Teologia: il lavoro del minatore

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Nel quadro della collaborazione fra SettimanaNews e la rivista online Feinschwarz pubblichiamo questo contributo di R. Bucher, ordinario di teologia pastorale presso la Facoltà  teologica dell’Università di Graz (originale tedesco, qui). Nell’attule condizione della Chiesa cattolica ci sembra importante rilanciare con decisione il dibattito sulla teologia che stiamo portando avanti dall’anno scorso. Immaginare di riuscire a uscire dalle secche in cui la Chiesa si è incagliata senza produrre una buona intelligenza teologica del Vangelo è illusione estremamente pericolosa.

Si comincia con un’idea, non si sa bene dove essa conduce e se si arriverà mai a una meta adeguata. La ricerca può essere come il lavoro del minatore: faticosa, all’oscuro, scontrandosi con la dura roccia, estenuante, facendo pochi passi avanti. E spesso uno si trova anche solo davanti alla dura parete. Non si sa bene né realmente che valore abbia una tale impresa, e neanche come verrà giudicata. Tantomeno si sa se un giorno ne verrà fuori qualcosa di buono.

dibattito teologia

Ma la ricerca può avere anche un’attrazione erotica, affascina e cattura, è qualcosa di sensuale, un gioco tra ricevere e dare, fatto di scoperta e di nascondimento del prossimo angolo dell’avventura delle idee… il piacere del conoscere e l’esperienza irresistibile: ne è valsa la pena.

Processi

Il progetto europeo del sapere si basa espressamente sul fatto controintuitivo che certezza e dubbio della conoscenza non sono in contraddizione tra loro, ma si condizionano a vicenda, ossia che stabilità e fluidità del sapere devono essere contemporaneamente tenuti insieme. Il gesto impegnativo del sapere è quello di stare nella conoscenza raggiunta e doverla subito mettere nuovamente in questione.

I sistemi ideologici, fino a oggi, sono spiazzati da tutto ciò e non lo possono sopportare, ritenendo di poter produrre stabilità vietando il dubbio. Generalmente, quando questo avviene si trovano nell’ultima fase del loro svanire.

Il sapere è guadagno conoscitivo metodologicamente controllato, caratterizzato a tutti livelli da un lavoro critico di auto-riflessione. Ciò che affascina in tutto ciò è che funziona. C’è qualcosa di nuovo, si scopre il nuovo, nulla nel pensare e dare forma deve rimanere come era.

Cosa può succedere quando il sapere e la scienza diventano ideologie di sé, eliminando quel dubbio costitutivo che li caratterizza e facendosi servi del potere, è diventato fin troppo evidente con i sistemi totalitari del XX secolo. E il sovrano attuale, ossia il capitalismo globale, è per il sapere molto meno innocuo di quanto possa sembrare.

Ma rimane il fascino del nuovo sguardo, del sapere altro: nel pensare e dare forma nulla deve rimanere come è.

Il permanere dei morti

I teologi e le teologhe cristiane non sono generici cultori del sapere, ma hanno un dovere verso la storia della rivelazione di Dio col popolo: una storia iniziata con la creazione, proseguita nel popolo di Israele, che ha raggiunto in Gesù Cristo il suo vertice e dopo di lui non si è semplicemente interrotta.

Il problema con questa fede è che pensarla come mera affermazione nel mondo di oggi non porta più da nessuna parte. Dichiarazioni teologiche sulla tradizione senza contestualizzazione alcuna, che alla fin fine pretendono di proiettarci all’indietro in tempi passati per poter scoprire il senso e il significato della tradizione stessa, sono anacronistici e inefficaci.

Fare così vuol dire musealizzare la tradizione, mostrando di non avere alcuna fiducia nella sua creativa produttività.

Vi è la necessità di una vera scoperta della tradizione cristiana nel mondo del tempo che è il nostro; e non si tratta di un lavoro di traduzione di ciò che è antico, ma davvero di una nuova scoperta del suo senso e, cosa ancora più importante, del suo significato oggi.

La ricerca teologica è affascinante se in essa si fa esperienza che queste nuove scoperte sono possibili. Certo, sono rischiose, fragili e precarie, ma possibili. Ed è proprio in questa fragilità e precarietà che esse hanno un reale status dogmatico.

Chesterton ha scritto che la «tradizione è la democrazia dei morti», fondando in maniera raffinata questa affermazione: democrazia significa non escludere nessuno, e tradizione significa non escludere nessuno solo perché è morto. Tradizione come democrazia, però, significa anche non escludere nessuno perché uno vive oggi, chiunque esso sia.

La ricerca teologica è affascinante se espone le nostre grandi tradizioni alle realtà non addomesticate, non ammansite e che non si possono tenere al freno del nostro tempo presente. E nel fare ciò non si ha paura di nulla e nessuno, tanto si ha fiducia in questa tradizione, ma anche fede in questo tempo odierno come tempo di Dio. E poi si guarda cosa succede.

Mettere in gioco la propria esistenza

La teologia non è un gioco intellettuale cristallino, non è un esercizio di umiltà in forma di operosità accademica, e neppure un ripetere a modo la grande tradizione. La teologia è piuttosto il progetto della propria esistenza.

Detto altrimenti: si impara la teologia solo praticandola in prima persona. La ricerca teologica è affascinante quando essa, oltre a essere l’esercizio di un mestiere che pure è, fa esattamente questo: quando è pratica teologica, quando rappresenta il progetto della propria esistenza come progetto esistenziale.

Nella teologia non si tratta di mettere in campo un sapere a modo, i tempi si sono fatti troppo seri per fare questo. E anche ciò che le nostre mani hanno ricevuto dai padri e dalle madri della teologia è troppo grande, rivoluzionario, per limitarci a questo. Inoltre, dovremmo ritenere anche noi stessi troppo importanti per accontentarci semplicemente di fare il compitino del catechismo. Nella ricerca teologica ne va davvero di noi, del nostro futuro in un mondo in pericolo.

Il fascino che nulla deve rimanere come è, il fascino che la tradizione si può attestare e dà prova di sé (ma solo se osata e messa in gioco) e il fascino che nella teologia ne va davvero di noi, è ciò che può portare avanti oggi la ricerca teologica.

Marcello Neri, Teologia oggi: paradosso e ripensamento, 11 maggio 2017.
Michele Giulio Masciarelli, La teologia: passione per Dio, passione per l’uomo, 24 maggio.
Jakob Deibl, La teologia: una lettera amica, 8 giugno.
Christoph Theobald, Teologia: il sapore dei giorni, 23 giugno.
Andrés Torres Queiruga, Siamo gli “ultimi cristiani”… premoderni, 27 giugno.
Gerrit Spallek, Teologia: miglior attrice non protagonista, 23 luglio.
James McCartin, Teologia e l’innominato desiderio dei cuori, 27 agosto.
Christian Bauer e Zekirija Sejdin, Teologia fra religioni: punti fermi, 4 settembre.
Anna-Lena Schenk, Teologia: volto-a-volto con il nostro tempo, 7 settembre.
Maurizio Rossi, Urgenze pastorali in Europa, 11 ottobre.
Johanna Geueke, Trasformazioni della teologia, 19 ottobre.
Michele Giulio Masciarelli, Elogio (non retorico) della teologia, 11 novembre.
Marcello Neri, Il malessere della teologia, 12 dicembre.
Antonio Torresin, Scrivere alla propria gente. Fare teologia nella città, 27 dicembre 2017.
Elsa Antoniazzi, La lettera e la teologia femminista, 18 gennaio 2018.
Jakob Deibl, La lettera, genere originario della teologia, 9 febbraio 2018.

Thies Münchow, Teologia e discorso pubblico, 20 marzo 2018.

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