«La teologia può contribuire all’attuale dibattito di ripensare il pensiero, mostrando di essere un vero sapere critico in quanto sapere sapienziale, non astratto e ideologico, ma spirituale, elaborato in ginocchio, gravido di adorazione e di preghiera; un sapere trascendente e, al contempo, attento alla voce dei popoli, dunque teologia popolare, rivolta misericordiosamente alle piaghe aperte dell’umanità e del creato e dentro le pieghe della storia umana, alla quale profetizza la speranza di un compimento ultimo».
Lo troviamo scritto al punto n. 7 della lettera apostolica in forma di motu proprio del 1° novembre 2023 Ad theologiam promovendam con la quale papa Francesco approva i nuovi statuti della Pontificia Academia Theologica (PATH), prestigiosa istituzione fondata da Clemente XI nel 1718 per promuovere il dialogo tra la fede e la ragione (tra la teologia e la filosofia) e la cui missione è ora esplicitata nei termini che seguono:
- promuovere lo studio e l’approfondimento scientifico della teologia come anche l’indispensabile comunicazione della «sapienza teologica», per contribuire all’opera di evangelizzazione della «Chiesa in uscita», secondo gli orientamenti della lettera enciclica Lumen fidei, dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium e della costituzione apostolica Veritatis gaudium;
- promuovere il dialogo transdisciplinare con le filosofie, le scienze, le arti e tutti gli altri saperi;
- porsi al servizio delle Istituzioni accademiche dedicate alla teologia e degli altri centri culturali e di elaborazione del sapere interessati a raggiungere la persona umana nel suo contesto di vita e di pensiero;
- servire il rinnovato slancio dell’evangelizzazione, promuovendo non solo convegni e meetings e facendo “rete” con gli atenei e con i centri di produzione della cultura e del pensiero, ma anche incontri a più immediato carattere pastorale, tramite «cenacoli teologici» in tutti gli ambienti di vita (dentro e fuori le parrocchie).
«Ripensare il pensiero» è anche il titolo del volume di Antonio Staglianò, già docente di Teologia sistematica alla Pontificia Università Gregoriana, vescovo emerito della diocesi di Noto, neopresidente della Pontificia Accademia di Teologia, convinto promotore della Pop-Theology, cioè di una teologia, non lusso per pochi ma opportunità per molti: teologia appunto, popolare, capace di raccontare il Dio di Gesù Cristo e il suo Vangelo anche attraverso i registri dell’immaginazione, della creatività, delle arti, della musica, della poesia e della pascaliana ragione del cuore, mettendosi in attento ascolto non solo del credente, ma anche del diversamente credente o del non credente.
Nella profonda convinzione che l’evangelo di Gesù di Nazaret è in grado di offrire risposte significative agli interrogativi più profondi anche degli uomini e delle donne che vivono nell’attuale società complessa.
Struttura del libro
Uscito in concomitanza con la promulgazione della lettera apostolica Ad theologiam promovendam, «Ripensare il pensiero – Lettere sul rapporto tra fede e ragione a 25 anni dalla Fides et ratio» (Venezia, Marcianum Press, 2023) può essere considerato un puntuale commento dei nuovi statuti della PATH approvati da papa Francesco. Settimananews del 27 dicembre 2023 ne ha pubblicato un’importante recensione di Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento.
Dedicato – come si legge nell’esergo – «a tutti i pensanti (credenti e non) perché, insieme, si cerchino e si trovino nuove vie per ripensare il pensiero nell’esperienza universale della fratellanza di popoli e della fiducia sociale, per generare nuova umanità pacificata nella civiltà dell’amore», il volume è preceduto da una bella prefazione di papa Francesco e seguito da una densa postfazione di Giulio Goggi, vicepresidente dell’Associazione di Studi Emanuele Severino (ASES).
Nell’introduzione, l’autore si sofferma sulla necessità, a venticinque anni dall’enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio (14 settembre 1998), di «ripensare il pensiero della fede, riconoscendo possibilmente una ragione intrinseca al credere e la forma credente intrinseca alla ragione e al suo esercizio» (p. 22). Vi si motiva una risoluta presa di distanza da alcune visioni riduttive ed errate della ragione (pagg. 33-44) come l’eclettismo (la verità è un po’ di tutto), lo storicismo (la verità non ha validità perenne), lo scientismo (la verità è solo quella sperimentabile), il pragmatismo (la verità sta solo nel consenso) e il nichilismo (la verità oggettiva non esiste).
