Tradizione, oltre le ingenuità teologiche

di:
tradizione

© Immagine di Eric Fan

Pubblichiamo l’introduzione del volume di Giuseppe Guglielmi, Produzioni dell’origine. Filosofia e teologia a confronto, Aracne, Roma 2024 (pp. 192, €, 16,00). L’autore è ordinario di Teologia fondamentale presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Sez. San Luigi (Napoli) e direttore della rivista «Rassegna di Teologia». Interessato ad una «teologia storica», le sue ricerche vertono sul rapporto tra teoria della storiografia e storia del dogma e della teologia. In questo ambito si segnalano in particolare i volumi: L’incontro con il passato. Storiografia e filosofia della storia in Bernard Lonergan (2015); Fare teologia dentro la storia. Il contributo di Giuseppe Ruggieri (2018). È autore di alcuni articoli su SettimanaNews.

Il tema dell’origine di un significato, di un uso, di una fonte o di una tradizione, ritorna spesso nei dibatti teologici e più in generale nelle discussioni ecclesiali, soprattutto quando all’orizzonte si profila la necessità di avviare cambiamenti. Per avere un’idea della sua importanza è sufficiente elencare alcune questioni.

Si pensi alla riscoperta dell’ebraicità di Gesù, a sua volta riletta entro il contesto del giudaismo del Secondo Tempio; tale attenzione ha di fatto travalicato gli interessi esegetici, storiografici e cristologici, investendo gli stessi rapporti tra cristianesimo ed ebraismo. Nella teologia fondamentale, invece, il tema dell’origine si ripresenta ogni qualvolta è chiamato in causa il concetto di tradizione. Per non parlare dell’ecclesiologia, ambito in cui l’interesse per la Chiesa primitiva fa capolino continuamente in dibatti attorno al primato, alla sinodalità, alla riforma della Chiesa, al ministero ecc. Ma anche nel campo liturgico l’attenzione non è da meno. Il cambio di alcune formule e preghiere (si pensi al Padre nostro) o di alcuni gesti (l’ostia sulla mano), l’introduzione di nuovi formulari liturgici (la benedizione delle coppie dello stesso sesso), sono solo gli ultimi esempi.

A fronte di tali questioni si sollevano di continuo accese discussioni.

Richiamarsi al «principio»

Siamo ormai abituati a considerare le posizioni conservatrici come quelle che fanno leva sulla continuità di una tradizione, mentre le posizioni riformiste come quelle insistenti sulla discontinuità. Nonostante però le loro divergenze, di solito entrambe le posizioni intendono giustificare le proprie argomentazioni richiamandosi a esordi iniziali (o che si vorrebbero far passare per tali), siano essi di natura biblica o risalenti ai primi secoli del cristianesimo (padri, concili).

Il nocciolo della questione potrebbe essere riassunto sommariamente in questi termini: usi, significati, insegnamenti e prassi sono ritenuti veri nella misura in cui è possibile dichiarare che furono stabiliti in illo tempore. Quel tempo vero, e di conseguenza esemplare, metterebbe fine ad ogni discussione. Purtroppo le cose non stanno proprio così, dal momento che le discussioni non terminano affatto. Prima di tutto, perché «quel tempo» a cui spesso si rimanda non è fuori dal tempo, anzi proprio in esso si perde. In secondo luogo, perché gli strumenti adoperati per determinare le condizioni iniziali possono condurre a risultati diversi a seconda di chi li utilizza e di come vengono utilizzati. Infine, perché anche laddove sia possibile giungere a un riscontro storiografico, non per questo la Chiesa si sente necessariamente in dovere di ripristinare antichi usi.

Lo stato di incertezza e di agitazione che spesso si aggira attorno a problematiche legate alla fede cristiana (testimonianze, culti, dottrine, norme) non può dunque essere risolto semplicemente avendo, o credendo di avere, come asso nella manica fondamenti (escamotage?) del tipo: «In principio era…». E questo anche perché gli stessi dispositivi epistemologici con cui argomentiamo in teologia risultano legati a precomprensioni metafisiche che sono state radicalmente messe in questione dal pensiero moderno.

Occorre dunque che la teologia percorra, «a suo rischio e pericolo»[1], la complessità che sostanzia la nostra cultura, procedendo ad un serio confronto con le razionalità critiche, evitando però – come scriveva con sagacia già mezzo secolo fa Michel de Certeau – di «ripeterne e volgarizzarne i prodotti al servizio di convinzioni immutate»[2].

