Teologia e scienze religiose: quale futuro?

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studi teologici

La specificità delle scienze religiose in rapporto alla teologia e in dialogo con l’università: su questo tema, di rilevanza istituzionale e teologica, si sono confrontati i docenti della Facoltà teologica del Triveneto riuniti nel collegio plenario il 9 giugno 2022.

Stiamo vivendo un momento importante e delicato per il futuro degli studi teologici in Italia ed è avvertita la necessità – e l’urgenza – di rispondere alle esigenze di qualità, formazione integrale e servizio in sintonia con le specifiche istanze culturali, sociali ed ecclesiali attuali, richiamate anche da Veritatis gaudium.

La questione è stata articolata in cinque interventi, a partire dalla ricognizione storica (Gaudenzio Zambon), puntando poi a cogliere la specificità delle scienze religiose in rapporto alla teologia (Alberto Cozzi), analizzando la proposta per il ripensamento integrato degli studi teologici in Italia avanzata dall’Associazione teologica italiana (Leonardo Paris) e, infine, confrontandosi con il corso di laurea magistrale inter-ateneo in Scienze delle religioni presso l’Università degli studi di Padova a Ca’ Foscari di Venezia (Chiara Cremonesi) e con la Religionspädagogik nel mondo germanofono (Alexander Notdurfter).

Una realtà magmatica

Gaudenzio Zambon, segretario generale della Facoltà e docente all’Issr di Padova, ha proposto una Breve ricognizione storico-genetica degli Istituti superiori di scienze religiose, a partire dall’Istituto di scienze religiose (Isr) della Pontificia Università Gregoriana, il primo, nato nel 1966 come risposta della Compagnia di Gesù alle esigenze di promozione del laicato maschile e femminile e del suo pieno inserimento nelle università ecclesiastiche romane. «La fisionomia degli Issr si sviluppa come una realtà magmatica con tratti caotici e di confusione, in un continuo movimento di ricerca di consolidamento» ha affermato Zambon.

L’elemento imprescindibile per una maturità cristiana e per un laicato adulto è la capacità di leggere e interpretare la storia alla luce della Rivelazione.

La questione più rilevante è quella dell’oggetto formale e/o dello statuto epistemologico, definito dalla Congregazione per l’educazione cattolica come «conoscenza degli elementi principali della teologia e dei suoi necessari presupposti filosofici e complementari delle scienze umane». A questo proposito – ha osservato Zambon – può essere utile ripensare la prospettiva offerta dalla Gregoriana sull’Isr «che vede nella “religione” il suo oggetto formale pensato come fenomeno religioso alla luce della Rivelazione in un contesto multi e inter-disciplinare, in dialogo con altre religioni.

Da ciò derivano un adeguato metodo, uno specifico modo di insegnare e un piano di studi articolato tra discipline fondamentali cosiddette di confine (come la teologia fondamentale, la fenomenologia storico-comparata della religione e la filosofia della religione, l’epistemologia e la sociologia della conoscenza) e le altre scienze della religione (la storia delle religioni, la psicologia della religione, la sociologia della religione)».

Infine, Zambon ha messo in evidenza come «l’ampia gamma di finalità del percorso di scienze religiose, per un verso attento alle esigenze culturali attuali e, per un altro, alle necessità pastorali, lo orienta verso la divulgazione piuttosto che verso la ricerca».

Abitare il tempo

La specificità delle scienze religiose in rapporto alla teologia è stata trattata da Alberto Cozzi, docente alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e direttore dell’Issr di Milano. «Il rapporto tra teologia e scienze religiose – ha chiarito – mette in campo la questione della soggettività che si costituisce nell’esperienza religiosa, il problema di quale competenza plasmare per corrispondere adeguatamente all’oggetto di studio e quindi la finalità propria delle nostre istituzioni accademiche e, infine, la spendibilità sociale ovvero il riconoscimento pubblico di tale competenza.