Mentre, nella conclusione, viene ribadito che fede e ragione, teologia e scienza possono, pur con la loro autonoma metodologia, convergere nell’unità, essendo del tutto immotivato il perdurante e acritico pregiudizio (di matrice illuministica) della loro inconciliabilità (p. 257).
Il dilagante processo di scristianizzazione implica, peraltro, un robusto investimento di risorse in una formazione culturale di cui faccia pienamente parte anche un’idonea riflessione teologica che affronti problematiche e questioni avvertite dagli uomini e dalle donne dell’odierno contesto socio-culturale occidentale secolarizzato che considera giunta al capolinea non la fede cristiana in quanto tale ma una certa modalità di viverla e pensarla.
A tal fine, per la teologia viene auspicato «un ritorno dall’esilio, cui è stata costretta da troppo tempo, dentro le torri d’avorio delle istituzioni accademiche, soprattutto dal suo linguaggio eccessivamente formalizzato, perseguito proprio per darsi il tenore e lo statuto di scienza della fede» (p. 267).
Il corpo del libro è costituito da otto lettere-saggio, scritte in tempi diversi. L’autore – come ricorda Francesco nella Prefazione (p. 15) – è «particolarmente legato» al pensiero di Antonio Rosmini il quale, al n. 40 de Le cinque piaghe della Santa Chiesa, stigmatizza il fatto che la «cristiana dottrina» si sia non solo «abbreviata» nei «compendi» della teologia razionale «curandosi di soddisfare solo alla mente», ma abbia abbandonato «interamente tutto ciò che spettava al cuore e alle altre facoltà umane». Ciò che accomuna in qualche modo le lettere-saggio è sostanzialmente la messa a disposizione di tutto il popolo di Dio di una teologia che «non soddisfi solo alla mente», ma valorizzi anche ciò che spetta «al cuore e alle altre facoltà umane».
Le otto lettere-saggio
Le lettere sono indirizzate a vari personaggi del presente e del passato recente e remoto.
La lettera-saggio indirizzata a papa Francesco ha come tema la nuova mission della Pontificia Accademia di Teologia e, più in generale, la necessità oggi avvertita di disporre di una teologia che abiti non solo le facoltà teologiche e la ricerca scientifica ma che sia in grado di contribuire a rivitalizzare la trasmissione della fede parlando il linguaggio della gente comune (p. 50).
La lettera indirizzata a Tommaso d’Aquino riflette sulla teologia che, in quanto scienza a servizio di tutti i saperi, guarda con grande speranza alle nuove scienze di maggior successo come la meccanica quantistica e l’astrofisica, le neuroscienze e la biologia molecolare (p. 98) e invita a considerare alla stregua di «un tassello caratteristico nell’impresa odierna del ripensare il pensiero» il superamento del pregiudizio che «oppone fede e ragione e separa il sapere dalla fede» (p. 76).
Rivolgendosi al papa emerito Benedetto XVI, l’autore si sofferma sulla ragionevolezza della fede in Dio-Agape che, lungi dal «bloccare le vie del pensiero, le apre, radicalizzando le domande, e con alcune sue risposte le porta alla loro vera profondità» (p.126).
La lettera scritta al filosofo e teorico dello spiritualismo illuministico Carmelo Ottaviano e quella indirizzata a Samuele Tadini, tra i più noti conoscitori della filosofia rosminiana e docente incaricato di Filosofia presso la Facoltà di Teologia di Lugano, sono l’occasione per soffermarsi sull’attualità del pensiero filosofico e teologico di Antonio Rosmini.
Con la lettera-saggio scritta al vescovo emerito di Lamezia Terme, Vincenzo Romedio, vengono offerti preziosi stimoli perché l’annuncio del Vangelo fatto in veritate et in caritate possa contribuire a «salvare il mondo, umanizzando la vita di uomini e donne di ogni tempo» (p. 197).
Nella lettera su “Emanuele Severino e il cristianesimo” indirizzata a Ines Testoni, fondatrice e membro del Direttivo dell’Associazione di Studi Emanuele Severino (ASES), si afferma che, nel cristianesimo, si parla di Dio più con la negazione che con l’affermazione (p. 228) grazie alla «tradizione teologica apofatica che ha saputo parlare di Dio, invocando un Dio senza Dio (Meister Eckahrt)» (p. 234).
