L’appello di Sergio Tanzarella
Il 23 maggio 2022 il professor Sergio Tanzarella scriveva su questa rivista una lettera aperta ai rettori e direttori delle varie università ed istituti teologici affinché la «teologia della pace» potesse incontrare maggiore accoglienza nei piani di studio universitari (cf. qui su SettimanaNews).
Nel lanciare questo appello, Tanzarella ha toccato un nervo scoperto e provocato la coscienza di molti, ma è rimasto in larga parte disatteso. È abbastanza evidente, infatti, e soprattutto singolare, che la pace e la nonviolenza, nonostante la loro urgenza e rilevanza, rimangano questioni marginali nelle accademie universitarie. Da questo punto di vista, effettivamente, è inevitabile parlare di un ritardo della teologia davanti alla storia.
Sorprende anzi non poco che dopo il Concilio vaticano II ci sia stata una vera e propria moltiplicazione delle così dette teologie delle realtà terrestri, senza che però abbia trovato pieno sviluppo quella più importante: la teologia della pace. Non è chiaro se ciò dipenda dal fatto che nonviolenza e teologia siano ancora associate all’utopia, o se, semplicemente, queste tematiche appaiono troppo vicine alla teologia spirituale e all’etica, condividendo pertanto la loro medesima sorte di sottovalutazione rispetto alle discipline dogmatiche.
Se ciò corrispondesse a verità, saremmo di fronte ad una colpevole ignoranza di quanto fede ed opere siano tra loro collegate e di come anch’esse sollevino domande teologiche radicali e profondissime. Non c’è dubbio, comunque, che la scarsa attenzione che le università riservano alla teologia della pace sia legata anche al suo incompiuto statuto epistemologico.
C’è ma non si vede
Il professor Tanzarella, nel suo articolo, metteva il prefisso «per» al genitivo teologico di «teologia della pace». Con questa scelta terminologica voleva appunto sottintendere che una tale disciplina finora non c’è e si sta ancora affannosamente procedendo «verso» la sua nascita.
Volendo commentare tale convenzione, si possono fare, però, almeno tre osservazioni: che una teologia della pace è oggettivamente possibile; che essa in larga parte c’è già; e che il problema riguarda soltanto l’inserimento nei piani di studio, probabilmente a causa del fatto che non viene considerata sufficientemente scientifica o adeguatamente teologica.
Rispetto alla prima osservazione, è necessario ribadire che la teologia della pace è oggettivamente possibile, perché per la sua istituzione non c’è nemmeno bisogno di fare ricorso a un metodo induttivo. Volendo strutturarla, infatti, si può tranquillamente fare ricorso al classico metodo genetico, dal momento che il tema è largamente presente nella Bibbia e nella Tradizione della chiesa.
Per quanto invece riguarda il secondo punto, è necessario precisare che la teologia della pace va sì meglio strutturata ed organizzata, ma c’è già. È opportuno ricordare, al riguardo, che esiste persino, in due volumi, un Enchirdion della Pace[1] ed è stato anche stampato un Dizionario di teologia della pace[2]. Le pubblicazioni che hanno per titolo questo tema, a partire da Theology of peace di Paul Tillich, non mancano[3]. È persino disponibile una collana, come quella curata da Rocco Altieri del Centro Gandhi di Pisa, interamente specializzata nella promozione della nonviolenza.
D’altro canto, da alcuni anni in varie facoltà statali – ma anche pontificie come alla Pontificia Università Lateranense – è possibile laurearsi in «Scienze per la pace». Tuttavia, dando una scorsa ai loro programmi, è facile evincere come la dimensione prettamente spirituale e teologica sia praticamente assente. Un discorso simile vale anche per la cattedra «Giustizia e Pace» istituita all’interno della facoltà di teologia dell’università Antonianum.
