Nell’umile e marginale ebreo che è stato Gesù di Nazareth, vissuto nella Palestina del primo secolo, Dio si è umanizzato e ha offerto così la possibilità all’essere umano di divinizzarsi, umanizzando la propria umanità.
Il cristianesimo, per essere eloquente e trovare forza rinnovata, deve saper orientare l’umano e sapersi riscoprire come arte di vivere, nella sua capacità di ispirare e suscitare vita, divinizzata in quanto pienamente umanizzata, alla maniera di Gesù di Nazareth, Colui che ci ha fatto conoscere e ci ha narrato Dio.
Sono due concetti che esprimono efficacemente il contenuto del denso e impegnativo libro del teologo spagnolo José Maria Castillo, edito in Spagna nel 2010 e ora pubblicato in italiano dalle Edizioni Dehoniane di Bologna con il titolo L’umanizzazione di Dio – Saggio di cristologia.
Docente emerito di teologia fondamentale nella Facoltà di teologia di Granada (Spagna), professore invitato alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, alla Pontificia Università Comillas di Madrid e all’Università Centroamericana (UCA) di El Salvador, José Maria Castillo è uno dei maggiori teologi europei.1
Allontanato dall’insegnamento nel 1988 da Joseph Ratzinger, è stato di fatto riabilitato da papa Francesco nel 2018.2
L’autore si pone in ascolto della profonda crisi religiosa che sta attraversando il nostro tempo, ed esprime «con fermezza e altrettanta umiltà» proposte che ritiene, da un lato, compatibili con la fede cristiana (p. 16), dall’altro, in grado di contribuire a far luce sul problema più difficile che la Chiesa deve affrontare e risolvere: dire in modo intelligibile e accoglibile dagli uomini e dalle donne della postmodernità la definizione del Concilio di Calcedonia su Gesù «perfetto nella divinità e perfetto nell’umanità».
Noi cristiani, infatti, confessiamo come dogma di fede che Gesù di Nazaret è al tempo stesso e per essenza vero Dio e vero Uomo e crediamo che in lui si uniscono, senza mischiarsi e senza confondersi, e anche senza dividersi o separarsi, il divino e l’umano. Questa affermazione, non facilmente comprensibile e ancor meno tranquillamente accettabile, ha provocato, nel corso della storia della Chiesa, tensioni, dubbi, conflitti.
Castillo ritiene che la maggiore difficoltà, ieri come oggi, stia nell’accettazione non della divinità di Cristo, ma dell’umanità di quell’umile e scandaloso galileo che ha concluso i suoi giorni sulla croce come un delinquente.
Con il rischio sempre incombente di accettare, senza forse rendersene conto, una specie di monofisismo larvato che «dà più importanza al celeste che al terreno, apprezza di più lo spirito che la carne, considera più importante amare Dio che amare gli esseri umani, sente più rispetto per il sacro che per il profano, lotta con più ardore per presunti diritti divini che per quelli umani» (p. 9).
Nulla di più sconosciuto di Dio
La riflessione di Castillo parte da un dato di fatto: Dio non può mai essere circoscritto entro confini concettuali o esperienziali. Nessuna idea o immagine umana lo possono contenere.
Ci si deve guardare dal mettere le mani su Dio perché, per definizione, Dio è il Trascendente. Dio è oltre tutto quanto noi esseri umani possiamo raggiungere e, meno ancora, comprendere con la nostra limitata capacità. Non c’è nulla di più sconosciuto di Dio, per quanto si sia scritto o si sia disquisito sul significato e sul contenuto di questa parola (p. 53).
Quando parliamo di Dio, non ne parliamo in termini di «Dio in sé», ma solo in termini di rappresentazioni umane di Dio. E molte persone che oggi affermano di rifiutare Dio in realtà sembrano piuttosto respingerne rappresentazioni sbagliate e obiettivamente non ricevibili da parte degli uomini e delle donne della società secolarizzata occidentale in cui siamo chiamati a vivere.
Ma anche chiedersi se Gesù è Dio o affermare che Gesù è Dio presuppone che si conosca chi è Dio. Che Gesù sia Dio o che Gesù sia di condizione divina è un’affermazione problematica, perché quello che si vuol affermare ci è sconosciuto.
Il cristianesimo, però, osa fare due affermazioni paradossali. Primo: è attraverso l’uomo Gesù di Nazaret che Dio diventa visibile. Secondo: l’unica trascendenza di Dio che il cristiano è chiamato a testimoniare è quella che traspare nell’immanenza dell’umanità storica di Gesù.
Gesù, il mezzo e la chiave di accesso a Dio
Che nessuno abbia mai visto Dio e che sia stato Gesù di Nazaret a rivelarcene il volto ce lo attesta il prologo del vangelo di Giovanni: «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18).
