerazione del Monismo Relativo come base per la mia riflessione, una prospettiva più affine alle ricerche sul Panenteismo iniziate da Klaus Müller (Università di Münster, Germania) piuttosto che all’ontologia relazionale della Scuola Milanese.

Ciò che ho presentato qui è solo un abbozzo di riflessioni che avrò modo di articolare ulteriormente in altra sede. Spero che il dibattito intorno a questioni così essenziali per la fede cristiana e sui vari modelli di ontologia relazionale possa continuare ad animare la già vivace e feconda teologia italiana.

Mi auguro, inoltre, che il confronto possa svolgersi nello spirito della trans-disciplinarietà auspicata da papa Francesco, permettendo una crescita condivisa e una maggiore comprensione delle sfide che il pluralismo religioso e la visione cosmica della fede pongono alla teologia contemporanea.


[1] Eberhard Jüngel, Dio mistero del mondo, Queriniana, Brescia 1982, 59.

[2] Karl Rahner, Corso fondamentale sulla fede, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1990, 288.

[3] Cf. Giuseppe Barzaghi, «Anagogia e teoria del fondamento», in Divus Thomas, 119 (2016), 17-47, ivi 43.

[4] Ibidem, 285.

[5] Cf. Ibidem, 241.

[6] Karl Rahner, «La cristologia nel quadro di una concezione evolutivo del mondo», in Saggi di cristologia e di mariologia, Paoline, Roma 1965, 164.

[7] Cf. Teilhard de Chardin, «Panteismo e Cristianesimo», in Pierre Teilhard de Chardin, La mia fede. Scritti teologici, Queriniana, Brescia 1993, 77.

[8] Cf. Omelia del Sabato Santo di Epifanio di Salamina. Omelia di Papa Benedetto XVI della Veglia di Pasqua 2006.

[9] Bede Griffiths, Rivers of Compassion. A Christian Commentary on the Bhagavad Gita, Amity House, New York 1987, 171.

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7 Commenti

  1. Adriano Bregolin 2 gennaio 2025
  2. Giovanni Ruggeri 31 dicembre 2024
    • Paolo Gamberini 1 gennaio 2025
      • Giovanni Ruggeri 1 gennaio 2025
  3. Paolo Gamberini 31 dicembre 2024
    • Fabio Cittadini 1 gennaio 2025
  4. Fabio Cittadini 31 dicembre 2024

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