L’ultimo scritto sul «sentire intelligentemente la verità col cuore, per pensare credendo» è indirizzato a Blaise Pascal a seguito della lettera apostolica Sublimitas et miseria hominis pubblicata il 19 giugno 2023 da papa Francesco per mettere fine, in occasione del IV centenario della nascita del poliedrico pensatore francese, al suo cosiddetto giansenismo e per ricordare a tutti noi «la grandezza della ragione umana» di cui servirsi «per decifrare il mondo che ci circonda» (p.247).
Il cambio di paradigma richiesto alla teologia
Al punto n. 4 della lettera apostolica Ad theologiam promovendam papa Francesco afferma che la riflessione teologica è chiamata oggi «a una svolta, a un cambio di paradigma, a una coraggiosa rivoluzione culturale».
Il saggio di Antonio Staglianò, a tratti di impegnativa lettura, mi sembra di grande rilevanza pastorale, perché offre interessanti spunti per immaginare tale cambio di paradigma culturale.
- Una teologia sollecitata a svilupparsi con un metodo induttivo. Questo cambio di paradigma è rinvenibile in particolare nel passaggio «da un metodo deduttivo a un metodo induttivo», grazie al quale «la teologia non procede più a partire da un’assiomatica generale desunta dall’orizzonte metafisico o anche dalla rivelazione divina, ma prende le mosse dalla storia comune degli uomini, della loro condizione intramondana e dalle concrete situazioni in cui quotidianamente vivono» (p. 55).
- Una teologia che guarda verso l’alto, verso il centro e in basso. Una teologia, cioè, capace – secondo un’efficace immagine utilizzata da papa Francesco nella Prefazione – di guardare «verso l’alto in ascolto della Parola», di fissare «lo sguardo verso il centro propulsore della vita cristiana, che è Gesù», di «guardare in basso» e di abbassarsi «come il Maestro per lavare i piedi al mondo, per discernere nella storia i germi del Regno di Dio e per accompagnare le inquiete domande dell’umanità» (p. 15).
- Una teologia sapienziale. In grado non solo di «provocare stupore in chi l’apprende e in chi la legge» (p. 67), ma anche di aiutare tutti «a pensare l’impensabile, ad accostare l’inviolabile, a vedere l’invisibile, ad avere il gusto del fiuto del Mistero, in un’esistenza/vita liberata e riscattata dal male» (p. 50). Una teologia che diventa «gusto per la vita, sapienza per i passi dell’esistenza, teopsia (visione divina) per illuminare intelligenza e cuore dei fedeli, testimonianza critica che giustifichi la bellezza e la necessità di ritornare a Cristo» (p. 50), «profeta di un nuovo volto di Dio, solo e sempre amore», che ci esorta a «rischiarare con l’amore la carne sofferente degli esseri umani» (p. 52). Una teologia in ginocchio che «vive di gratitudine per l’annuncio più grande che il Vangelo – la persona stessa di Gesù, morto e risorto – ha dato al mondo: ricordati che devi risorgere» (p. 69).
- Una teologia a servizio alla maturazione della fede del credente. Non una «teologia da tavolino» (p. 64), chiusa «nelle torri d’avorio» (p. 56) delle Accademie, delle Facoltà o degli Istituti superiori di scienze religiose, ma una teologia in uscita, diffusa tra la gente (p. 55) «per abilitare tutti a pensare la propria fede, in modo che non diventi inconsapevolmente magia e superstizione» (p.190). Per maturare nella vita, infatti, la fede dev’essere pensata, perché – come afferma sant’Agostino – «la fede che non si pensa è nulla» (p. 180). I teologi di professione non dovrebbero limitarsi a frequentare gli ambienti accademici, ma dovrebbero trasformarsi «in veri evangelizzatori di strada» (p. 56), capaci di versare olio e vino sulle ferite degli umani (p. 64), contribuendo a motivare e alimentare la trasmissione della fede con la testimonianza della carità: carità «che va agita e non solo proclamata a parole o sognata di notte» (p. 62), perché senza carità la fede è morta (p. 63). Insomma, il popolo di Dio, che spesso soffre della sindrome di Peter Pan e dispone di pochi strumenti per maturare nella vita di fede (p. 170), «andrebbe nutrito di una sana teologia, capace di una mediazione linguistico-sapienziale e di una traduzione logico-esistenziale che abiliti proprio tutti, nel popolo, a vivere secondo il Dio di Gesù Cristo e non seguendo le tante immagini di Dio (spesso false, talvolta equivoche, altre volte non compiute), circolanti nella cosiddetta cultura popolare» (p. 145).