La missione di essere il rivelatore di Dio è stata assolta da Gesù non solo nella sua vita mortale, ma, come ci attesta Gv 17,26 («Ho fatto loro conoscere il tuo nome, e glielo farò conoscere ancora»), continua ad essere assolta qui e ora.
Questo stesso messaggio si ripete con più forza e chiarezza in ciò che Gesù dice all’apostolo Filippo, quando egli chiede a Gesù: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8). Davanti a questa richiesta la risposta di Gesù è tanto emblematica quanto sorprendente: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre!» (Gv 14,9). Commenta Josè Maria Castillo: «La sorprendente innovazione introdotta da Gesù nel poter conoscere Dio sta nel fatto che il Trascendente e l’Invisibile sono diventati immanente e visibile in quell’uomo che è stato Gesù» (p. 150).
Quello che i cristiani possono sapere su Dio, dunque, lo sanno a partire da quello che ha loro rivelato Gesù, con la sua vita, le sue azioni e le sue parole. Il cristianesimo ha il suo vero senso solo quando lo si interpreta a partire dall’umanità storica Gesù.
Scrive Castillo: «Incontrare Dio in Gesù di Nazaret significa incontrare Dio (e la salvezza che Dio ci concede) nella storia, nella vita e nelle azioni di quell’ebreo che è stato Gesù il Nazareno» (p. 161), la cui esistenza nella Palestina del primo secolo può essere affermata con certezza grazie ai dati abbondanti e sicuri che possediamo e che si riferiscono a quello che ha fatto e insegnato (p. 30).
Il Dio che Gesù ci fa conoscere è il migliore dei padri che noi possiamo conoscere: un Padre che si caratterizza non per il potere, il dominio o la tirannia, ma per la bontà, l’accoglienza incondizionata, la tolleranza, il rispetto e l’amore; un Padre che non chiede sottomissione, ma rassomiglianza a lui nella libertà (p. 93). «Con questo Gesù ha voluto dirci che, a partire dall’esperienza umana di un padre amabile, che dà affetto e sicurezza, a partire da quest’esperienza così umana possiamo cominciare a conoscere quello che è Dio e come è Dio» (p. 103).
Gesù, l’umanizzazione di Dio
Ma il cristianesimo fa una seconda affermazione paradossale.
«Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14: o logos sarx egheneto cai eschenosen en umin). Con una fedele traduzione del testo greco del prologo di Giovanni, la teologia parla comunemente di «incarnazione di Dio», e piuttosto raramente di «umanizzazione di Dio».
Secondo Castillo, «il mistero dell’incarnazione si può comprendere correttamente se lo si intende come il mistero dell’umanizzazione di Dio» (p. 167). La formula del prologo di Giovanni afferma che Dio si fa conoscere a noi e ci incontra nella «carne» di Gesù di Nazaret, cioè nella sua umanità.
Quando si parla del mistero dell’incarnazione, non si tratta di dire che l’uomo è divinizzato, ma che Dio ha rinunciato alla sua condizione divina per identificarsi con l’umanità. «Dire che Dio si è incarnato equivale a dire che si è umanizzato» (p. 225).
Ma vi è di più. «L’umano di Gesù non è stato l’umano di un imperatore, di un grande di questo mondo o di un potente della terra. L’umano di Gesù è stato l’umano di una povera e umile creatura nata nella miseria di una stalla, vissuta come escluso che non aveva nemmeno un posto dove poggiare il capo e, soprattutto, morta come un uomo indesiderabile giustiziato dai poteri religiosi e politici, come se fosse uno schiavo e uno straniero» (p. 326).
Secondo la lettera ai Filippesi, infatti, Gesù Cristo, pur essendo nella condizione di Dio, si spogliò del suo rango fino a morire in croce, diventò simile all’essere umano, assunse la forma di servo/schiavo, decise di stare sul gradino più basso della scala sociale umana (Fil 2,5-11).
Una fede che umanizza la vita
Come conseguenza dell’umanizzazione di Dio realizzata in Gesù, va affermato che al Dio di Gesù ci si avvicina non divinizzandoci ma, al contrario, umanizzandoci. Detto diversamente: umanizzandoci alla maniera di Gesù ci si avvicina a Dio e, quindi, ci divinizziamo.
«In questo – afferma Castillo – consiste la cosa più nuova, più sorprendente e perfino più rivoluzionaria che si può dire sul Dio di Gesù e anche, ovviamente, sull’essere umano» (p. 87). Il divino si rivela a noi nella misura in cui rispettiamo l’umano, potenziamo l’umano e ci umanizziamo sempre di più, sanando la grande disumanità che dilaga nel mondo (p. 155), cioè ogni inclinazione e ogni condotta che, per azione o omissione, finisce con il danneggiare o far soffrire qualcuno (p. 165).
