Il ministro della salute israeliano Yaakov Litzman appartenente a un partito cosiddetto ultra ortodosso trattando dell’epidemia in corso ha invocato l’arrivo del Messia che si spera arrivi prima di Pasqua. La soluzione è semplice: il Messia verrà e porterà la salvezza. Altri esponenti di quel mondo – che è pur ricchissimo di storia e tradizione spirituale – hanno invocato il fatto che la Torah protegge chi la studia e che questo esimeva dalle protezioni necessarie.
Domande alla teologia
A una prima impressione sembrano stranezze o il frutto di una visione radicale che non tiene conto della situazione sanitaria complessa in Israele e Palestina, ma che a uno sguardo più attento svelano la sfida che questi tempi pongono a ogni teologia che suppone un qualche tipo di legame e interazione tra tre elementi: un Dio personale, un testo sacro che ne illustra il disegno cosmologico e salvifico, la storia del mondo e degli uomini.
Nei giorni scorsi per un’originale rivista online, Cursor Zeitschrift für Explorative Theologie, è comparso un articolo degno di attenzione.[1] La rivista è un tentativo degno di nota di una teologia partecipativa e cooperativa che, uscendo dai campi (spesso) chiusi dell’accademia e del dibattito delle comunità confessanti, cerca di fare un discorso pubblico, interdisciplinare su diverse questioni che intersecano la teologia e gli spazi della vita contemporanea, personale e collettiva, mondo digitale compreso.[2]
In tale quadro l’autore dell’articolo, Guenter Thomas, s’interroga intelligentemente sulle conseguenze per la riflessione teologica dell’attuale pandemia che non lascia alcun campo dell’esperienza umana intatto e privo di domande, per certi versi, inedite. L’articolo – Theology in the Shadow of the Corona Crisis – svolge una serie di meditazioni aperte sui campi classici della teologia che paiono singolarmente sfidati dalle questioni di questi mesi. Ne ricordiamo a titolo di esempio solo due, invitando a proseguire direttamente la lettura dell’articolo.
Creazione
L’autore inizia osservando che il primo racconto della creazione ne mostra la bontà fondamentale. L’uomo stesso si trova collocato pienamente in tale quadro che se non viene rovinato risulta sostanzialmente armonico.
La positività di questo primo racconto viene però bilanciata dal secondo racconto in cui si manifesta una situazione, per così dire, di tensione e lotta. Qui la creazione non è solo armonia e sviluppo ordinato della vita, ma lotta per contrastare le forze del disordine e del male. Citando l’opera di Jon D. Levenson, un esegeta ebreo, Creation and the persistence of evil, e alcuni testi di Karl Barth, si mostra come l’agire creatore in questa seconda prospettiva è anche sempre teso ad arginare il caos. L’azione di Dio è anche confinamento del male e appello alla collaborazione in tale opera di lotta al disordine.
In tale prospettiva egli si chiede se un fenomeno pandemico come il presente non sia proprio la manifestazione di tali forze del disordine che rimangono tra gli abitanti di una creazione seppur buona. Tale domanda ne apre una serie su alcuni tratti violenti e minacciosi presenti nelle stesse dinamiche della vita e dell’evoluzione. E riapre la questione della qualità del desiderio creaturale per la redenzione nell’attesa di nuovi cieli e nuova terra.
La teologia è invitata a navigare tra la concezione – antidualista – della fondamentale bontà del mondo creato e la percezione fattuale della violenza e della malattia che abitano le forze della natura.
Provvidenza
A tale tematica si connette direttamente quella della provvidenza di Dio. Molte delle difficoltà di dire oggi qualcosa di sensato teologicamente sono forse legate alla crisi complessiva in cui verte la riflessione sulla provvidenza.