- Una teologia dall’approccio transdisciplinare. Invece di chiudersi nell’autoreferenzialità, la teologia si avvale «delle categorie nuove di tutti gli altri saperi, per arricchire la comprensione della verità di fede: per meglio comunicarla oggi, con i linguaggi odierni, aiutando i predicatori del Vangelo a dire con maggiore originalità e consapevolezza critica l’insegnamento di Gesù sulla vita, sulla realtà tutta» (p. 66). «Una teologia che voglia oggi tentare di immettersi, in nome della comunicabilità della fede, nel circuito dialogico tra filosofia e scienze, non può non ripensare, recuperandoli adeguatamente, almeno due grandi temi: a) una rilettura maggiormente cosmica della salvezza cristologica; b) la rielaborazione di una teologia della natura adeguata agli sviluppi moderni dei saperi scientifici sull’universo» (p. 27). Si deve, infatti, prendere atto che «le nuove visioni delle cosmologie, i successi ottenuti nella meccanica quantistica, nelle neuroscienze e nella biologia molecolare, hanno trasformato mentalità e linguaggi, mentre spingono la teologia ad assumersi la responsabilità […] di ripensare il modo stesso di credere dei credenti e, soprattutto, di testimoniare il Vangelo» (p. 93).
- Una teologia che metta in luce la sensatezza antropologica della fede cristiana. La teologia dovrebbe impegnarsi inderogabilmente a pensare la fede, esibendone «criticamente la sensatezza antropologica, in quanto Verità di Dio incarnata» (p. 17). «La verità della fede non pretende di assorbire l’umano, magari trasformandolo in una realtà diversa da sé (angelica, magari!). È, invece, a servizio della piena umanizzazione» dell’uomo e della donna. «La salvezza di Cristo è per la perfetta umanità» degli umani: essa «altro non è che il prendersi forma nella propria umanità dell’umanità di Cristo, è un conformarsi all’umanità di Gesù, alla sua bella e buona umanità» (p. 179). «Quando Dio va contro l’uomo e la sua vita, lo sminuisce e lo distrugge, allora non è Dio secondo Gesù» (p. 195). «Una buona teologia ha il compito non solo di mostrare criticamente che la fede non contraddice o riduce l’umano e la ragione, ma di più, che la fede compie, attua, l’umano e la ragione» (p. 260).
- Una teologia contestuale. Avendo il compito di leggere e interpretare il Vangelo nelle condizioni in cui gli uomini e le donne quotidianamente vivono, nei diversi ambienti sociali e culturali, la teologia non può che svilupparsi in una cultura del dialogo e dell’incontro non solo tra diverse tradizioni e diversi saperi, ma anche tra diverse confessioni cristiane e diverse religioni, confrontandosi apertamente con tutti, credenti e non credenti. L’esigenza di dialogo è intrinseca all’essere umano e all’intera creazione ed è compito peculiare della teologia scoprire che «nessun uomo è una isola. Tutto è collegato […]. Tutto è intrecciato e tutto è relazione, sia a livelli astrofisici che a quelli subatomici» (p. 220). Una teologia «che non ha davanti la gente, le persone concrete e in situazione (cioè nel loro Sitz-imleben) si trasforma in ideologia» (p. 63).