Faccio mia questa osservazione dello storico francese, soprattutto perché ho l’impressione che a tutt’oggi la teologia si concepisca – e al tempo stesso venga ancora percepita – come un sapere in grado di offrire certezze e dunque di garantire riparo a coloro che, se proprio non disdegnano la complessità, la collocano sul piano di una premessa tutto sommato risolvibile.

Da questo punto di vista credo che la teologia faccia ancora molta fatica ad avviare un confronto serio con la stagione post-metafisica venutasi e creare a partire dalla crisi del modello occidentale di cultura e dai pluralismi etici e religiosi che sono conseguiti.

Sulla possibilità di un cristianesimo non metafisico

Occorre pertanto chiedersi: è possibile un cristianesimo non metafisico? È praticabile una teologia fuori da una ontologia generale? Non si tratta di interrogativi anacronistici, se pensiamo al fatto che la teologia, così come è stata pensata e proposta dal magistero successivo al Vaticano II, appare ancora strutturata sui puntelli della metafisica e facente perno su una concezione ontologica della verità (significato-significante, concetto-espressione, essenza-esistenza). Da queste premesse deriva anche la disinvoltura con cui di solito in teologia sono adoperati termini come verità, realtà, natura, ragione ecc.

Certo devo anche riconoscere che con il pontificato di papa Francesco la teologia sta ricevendo degli incentivi in merito alla revisione delle proprie procedure epistemologiche. Si veda l’insistenza su concetti come inter e transdisciplinarità, le sollecitazioni in merito allo studio della tradizione ecclesiale nell’ottica della creatività o del dogma nella sua articolazione con l’esperienza di fede (pastoralità)[3]. Ma credo che tali istanze, se non vogliono restare sul piano degli slogan (la cui decantazione riesce molto spontanea ai teologi), devono essere sottoposte alla fatica del concetto.

Questo libro di certo non intende far fronte compiutamente a tali interrogativi, ma vuole essere un contributo in questa direzione, privilegiando il tema della tradizione riletta attraverso una decostruzione del concetto di origine. Nelle pagine che seguono provo perciò a riprendere la critica al motivo delle origini che filosofi come Friedrich Nietzsche e Michel Foucault, storici della religione e della spiritualità cristiana come Michel de Certeau e infine teologi come Christoph Theobald e Pierre Gisel hanno avanzato, e da cui il dibattito culturale e più specificatamente teologico del nostro tempo non credo possa prescindere, al di là naturalmente delle valutazioni che ogni studioso può muovere nei confronti di questi autori.

Quanto alla personale ricerca, una sensazione sento tuttavia di dover sottoscrivere. La formulo con le parole dello stesso Foucault, quando sostiene: «Vi sono dei momenti, nella vita, in cui la questione di sapere se si può pensare e vedere in modo diverso da quello in cui si pensa e si vede, è indispensabile per continuare a guardare o a riflettere»[4].

copertina


[1] Riprendo questa espressione da Christoph Theobald. Secondo il teologo franco-tedesco, una Chiesa che nel cammino di fede e di ripresa creativa della tradizione, si lascia interrogare dalle istanze che il pluralismo culturale comporta, correrà sempre dei rischi e dei pericoli. Si tratterà comunque di azzardi legittimi, in quanto dettati da iniziative (testimonianze, studi, condivisioni) di credenti e di comunità che non intendono più coltivare preoccupazioni egemoniche o assilli identitari, ma che semplicemente desiderano rendere presente il Vangelo del Regno nel mondo (Cfr. C. Theobald, «Seguendo le orme…» della Dei verbum. Bibbia, teologia e pratiche di Lettura, tr. it. R. Pusceddu, EDB, Bologna 2011, p. 45).

[2] M. de Certeau, La debolezza del credere. Fratture e transiti del cristianesimo, tr. it. S. Morra, Vita e Pensiero, Milano 2020, p. 174.

[3] Approvando i nuovi statuti della Pontificia Accademia di Teologia, papa Francesco scrive: «l’apertura al mondo, all’uomo nella concretezza della sua situazione esistenziale, con le sue problematiche, le sue ferite, le sue sfide, le sue potenzialità, non può però ridursi ad atteggiamento “tattico”, adattando estrinsecamente contenuti ormai cristallizzati a nuove situazioni, ma deve sollecitare la teologia a un ripensamento epistemologico e metodologico (Francesco, Ad theologiam promovendam, Città del Vaticano 2023, n.3).

[4] M. Foucault, L’uso dei piaceri. Storia della sessualità, vol. II, tr. it. L. Guarino, Feltrinelli, Milano 1984, p. 14.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto