Libertà di ricerca tra religione e università è il tema del focus dell’ultimo numero di Studia patavina (1/2022), la rivista della Facoltà teologica del Triveneto. La ricorrenza degli 800 anni dell’Università di Padova (1222-2022) offre l’occasione per riflettere sul rapporto tra teologia e università, in un contesto, quello italiano, in cui dal 1873 le facoltà teologiche sono fuori dalle università statali.
La «cifra fondante» della patavina libertas e la collaborazione tra i saperi, per una «decifrazione costante e attenta» del mondo, sono due qualifiche proprie dell’ateneo menzionate dalla rettrice Daniela Mapelli, nell’indirizzo di saluto pubblicato nella rivista, con la quale il preside della Facoltà, Andrea Toniolo, dialoga nell’editoriale, in cui ribadisce: «Libertà e interazione dei saperi sono due condizioni fondamentali della ricerca, ben tematizzate anche da Veritatis gaudium [l’ultimo testo normativo del magistero sulle università e facoltà ecclesiastiche (2018)] quando parla di “libertà responsabile” e di una “forma forte di transdisciplinarità”».
Il tema della libertà della teologia, o meglio del rapporto intrigante tra teologia e potere, è al centro del primo contributo del focus, a firma di Massimo Faggioli (Villanova University, USA) che apre una finestra sul paesaggio teologico nord-americano (La teologia nelle università cattoliche tra orizzonte post-ecclesiale e paradigma tecnocratico), con ripercussioni anche sul nostro mondo.
«In Europa – chiosa Toniolo – il destino della teologia accademica sembra diviso in due blocchi: quello mittel-europeo, dove la teologia è dentro le università statali (teologia più “scientifica”), e quello latino-mediterraneo dove la teologia è fuori dal contesto universitario statale (teologia più “ecclesiale”). Il primo rischia di essere irrilevante per la realtà pastorale (troppo accademico), il secondo per la realtà culturale (troppo pastorale). La polarizzazione tra scientificità ed ecclesialità, tra Scilla e Cariddi, è in realtà costitutiva della teologia».
E prosegue: «La fedeltà alla Parola, al di sotto della quale è lo stesso magistero, non significa vivere di rendita ma esplorare, per la storicità costitutiva della fede, le inattese vie di incontro tra kerygma e tutte le culture, anche con coraggio profetico».
L’affinità fra il logos biblico e il logos filosofico è al centro dell’approfondimento di Silvano Petrosino (Università cattolica del Sacro Cuore, Milano), che si sofferma sul tema della parola e sulla discussione, confronto, dialogo come atto della polis, atto politico e di giustizia (Logos biblico e logos filosofico. Una storia infinita).
Sul secondo nodo cruciale, l’interazione dei saperi, si sofferma Roberto Tommasi (Facoltà teologica del Triveneto), che mette in evidenza la responsabilità della teologia di interagire nello spazio pubblico della riflessione (Facoltà teologiche, università e sfide globali: riflessioni). Mostrando la risorsa di senso che viene dal suo nucleo incandescente, essa può superare due limiti: il ripiegamento dogmatico e intra-ecclesiale e l’autoreferenzialità accademica, cioè la distanza dai veri problemi dell’uomo e della società (pericolo che attraversa tutti i saperi universitari). A questi limiti si aggiunge oggi quello dell’isolamento disciplinare, frutto della iper-specializzazione.
Collaborazioni possibili
Il fatto che la teologia in Italia non compaia all’interno delle università non significa che sia un compartimento stagno, una torre d’avorio. Anzi, sono molteplici le iniziative di collaborazione. Lo stesso nome della rivista, Studia patavina, richiama una lunga e originaria collaborazione tra i due studia di Padova, Università e Seminario.
La Facoltà del Triveneto ha firmato convenzioni con l’ateneo patavino (e con altre università del Nord-est) per lo scambio di docenti e studenti e per la realizzazione di convegni e seminari; è ormai decennale la ricerca comune sul rapporto tra scienza e fede, realizzata con il Dipartimento di Fisica e Astronomia, come pure la collaborazione con il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata – Master in Death Studies and the End of Life per temi antropologici ed etici rilevanti.
Numerosi professori dell’università hanno insegnato e continuano a insegnare nelle istituzioni teologiche; per secoli, diversi docenti degli ambienti ecclesiastici si sono distinti all’interno dell’Università di Padova.