Le tre direttrici della teologia del futuro. La teologia dovrà imboccare senza indugi le tre direttrici (p. 271) indicate da papa Francesco nei discorsi del 4 novembre 2022 e del 30 novembre 2023 rivolti alla Commissione teologica internazionale:
– restando creativamente fedele alla Tradizione vivente della Chiesa, andare oltre «il fissismo di alcune formulazioni dottrinali che – con il passare del tempo e a causa delle trasformazioni dottrinali – hanno reso il significato del Vangelo non più comunicabile, talvolta anche ridicolo e comunque anche assurdo» (p. 65);
– «dislocare il sapere della fede nel linguaggio di tutti gli altri saperi in spirito di servizio […] per arricchire la comprensione della verità di fede, per meglio comunicarla oggi, con i linguaggi odierni, aiutando i predicatori del Vangelo a dire, con maggiore originalità e consapevolezza critica l’insegnamento di Gesù sulla vita e sulla realtà tutta» (p. 66);
– fare teologia in modo sinodale, non solo promuovendo tra i teologi «la capacità di ascoltare, dialogare, discernere e integrare la molteplicità e varietà delle istanze e degli apporti» (p. 67), ma incrementando anche il numero di donne teologhe «non perché siano di moda, ma perché hanno un pensiero diverso dagli uomini e fanno della teologia qualcosa di più profondo e anche di più saporito» (p. 67).
Conclusione
A pag. 144 l’autore cita un’intervista concessa nel novembre 2018 al blog HuffPost dal filosofo Massimo Cacciari, secondo il quale l’80 o il 90% delle omelie domenicali sarebbero delle «vere lezioni di ateismo». «Speriamo non sia vero» – commenta Staglianò, che subito precisa – «ma segnala un problema»: problema al quale non a caso papa Francesco, anch’egli convinto che spesso le «omelie sono un disastro» (discorso del 20 gennaio 2023 ai partecipanti al corso Vivere in pienezza l’azione liturgica), ha ritenuto di dedicare ben dieci paragrafi dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (dal n. 135 al n. 144).
Un’affermazione analoga è stata fatta anche da Tomás Halík il quale, in Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare (Vita e Pensiero, Milano 2022, pagg.150-151), scrive: «Negli ultimi decenni, in molti Paesi le Chiese – in particolare quella cattolica per ragioni note – stanno sempre più perdendo credibilità: non sono soltanto i non credenti ma anche una buona parte dei fedeli a ritenerle incapaci di offrire risposte competenti, convincenti e comprensibili alle domande fondamentali. Quando ascolto una predica o leggo lettere pastorali e un certo tipo di stampa religiosa, mi viene in mente che, oltre che sul perché le persone si allontanano, dovremmo indagare anche su dove trovano la forza e la pazienza quelli che rimangono».
Un fiume in piena di parole più che ascoltarle si rischia di esserne travolti. Preciso che l’esposizione è talmente precisa e puntuale nei suoi numerosi argomenti con tutti quei termini che un uomo della strada che legge rischia di annegare. Una parola una sola parola disse in una pagina del vangelo il ns amato Signore ad un tale … seguimi. Se nè avesse dette 10,000 di parole sicuramente sarebbe fuggito anzichè seguirlo. Vorrei dire con affetto a Pietro: che tra Dio e Gesù c è il dinamismo essenziale dello Spirito Santo poichè Dio nessuno l’ha visto Gesù neppure ma è lo Spirito Santo che apre a noi gli orizzonti della comprensione… una divina comprensione.
mario🙏
Credo che già dai termini utilizzati, dal linguaggio adottato, dal complessivo modo di porsi emerga il vero problema di questi nostri tempi: la teologia rinuncia ad essere pensiero razionale su Dio illuminato dalla fede e e si rifugia nella vaghezza, nell’indeterminatezza, nella verbosità e, in ultima istanza, nel sentimentalismo.
Mancando chiarezza e rigorosità emergono, inevitabilmente, confusione e pressappochismo.
Vi immaginate un matematico che sostenesse la necessità di una matematica pop?
Basta con tutti quei teoremi, quelle dimostrazioni, quei calcoli complicati: dobbiamo affidarci al cuore e badare alla matematica del popolo non delle élite!
Com’è verrebbe accolta una posizione simile?