In generale, quindi, è doveroso ammettere che il contesto italiano, sia le università statali sia ecclesiastiche, trascura la nonviolenza e i suoi maestri. Ciò è tanto più incomprensibile se si pensa che l’Italia può andare fiera della propria tradizione pacifista, che annovera figure come A. Capitini, D. Dolci, E. Moneta, don Milani, don Tonino Bello, G. La Pira e Lanza del Vasto (a cui è stato dedicato un premio di laurea nell’ambito della macroarea di Lettere e filosofia dell’università di Tor Vergata: cf. qui).
In Italia, inoltre, non mancano nemmeno associazioni impegnate come «Pax Christi», il «Movimento Internazionale della Riconciliazione» e le «Comunità gandhiane dell’Arca». Ci sono anche centri di ricerca specializzati quali, ad esempio, il «Centro Studi Sereno Regis» di Torino. Soprattutto, però, abbiamo ben presente il pontificato di papa Francesco, che ricollegandosi alla Pacem in terris di Giovanni XXIII e alle frasi di condanna verso la corsa agli armamenti contenute in Gaudium et Spes, ha promulgato un’enciclica espressamente dedicata al tema della pace come Fratelli tutti. Anche soltanto questo documento, dovrebbe stimolare la nascita di corsi universitari dedicati alla teologia della pace, corsi che dovrebbero studiare la tematica in modo «integrale», perché sarebbe opportuno che diventasse strutturale il legame con il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale voluto da Bergoglio nel 2016.
Le ragioni del ritardo
La domanda che sorge spontanea e inevitabile, quindi, – ed è questa la terza osservazione – è come sia possibile che in presenza di una discreta pubblicistica e di un magistero papale sensibile e attivo verso questa tematica, la teologia della pace non abbia trovato una vera accoglienza nei piani di studio delle università. D’altro canto, se essa è latinante persino nei programmi di laurea in «Scienze della pace e cooperazione internazionale», non c’è da sorprendersi che essa non venga considerata all’interno delle facoltà di teologia.
Ciò nondimeno, questo ambito di studio ha tutti i canoni per essere ospitato in un curriculo accademico, e non soltanto nei percorsi di laurea/licenza legati alla morale o alla spiritualità. In primo luogo, infatti, questa declinazione teologica ha una radice biblica evidente, ha accompagnato l’intero percorso storico del cristianesimo e offre delle sponde di dialogo con la filosofia e tutte le altre discipline umanistiche.
Interrogarsi sul tema della pace, inoltre, significa riflettere sul mistero di Dio e su quello della storia. Essa, potremmo dire, corrisponde all’essenza del cristianesimo, ed è davvero strabiliante che, fino ad oggi, abbia ricevuto una così scarsa attenzione. Per promuoverla, occorrerà dare a questa disciplina una maggiore organicità epistemologica. Sarà necessario, ad esempio, indagare meglio le sue basi scritturistiche e fare chiarezza sulle sue derivazioni lessicali.
Andrà anche puntualizzato in maniera più precisa il rapporto strutturale che la lega alla nonviolenza. Sarà necessario, inoltre, fare un approfondimento di tipo storico, analizzando il pensiero e la vicenda dei vari maestri della nonviolenza che si sono succeduti nel corso dei secoli.
Non meno importante sarà poi lo studio di come essa possa essere applicata sul piano organizzativo, politico ed istituzionale. Al riguardo, va detto che grazie alle ricerche di Johan Galtung, la Difesa popolare non violenta è diventa una strategia di azione che ha, oramai, basi scientifiche.
I temi che la teologia della pace è chiamata a mettere a fuoco, sono dunque innumerevoli, da quello della guerra giusta a come pacifismo e nonviolenza si colleghino alla questione dei diritti umani, al vegetarianesimo, all’economia, alle migrazioni e all’ecologia. Tuttavia, sarebbe riduttivo ricondurre questa disciplina alle questioni teologiche meramente «pratiche», perché, di fatto, il tema della pace incrocia tutte le ramificazioni della sistematica.
Non si può parlare di pace, infatti, senza fare dei contestuali richiami alla trinitaria, alla cristologia, alla pneumatologia e finanche alla sacramentaria. Accostare questa disciplina alla sola teologia morale, o a quella spirituale, è dunque erroneamente riduttivo.