Il luogo di sintesi o composizione, più o meno armonica, non pare essere il mondo universitario piuttosto che l’iniziativa delle nostre istituzioni accademiche oppure lo spazio culturale del dibattito pubblico presi a sé stanti e autonomamente, quanto piuttosto la loro articolazione nel rimando a un’esperienza specifica dell’umano e quindi a una soggettività (religiosa o credente), capace di esibire la legittimità del suo modo di abitare il mondo».

Il terreno d’incontro, dunque, sarebbe – più che una disciplina, che presupporrebbe un oggetto definito o delimitato – un campo di ricerca, da percorrere in una logica trans-disciplinare o, meglio, «”in-disciplinare”, basato su quei fenomeni condivisi o trasversali che sfuggono alle competenze disciplinari e chiedono una ricerca a più voci ovvero un’intelligenza multilaterale sull’umano».

L’impressione, fa notare Cozzi, è che «la competenza teologica, così com’è, non offra strumenti adatti ad affrontare le sfide in cui la nostra vita oggi mette in campo il religioso o lo spirituale: ad esempio, nell’accompagnamento spirituale nel mondo della cura; nel fronteggiare fenomeni sociali conflittuali forti come nei casi di integralismo religioso instillato nelle carceri o in comunità di recupero; nell’elaborazione del lutto in casi drammatici; nell’interpretazione di apparizioni o visioni o altri fenomeni più o meno mistici; nell’affrontare fenomeni di magia o stregoneria o esperienze del “demoniaco”; di fronte a casi di crisi di senso con rifiuto ateistico del religioso. Immaginare, a partire dalla sua spendibilità nello spazio pubblico di oggi, quale competenza plasmare con lo studio della teologia e delle scienze delle religioni, potrebbe aiutare a chiarire il contributo delle scienze religiose al lavoro teologico».

In questa logica, l’Issr di Milano ha scelto di spostare l’asse del discorso teologico sull’antropologico, con l’obiettivo di offrire coordinate per leggere l’esperienza religiosa. «Si cerca così – ha concluso Cozzi – di rileggere il fenomeno religioso, emerso dallo studio della tradizione cristiana e confrontato con altre ermeneutiche dell’esperienza religiosa, in relazione all’umano e a ciò che c’è in gioco, così da farne percepire la pertinenza antropologica».

La proposta dell’Ati: percorso unico con due indirizzi

L’Associazione teologica italiana ha presentato il 1° dicembre 2021 una piattaforma di lavoro per un ripensamento integrato degli studi teologici in Italia, che è stata illustrata da Leonardo Paris, membro del direttivo e docente all’Issr di Trento.

«Abbiamo avvertito l’urgenza, oltre che la necessità, – spiega – di fare un primo passo e siamo partiti dal presupposto che il doppio binario (percorso teologico e percorso di scienze religiose separati) sarebbe da superare, anche in vista di un possibile dialogo con l’università statale. Per questo sono stati ripensati i primi cinque anni di studio secondo la logica del 3+2 (laurea + laurea magistrale), con un poderoso triennio teologico comune e bienni con indirizzi differenziati: uno sistematico e uno didattico. La scelta – necessaria – è stata fatta in favore della teologia, con spazio alla filosofia e alla dimensione scientifico-religiosa, per favorire la comprensione della realtà in cui viviamo».

Una proposta che va in direzione della semplificazione «con lo scopo di fornire sensatezza, riconoscibilità e utilità per i destinatari dei nostri percorsi e che, se sarà sostenuta dalle Facoltà teologiche, avrà più forza per essere presa in considerazione dai soggetti competenti» ha concluso Paris.

Le scienze delle religioni nell’Università

All’interno dell’Università statale è istituto il corso di laurea magistrale in Scienze delle religioni, che fa capo agli atenei di Padova e di Ca’ Foscari e che è stato illustrato da Chiara Cremonesi, docente di storia delle religioni.

«Si tratta di un percorso laico di studi, con un approccio storico, filologico, linguistico e filosofico alle diverse tradizioni religiose e spirituali, delle quali si riconosce il valore culturale e storico – ha spiegato –. L’approccio comparativo e interdisciplinare permette di dare agli studenti gli strumenti teorico-metodologici per indagare la complessità dei fatti religiosi e per formarsi un pensiero critico».

L’ambito comparativo è molto ampio, si estende dall’Egitto antico all’India contemporanea, attraversando diacronicamente la storia globale.

L’offerta didattica comprende: Teorie e metodi applicati allo studio storico delle tradizioni religiose; Antropologia delle religioni e etnologia; Studio dei contesti in cui operano mito, rito, pensiero filosofico e teologico; Religioni del mondo classico, Vicino e Medio Oriente antico, dell’India, della Cina e del Giappone, le tradizioni monoteistiche (ebraismo, cristianesimo e islam) e le forme di sciamanesimo e di magia, nel passato e nel presente; Fonti antiche, classiche e medievali la loro interpretazione ripresa in ambito moderno e contemporaneo; Approfondimenti storici, filosofici, filologici, linguistici e letterari; Indagini a cavallo tra saperi antichi e attualità: salute medicina, scienze, esoterismo, ecologia, politica.

La Religionspädagogik nel mondo germanofono

Infine, un confronto con la Religionspädagogik (pedagogia della religione o didattica della religione) è stato proposto da Alexander Notdurfter, preside dello Studio teologico accademico di Bressanone.

Il termine nasce nel mondo protestante, alla fine del XIX secolo, in sostituzione della parola “catechesi”, a indicare la riflessione sull’educazione, la formazione, lo sviluppo e la socializzazione religiosa in ambito scolastico, ecclesiale e nella società.

«L’assunto centrale alla base della Religionspädagogik è, ovviamente, che la religione, e quindi anche la fede cristiana, possano essere trasmesse attraverso processi formativi – ha spiegato –. Poiché l’istruzione è un diritto fondamentale dell’essere umano, indipendentemente dall’età, la prassi della didattica religiosa e la Religionspädagogik come riflessione su tale prassi non si limita all’infanzia e all’adolescenza ma si occupa sempre più anche di questioni legate ai processi formativi in ambito ecclesiale con gli adulti e gli anziani».

Fra le aree di riferimento Notdurfter ha citato luoghi di apprendimento quali «l’educazione in famiglia, le liturgie per i bambini, la preparazione ai sacramenti, l’insegnamento della religione, ma anche le scuole di gestione ecclesiastica la formazione religiosa nei gruppi non ecclesiali, nelle associazioni e nei progetti della società civile; non ultimi, i mezzi di comunicazione».

La Religionspädagogik si studia nelle facoltà teologiche, sia come materia sia come indirizzo che porta a un titolo e prepara alla professione di insegnante.

Nei paesi di lingua tedesca, e in parte nella diocesi di Bolzano-Bressanone, la Religionspädagogik è chiamata ad alcune sfide, evidenziate da Notdurfter.

Innanzitutto l’insegnamento della religione, su cui, ad esempio, ad Amburgo, c’è il progetto che venga offerto nelle classi da rappresentanti di diverse confessioni e religioni a rotazione e richiederà quindi un curriculum più interreligioso.

In secondo luogo, il nuovo insegnamento – un misto di lezioni di etica e di formazione interreligiosa – che si introdurrà in provincia di Bolzano per gli alunni che chiedono di essere esonerati dall’insegnamento della religione cattolica.

Altro ambito è la formazione religiosa in generale e la trasmissione di contenuti cristiani, senza dimenticare l’ambiente dei nuovi media, che avranno un impatto sempre più forte anche sulla comunicazione religiosa.

«Sfide – ha concluso Notdurfter – che possono diventare ponti e rampe di lancio».

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