Oggi la fede, per essere eloquente, deve saper orientare l’umano e deve essere innestata su di esso. Il cristianesimo deve sapersi riscoprire come arte di vivere, alla sequela di Gesù che, come si legge negli Atti degli Apostoli, passò in mezzo a noi facendo del bene e alleviando le sofferenze di quanti erano tormentati dalle forze del male (At 10,38).
Le potenzialità umanizzatrici della fede cristiana risiedono nel bene che fa, nella sofferenza che allevia, nella felicità che garantisce agli uomini e alle donne e nella speranza che infonde in chi la professa, affinché tutti si possa trovare «sempre il senso della vita che offre incoraggiamento e forze per andare avanti nel compito che a ciascuno tocca in questo mondo» (p. 332).
Dal racconto che il vangelo di Matteo fa circa il giudizio definitivo di Dio sulla storia dell’umanità (Mt 25,31-36) emerge che Dio si identifica non solo con ogni essere umano, ma con tutto ciò che è sofferenza, spoliazione e umiliazione dell’umano. Nell’ora della suprema verità la sola cosa che sarà tenuta in considerazione «non sarà quello che ciascuno ha fatto o non ha fatto con Dio, bensì quello che ha fatto o non ha fatto con gli esseri umani con i quali ha vissuto» (p. 156).
Ulteriore conseguenza del discorso di Castillo è la necessità di umanizzare la Chiesa. Se Dio si è umanizzato in Gesù per portare la salvezza a questo mondo, altrettanto dovrebbe fare la Chiesa per essere testimone credibile di questo Dio, spogliandosi dei suoi privilegi e di ogni pratica che si traduca in disuguaglianze fra cristiani. «Ad esempio, la classica disuguaglianza di diritti fra uomini e donne nella Chiesa» (p. 289).
«Cristo crea in noi non un tipo d’uomo, ma l’uomo». «Essere cristiano non significa essere religioso in un determinato modo, fare qualcosa di se stessi (un peccatore, un penitente o un santo), in base a una certa metodica, ma significa essere uomini; Cristo crea in noi non un tipo d’uomo, ma l’uomo. Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prender parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo».
Lo scriveva dal carcere di Tegel Dietrich Bonhoeffer in una lettera del 18 luglio 1944 indirizzata all’amico Eberhard Bethge.3
È il succo – mi sembra – del prezioso e istruttivo «saggio di cristologia» di Josè Maria Castillo, L’umanizzazione di Dio.
1 Di Josè Maria Castllo, in lingua italiana disponiamo ad oggi delle seguenti pubblicazioni: L’umanizzazione di Dio. Saggio di cristologia, EDB 2019 (Madrid 2010); L’umanità di Gesù, Edizioni La Meridiana 2018 (Madrid 2017); La laicità del Vangelo, Edizioni La Meridiana 2016 (Madrid 2014); L’umanità di Dio, Edizioni La Meridiana 2014 (Madrid 2012); Vittime di peccato, Fazi Editore 2012 (Madrid 2004); Fuori dalle righe – Il comportamento di Gesù, Cittadella Editrice 2010 (Bilbao 2007); La Chiesa e i diritti umani, Gabrielli Editori 2009 (Bilbao 2008); Dio e la nostra felicità, Cittadella Editrice 2008 (Bilbao 2007); I poveri e la teologia – Vita, libertà, utopia nella teologia del terzo millennio, Cittadella Editrice 2002 (Bilbao 1998); Simboli di libertà – Analisi teologica dei sacramenti, Cittadella Editrice 1983 (Salamanca 1981).
2 Sappiamo che la sera dell’8 gennaio 2018 papa Francesco ha telefonato a Josè Maria Castillo. Gli ha chiesto di pregare per lui e lo ha assicurato che avrebbe letto il libro La religiòn de Jesus – Comentarios al Evangelio, dal teologo spagnolo dedicato a papa Francesco.
3 Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Editrice Queriniana, Brescia 2002, p. 499.
Ma sti libri non li legge nessuno e nessuno li commenta. Come mai?
Io li leggo ma non posso più commentare.
Ho letto Castillo. E’ una lettura estremizzante delle fonti del Nuovo testamento. San aolo contro i Sinottici. Non un ebionita contro i Cristiani che divinizzano il profeta Gesù, ma il pèrofeta Gesù che rifiuta la lettura veterotestamentaria imposta da Paoio. Troppe affermazioni di Xastillo sono contestabili. E dubbiia anche la capacità di conoscere in profondità Paolo e la sua conversione. Se è Paolo che parla di un “Corpo -spirituale” enunciando un ossimoro sul quale Castillo dovrebbe riflettere e se l’inno ai Colossesi definisce il Cristo “colui che si spogliò della natura divina” tutto il resto che viene da una filosofia del sacro ottocentesca diviene una tesi da dismostrare con una quadratura del cercio inaccettabile. C’è chi lo quadrta per eccesso, chi per difetto ma la linea del cerchio non è facilmente integrabile. Rimane “Irrazionale” e accetti la fede “irrazionale”