Concreti segnali di speranza
Il Centro Studi Interreligiosi dell’Università Gregoriana di Roma ha espresso in questi anni una sensibilità importante proprio verso i temi della pace e della nonviolenza. Ad esempio, in alcuni forum mensili proposti in streaming, sono stati affrontati i seguenti temi: l’enciclica Fratelli tutti (qui); la figura di Gandhi (qui); quella di Lanza del Vasto (qui) e la teologia dell’ospitalità (qui).
Tra i corsi accademici ve ne sono diversi legati ai temi della pace e del dialogo: «La non-violenza nelle religioni»; «Cristianesimo ed Islam, una fraternità possibile?»; «The Bhagavadgita: can violence be an obbligation»; «Dialogo tra misticismo cristiano, indù e musulmano». Dal 26 al 28 ottobre scorsi, il direttore del Centro Studi, prof. Ambrogio Bongiovanni, ha organizzato un corso intensivo intitolato: «Teologia della pace: il contributo delle religioni per una convivenza pacifica». Destinato ai volontari internazionali e ai laici missionari della Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana (FOCSIV), il corso è stato aperto a tutti gli studenti e vi hanno partecipato numerosi docenti dell’Università: A. Bongiovanni, A. Mokrani, M. Schiavo, S. Tanzarella, T. Tosolini, P. Trianni e il console onorario della repubblica del Guatemala C. Barrientos de Pérez.
Il corso intensivo non si è limitato a promuovere in termini teologici il tema pace, ma ha articolato una vera e propria teologia «interreligiosa» della pace, ospitando un docente musulmano e analizzando la questione dal punto di vista delle varie religioni. È stata questa una scelta intenzionale, perché la pace non può essere prerogativa di una sola religione, né può essere costruita da una sola tradizione religiosa.
Quanto denuncia il professor Tanzarella rimane un dato di fatto oggettivo, ma − alla luce delle iniziative qui segnalate − vi sono concreti segnali di speranza. Più che indagare perché la teologia della pace occupi ancora uno spazio così limitato all’interno dei programmi universitari, è necessario rilanciare l’appello affinché essa venga maggiormente valorizzata e diffusa. Appare infatti incomprensibile, in un tempo di conflitti religiosi e guerre a rischio nucleare, una sua persistente sottovalutazione.
[1] Cf. Enchiridion della Pace, EDB, Bologna 2005.
[2] Cf. L. Lorenzetti, Dizionario di Teologia della Pace, EDB, Bologna 1997.
[3] Cf. P. Tillich, Theology of peace, Westminster John Knox Press, Louisville 1990. Volendo fare una sintetica rassegna di alcuni titoli in commercio che rinviano a questa disciplina, è possibile ricordare: B. Häring, La forza terapeutica della non-violenza: per una teologia pratica della pace, Paoline, Milano 1987; G. Novelli (ed.), Per una teologia della pace, Borla, Roma 1987; V. Salvoldi (ed.), Mai più la guerra. Per una teologia della pace, La Meridiana, Molfetta 1998; A. D’Elia, E liberaci dalla rassegnazione. La teologia della pace in don Tonino Bello, La Merdiana, Molfetta 2000; B. Terracciano, La guerra, la pace. Il ruolo delle religioni, Futura, Roma 2003; A. Bongiovanni-P. Trianni (edd.), Lanza del Vasto. Filosofo, teologo e nonviolento cristiano. Uno sguardo critico sull’opera omnia, Aracne, Roma 2015; A. Drago, La non-violenza come riforma della religiosità cristiana, Aracne, Roma 2020; P. Francesco, Pacifismo profetico e pacifismo politico. Note per una teologia cristiana della pace, EDB, Bologna 2003; Papa Francesco, Conquista la Pace, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2023.
Grazie Paolo! Mi permetto di segnalare che ho rilanciato l’Appello di Tanzarella, correndolo di ulteriori riflessioni, nel libro recente Roberto Mancini – Brunetto Salvarani, Oltre la guerra, Effatà 2023. Buon cammino!