Il focus riporta due testimonianze di una stagione feconda di scambi: quella di Antonino Poppi, docente di filosofia dal 1968 al 2003 (Felicità, bene e verità. Intervista ad Antonino Poppi in occasione degli 800 anni dell’Università di Padova, raccolta da Giulio Osto) e quella di Angelo Gambasin, per trent’anni docente di Storia contemporanea (Angelo Gambasin, 1926-1990, docente dell’Ateneo di Padova: il ricordo di un’allieva, scritto da Liliana Billanovich).
«Il binomio inscindibile di studio e ricerca – commenta Toniolo – ha contraddistinto la loro presenza all’Università, a testimonianza che è la ricerca, condotta con metodo e rigore intellettuale, a muovere in avanti il sapere, anche della fede».
Come dire Dio, oggi?
Nell’evoluzione del contesto socio-religioso europeo – dove la questione di Dio non sembra essere più intrecciata con la questione del senso – che cosa ha da offrire la teologia?
Toniolo risponde prendendo a prestito le parole del teologo evangelico E. Jungel: «Senza teologia il pensiero perderebbe un’intera dimensione e la fede orientata al pensiero verrebbe sostituita dall’irrazionalità e dalla superstizione».
E aggiunge: «La possibilità di dire “Dio” oggi, nell’antico continente, implica un approccio stilistico diverso: il passaggio dal Dio condizionato o abusato dai tanti perché o finalità, rinchiuso in prospettive, al Dio incondizionato. La rilevanza e significatività di Dio non è perché altrimenti crolla tutto, o perché è un postulato morale necessario, ma semplicemente perché “Dio è interessante di per sé”, per la sua gratuità e bellezza. La cifra interpretativa di tale modo di pensare e dire il Dio biblico-cristiano – conclude – è espressa bene dalla cifra dell’ospitalità (per citare C. Theobald), che è la ripresentazione più convincente e credibile del vangelo, soprattutto nel vecchio continente».
Cristianesimo e mondialità
Un ultimo aspetto, imprescindibile per ogni sapere accademico, è la mondialità. «Al di fuori del vecchio continente, dire Europa vuol dire cristianesimo – spiega Toniolo –. Europa significa storia di vecchi e nuovi colonialismi, mescolati alla diffusione del cristianesimo. La difficile e contrastante gestione europea del fenomeno migratorio, le posizioni rigide assunte da diversi paesi cristiani nei confronti dei profughi, sono spesso associate all’identità cristiana».
Il “naufragio di civiltà” in Europa ha, forse, a che fare con il declino del cristianesimo. «Penso che in tale contesto la teologia sia chiamata a mostrare il legame tra Occidente e cristianesimo e, in pari tempo, a de-occidentalizzare il cristianesimo, deseuropizzarlo, mostrando la capacità del vangelo (mediato da una cultura, fin dall’inizio) di ospitare e iscriversi in tutte le culture, dal di dentro. Tale apertura mondiale – conclude – può essere uno dei contributi più preziosi della teologia all’antico continente, favorendo così innesti dalle ricchezze spirituali e culturali di altre realtà».
A margine del focus la rivista propone una ricerca di Simone Zonato, condotta su dati raccolti tra le studentesse e gli studenti per conoscere la loro valutazione del servizio offerto ma anche dell’impatto degli studi teologici sulla società civile e sulle realtà pastorali (La Facoltà teologica del Triveneto agli occhi dei suoi studenti. Risultati di un sondaggio online).
Purtroppo la teologia sta prendendo una piega che era esattamente quella prima del Concilio, ovvero un tendenza manualistica. In Italia sono pochi i teologi, che con lucidità, intelligenza, sagacia praticano l’interdisciplinarietà. Io nel mio piccolo ho fatto un tentativo.
Come dire Dio oggi? Penso che – al di là di sofismi e “teologemi” di varia ascendenza – gli uomini (ops, gli umani) di oggi – come quelli di ogni tempo – non hanno bisogno di un dio che “è interessante di per sé” quanto del Dio che salva. Quello predicato da Cristo prima e dagli apostoli poi. Ma purtroppo molti teologi odierni sono troppo impegnati a “leggersi” gli uni con gli altri piuttosto che leggere le Sacre Scritture (ops, la Parola di Dio) senza le quali le loro speculazioni non sono altro che castelli in aria. E si sa: i castelli in aria non interessano proprio a nessuno.