L’autore di tradizione protestante mostra tutta la distanza tra la percezione attuale e la dottrina tradizionale contenuta, ad esempio, nel Catechismo di Heidelberg, in cui si sostiene che tutto quello che accade nella natura viene alla fine dall’amorevole mano di Dio. Si chiede Guenter: quale pastore e teologo di fronte al conteggio e alla solitudine dei morti riuscirebbe a dire questo oggi? Come si può combinare la libertà – certo non assoluta ma – presente e spesso pericolosa nel processo evolutivo con l’accompagnamento fedele di Dio?
In relazione a tali domande egli ricorda come la dottrina classica della provvidenza è stata già ripensata nel XX secolo grazie a una nuova concentrazione sulla vicenda di Gesù e come diversi autori hanno sottolineato l’aspetto di debolezza e di impotenza scelta che tale ricentratura gesuana ha portato come acquisizione alla teologia più attenta. Nello stesso tempo la teologia e spesso la Chiesa riaffermano che la storia e il mondo sono “nelle mani di Dio”, ma cosa significa rendere tale affermazione intellegibile oggi? Come combinare la rivelazione di Dio in Gesù come cura, senza alcuna ombra e ambiguità, dell’umano[3] con la “libertà” della natura e del cosmo in cui il soffrire dell’uomo suona così stridente?[4] Come combinare, in termini oggi comprensibili, una dottrina della provvidenza che coniughi il desiderio di vita piena che Dio nutre per ogni creatura con la dottrina dell’impazienza e del gemito della creazione intera per una vita nella pace e redenta?
Altre sfide
Sono solo alcune delle molte domande poste dall’articolo, seguendo il medesimo metodo l’autore propone un’ulteriore serie di questioni riguardanti la rielaborazione della figura del peccato, il ripensamento dell’antropologia, domande alla cristologia e alla dottrina-prassi della Chiesa, questioni sull’azione dello Spirito di Dio – nella creazione e nella redenzione – insieme al senso profondo della speranza cristiana.
Il testo si conclude con alcune notazioni sull’etica protestante, in particolare su alcuni dilemmi etici che mettono in crisi, nei fatti, il senso di solidarietà, di universalità e quello di giustizia sociale. Dilemmi legati alla disparità di cure possibili – e quindi alla possibilità o meno di aver salva la vita – in diverse parti del mondo e spesso all’interno dello stesso paese.
A ben guardare tali dilemmi – riassumibili nella domanda: si pensa davvero che ogni vita è degna di essere salvata? – non sono nuovi se si ricorda la crisi umanitaria – tutt’ora in corso – dei migranti e dei rifugiati. Ma – conclude Guenter – la presente pandemia pone a tutti i paesi e ai loro cittadini domande che spesso si è preferito evadere per rifugiarsi in una confort zone legata al poter-non-essere-direttamente-toccati dalle questioni. Problemi e dilemmi che, però, ora toccano o possono toccare – pan-demicamente – tutti.
La sfida è certo etica, umana e politica, ma anche la teologia e l’esperienza spirituale sono sfidate a prendere sul serio – nello studio, nella preghiera, nell’attenzione alla sofferenza umana e ambientale, nell’impegno per contribuire al necessario risanamento del mondo – tutta una serie di questioni che non sono nuove, ma sicuramente sono percepite con una serietà inedita. Se non si fa questo in maniera responsabile e appassionata si potrebbe rischiare di trovarsi ad invocare – forse in maniera fatalista e rassegnata – l’avvento di un qualche messia per la risoluzione di questa e delle prossime crisi umane, ecclesiali, sociali e politiche.
[1] https://cursor.pubpub.org/pub/thomas-theologycorona. Ringrazio della segnalazione Andrea Grillo.
[2] https://cursor.pubpub.org/pub/cursor-cursor-2017
[3] Cf. l’importante P.A. Sequeri, Il timore di Dio, Vita e Pensiero, Milano 1996.
[4] Cf. G. Greshake, Perché l’amore di Dio ci lascia soffrire?, Queriniana, Brescia 2012.
Grazie, Fabrizio ! Sempre puntuale. E con che ‘grazia’…
Dovreste mettere delle didascalie alle immagini