E’ una fede matura quella che viene proposta in “ripensare il pensiero”. E’ la summa teologica: di “fede , scienza e coscienza” che trascende dall’io corpo materiale e creatura di Dio, nella completa visone di sé, “risvegliata in Dio Amore”. Per vivere in pienezza, l’amore di Dio “amando”. Non una visione materialistica dell’amore, ma realmente “Divina ed eterna”. Nella piena consapevolezza, di essere creature divine,” in anima, corpo e Spirito”, che è l’amore di Dio in noi. Amanti in questa vita terrena, perché per prima Amati da Dio, e creati dalla sua stessa sostanza Divina, che è l’amore. Queste sono pe premesse per vivere d’eterno in questa vita, anche nella consapevolezza di essere peccatori nel corpo, ma divini, eterni e puri nelle anime e legati eternamente al Principio dell’infinito amore di Dio, Alfa e Omega. Non più cristiani in lotta ma un unico popolo Santo di Dio che vive nel Suo Amore il senso della fraternità e della spiritualità della fede. Un vivo ringraziamento, a S.E. Rev.ma Mons. Antonio Staglianò, Presidente della Pontificia Accademia di Teologia, per questa preziosa opera di evangelizzazione, frutto di un grande Studio Teologico, e con l’aiuto del Santo Padre, condurrà’ tutto il popolo di Dio, ad una visione luminosa della fede. Preghiamo per il Santo Padre e per tutti coloro che sono impegnati a vari livelli in questa nuova Opera. Deferenti Saluti 🙏
«Quando Dio va contro l’uomo e la sua vita, lo sminuisce e lo distrugge, allora non è Dio secondo Gesù» (p. 195).
Parole sante visto che il magistero ancora oggi sminuisce e e distrugge la vita di alcune categorie di persone. La cosa è ovviamente intollerabile per qualunque cristiano capisca la verità contenuta in questa frase ma visto che spesso si parla di Dio senza passare per Gesù Cristo, che è l’unico che ce ne ha ha mostrato il volto, allora si fa dire a Dio solo quello che gli uomini vorrebbe che dicesse. Si fa di Dio un burattino nelle mani dei teologi. Non si può parlare di Dio se è in contraddizione con il comportamento e le parole di Gesù. L’incoerenza fra ciò che si fa dire a Dio e quello che ha detto e fatto Gesù è il vero scandalo che allontana le persone.
Una Chiesa con il Magistero omofobo non è certo una “Chiesa esperta di umanità” (Paolo VI). Una Chiesa con una dottrina che non avanza, che non sa reinterpretarsi, che non sa accogliere gli studi scientifici in diverse materie umane in nome di un ideologico umanismo, non è una Chiesa evangelica. Si parla appunto di trans-disciplinarietà in teologia: e la teologia è scienza se sa ascoltare il fondamento della Rivelazione, precipitato nelle Sacre Scritture, e se sa ascoltare le culture in cui la Chiesa si trova e vive. Una Chiesa che non sa mettersi in discussione in modo radicale dinnanzi a certe istanze dottrinali in campo morale, proprio in nome del prezioso distillato del messaggio evangelico, è una Chiesa che continua a restare indietro, che non avanza, che non vive nella storia presente. La dottrina “muta” e non può che essere così: la traditio vivente della Chiesa è viva solo se la Chiesa ne riconosce i dinamismi e i necessari aggiustamenti nel e durante il cammino. “L’evento” Fiducia supplicans, però, probabilmente ha mostrato un’istantanea ecclesiale a livello mondiale: oltre all’esultanza di una parte pacatamente progressista, è emersa – ovviamente – una parte critica, preoccupata, quasi scandalizzata. Eppure, per molti in Fiducia supplicans – giustamente – persiste una visione di Chiesa che, nel concedere una benedizione (comunque di serie B, ossia nell’invenzione delle benedizioni pastorali) persiste nella “condanna”. Sembra una “sopportazione”: “nonostante la vostra situazione irregolare, la Chiesa vi dà una rapida benedizione”. Mi lascia perplesso: la poetica che scorgo nella praxis Jesu che, del resto ascolto dalle pagine evangeliche (così come mi sono offerte), credo sia ben altra! Ma, certo, il peso di una certa storia teologica e magisteriale e culturale – purtroppo, ma non potrebbe per certi versi che essere altrimenti – mi fa cogliere che la Chiesa cattolica non è stata ancora capace di “vera riforma” in ottica evangelica. E, molto, molto, molto…resta ancora da vivere e da convertire! Più che cavillare in teologia e nel Magistero, probabilmente servirebbe più ancoraggio alle culture dei popoli, più umanità e maggiore essenzialità e snellezza. E che le teologie non fossero isolate riflessioni, avulse dalla storia e non recepite dal Magistero, ma quei continui spazi creativi ove sperimentare “vita e vita in abbondanza”. Meno centralismo e più continentalità teologica ed ecclesiale.