È una vera perla questo saggio del monaco benedettino francese Ghislain Lafont, già docente alla Gregoriana e all’Ateneo Sant’Anselmo.
La quarta di copertina presenta questo libro come «una sintesi matura» del suo pensiero teologico. Curate da Francesco Strazzari, queste pagine affrontano in modo nuovo rispetto alla visione classica del cattolicesimo quattro temi di rilievo: il “sacrificio”, un gesto «legato all’amore» e non una pratica espiatoria; l’“eucaristia”, «memoria attiva» del sacrificio di Cristo, che non necessita di tutto l’apparato rituale attualmente in uso; l’idea di “ministero” proposta dal Vaticano II, lungi dall’essere applicata; tra tutti i Nomi attribuiti a Dio, quello più conforme al Vangelo è Amore all’eccesso o Misericordia. «Il tema dell’Amore all’eccesso permette di sintetizzare in modo armonioso» tutti gli altri punti.
Il primo capitolo del testo di Lafont si sofferma proprio su quest’ultimo punto. «La Chiesa – scrive il teologo benedettino – da sempre ha conosciuto questo Nome (“Dio è Amore” 1Gv 4,3), ma oggi comincia a rendersi conto che in questo Nome acquistano il loro senso, vigore e incisività tutte le altre parole di Dio».
E ancora: «La storia della salvezza è la storia di Dio in dono infinito di amore e in richiesta altrettanto infinita di essere amato». Se questo è vero, «ciò che chiamiamo “sacrificio”… non è legato al peccato, ma all’amore».
Occorre quindi leggere la Bibbia come «una storia d’amore», dal momento che «l’Amore all’eccesso è più forte di qualsiasi morte legata alla colpa… In Gesù la storia sacra e la storia colpevole si incontrano, ma la prima ricopre e annulla la seconda».
La conseguenza è che «bisogna purificare la nostra teologia dai sentori di morte». Più avanti scriverà: «La storia dell’Amore all’eccesso è più forte della storia dei fallimenti dovuti al peccato».
Gli stessi concetti vengono ribaditi nel secondo capitolo dal titolo “Il sacrificio espiatorio”. In queste pagine, la fede, i sacramenti, il ministero presbiterale sono declinati su questo versante. Lafont constata che «per secoli l’economia della salvezza è stata pensata legata al peccato», mentre la Rivelazione «scopre quella che si potrebbe chiamare la testardaggine di Dio, che ristabilisce periodicamente questo mondo cattivo e si presenta agli uomini per stipulare alla fine un’alleanza felice con lui», perché la storia della salvezza è al di sopra della storia del peccato.
Nella seconda parte del testo, il teologo benedettino ragiona sulla modalità di esercitare il sacerdozio nella Chiesa. Tutta la Chiesa – scrive – «è un sacerdozio regale». E si rammarica che questo sacerdozio sia stato suddiviso in “comune” e “ministeriale” o “gerarchico”, dotando quest’ultimo di «potestà sacra». Se Gesù nell’ultima cena ha istituito qualcosa, «sembrerebbe essere non la gerarchia, bensì la Chiesa». Afferma che il sacramento dell’ordine «non dà anzitutto e soprattutto il “potere” di celebrare l’eucaristia…, ma l’autorità e il dovere di guidare una comunità».
Quanto al problema del clero nella Chiesa, Lafont auspica che esso sia «misto» e «che non si confonda più il ministero sacerdotale con lo stato di vita personale». Si dice favorevole all’ordinazione di uomini sposati, ma con alcune precisazioni: che sia dapprima un esperimento su piccola scala e che sia trattato sinodalmente a livello locale con decisione e prudenza, per poi allargare la prospettiva a seconda delle necessità.
E l’ordinazione delle donne? «Se un giorno si giungesse ad ordinare delle donne, sarebbe meglio farlo solo dopo un’esperienza piuttosto lunga e soddisfacente di un clero maschile misto, composto da celibi e sposati».
Torna poi a sottolineare che la missione episcopale e la missione sacerdotale non vengano proposte come “potere su”, ma come “carisma al servizio”. Nonostante la Chiesa sia ancora «un mondo sacro e gerarchico» (con annessi i pericoli del clericalismo, dell’autoreferenzialità, della mondanità…), il suo giudizio sul clero degli ultimi centovent’anni è positivo. Egli lo descrive come «degno, impegnato, fedele, che esercita i suoi poteri senza abusarne, cercando il Regno di Dio e la missione sia all’interno che all’esterno».
Il Vaticano II è stato «un atto veramente profetico», che ha aperto la Chiesa a prospettive impensate. Ma bisogna che esso venga recepito, che tocchi il cuore e le intelligenze. Il “fariseismo” – scrive sul finire Lafont – si aggrappa «non a Gesù Cristo, bensì alla legge». E chiude con una stoccata in favore del santo padre: «Pensando nominativamente a certi avversari di papa Francesco, mi chiedevo che cosa avrebbero fatto se fossero stati membri del sinedrio davanti all’accusato Gesù».
Queste pagine ci consegnano la freschezza di un teologo novantunenne. Da gustare nella loro bellezza espositiva e nel loro contenuto carico di amore sapiente per la Chiesa.
GHISLAIN LAFONT, Un cattolicesimo diverso, a cura di Francesco Strazzari, EDB, Bologna 2019, pp. 84, € 12,00, ISBN 978-88-10-41307-4.