Nella mattinata del 19 agosto il prof. Andrea Grillo ha fatto circolare in rete un breve comunicato stampa in merito ad alcuni commenti e asserzioni che riguardavano i suoi testi (online e cartacei) legati al motu proprio “Summorum Pontificum” di Benedetto XVI e a quello di papa Francesco “Traditionis Custodes”: “Deludendo forse più di un commentatore, che ha troppo fervida immaginazione, debbo ribadire che: a) Non ho mai fatto parte di alcuna commissione o gruppo liturgico vaticano per la stesura di documenti; neppure sui documenti liturgici più recenti; b) che non ho neppure mai incontrato né di persona né indirettamente papa Francesco; c) che mi limito a fare il mio mestiere: insegno, leggo e commento; d) che è inutile cercare fonti segrete: tutto quello che ho scritto è pubblicato e accessibile a chiunque voglia leggerlo; e) che è meglio leggere direttamente quello che scrivo, senza fidarsi di sintesi unilaterali di 5 righe che spesso sono solo una brutta caricatura dei miei testi”.
Nel contributo che pubblichiamo qui sotto spiega le ragioni che lo hanno spinto a redarre questo breve comunicato stampa. L’episodio potrebbe sembrare marginale, quasi inevitabile data la forte polarizzazione interna alla Chiesa cattolica e in ragione delle dinamiche proprie alla circolazione delle informazioni in rete… Ma, appunto, sembra – perché in realtà apre alla possibilità di un dibattito sulla presenza della teologia italiana nell’ambito dell’opinione pubblica ecclesiale secondo canoni che sono oramai completamente oltre quelli classici, che hanno accompagnato tutto il post-concilio cattolico. Canoni desueti da tempo, ma che rimangono quelli che caratterizzano la forma mentis della comunicazione teologica di casa nostra. L’episodio invita a prendere coscienza del cambiamento, delle sue implicazioni per il lavoro teologico e per la sua disseminazione (oggi senza destinatario preciso).
Perché mai, di fronte ad un testo elaborato dagli appositi uffici della Curia Romana, si trova quasi spontaneo attribuirne la “mens” o addirittura la “stesura” ad un semplice teologo, che non ha alcun rapporto diretto con la Curia romana e ha, semmai, l’unica responsabilità di aver scritto molti testi, da 14 anni, proprio sul tema di cui si occupa il provvedimento papale?
Le ragioni più profonde di questo equivoco, piccolo e marginale, affondano su una condizione più delicata, che riguarda, contemporaneamente, il consenso largo e poco considerato di cui gode Francesco in questo ambito e il grande silenzio che ha coperto questo tema per tutti questi 14 anni.
Che cosa è capitato? Provo a spiegarlo con alcuni dati. Dopo il 2007, il tema di SP è stato accuratamente evitato da parte di molti teologi, anche liturgisti. C’era comprensibile disagio. Ho anche ricordato, in un post precedente, che la manifestazione di un certo “consenso” verso SP era diventata, fino al 2013, un criterio di scelta dei candidati all’episcopato.
Ma al di là di questo condizionamento, che pure non è trascurabile, era evidente che sul tema scomodo si preferiva sorvolare. Così è capitato un fenomeno singolare. Mentre all’estero molti teologi, nel corso degli anni, hanno preso posizione apertamente critica su SP, in Italia si è creata una strana situazione: sul tema mi sono guadagnato quasi l’esclusiva – senza volerlo e con la bella eccezione di P. M. Augé – anche se moltissimi colleghi, talvolta sottovoce, nei corridoi, o negli ascensori (che, come è noto, sono più sicuri) mi dicevano: “guarda che la penso come te, potrei sottoscrivere ogni tuo commento, ma sai, ci sono delle difficoltà e poi tu hai la fortuna di essere laico…”.
Questo ha creato la strana percezione, distorta e fuorviante, che le idee che si leggono su Traditionis Custodes siano per così dire un “distillato” di ciò che ho scritto io. Nulla di più falso. Giriamo la frittata. Io ho semplicemente scritto quello che la maggior parte degli osservatori pensava, ma non scriveva.
Perciò il contenuto di TC è il concentrato di un pensiero comune, largamente diffuso, profondamente radicato, che abita stabilmente nelle menti e nei cuori del popolo di Dio e dei suoi pastori.
Qui non c’è problema. Il problema, semmai, sta nell’ostinato silenzio dei teologi. Perché mai non si devono esprimere tutte le proprie riserve su un provvedimento così fragile e così mal argomentato e che causa tanta divisione? Io non riesco a capirlo.
Ovviamente ora tutti sono disposti a parlare. Addirittura possono parlare a favore di TC anche quelli che avevano esaltato la opportunità di SP. È nella logica delle cose: la tendenza della teologia a farsi carico, diciamo così, delle variabili tendenze del magistero è talvolta davvero ammirevole. Ma l’equivoco sta tutto qui: le cose che ho scritto sono apparse molto più autorevoli di quanto fossero davvero, perché lavoravo quasi in regime di monopolio, senza averlo scelto. Questo però ha alterato due dati fondamentali, di cui oggi si deve tenere conto.
- Papa Francesco gode del pieno consenso di tutta la Chiesa e della stragrande maggioranza dei teologi e dei liturgisti. Non segue “teologi di nicchia” ma dà voce al “sensus fidei”. Ciò che è scritto in TC interpreta la “communis opinio” dei migliori luoghi di formazione italiani e stranieri e del sensus fidei del popolo di Dio.
- La funzione della teologia liturgica è ancora succube di un modello “vincolato al silenzio”. Io credo che il teologo sia tenuto a non tacere. Che debba dire la verità e che questa sia la sua funzione specifica. Dire sempre la verità, anche quando è scomoda. Anche quando il papa dicesse che una cosa bianca è nera, il teologo dovrebbe dire, con tutto il rispetto: no, la cosa è bianca.
Con il MP è successo qualcosa di simile. Papa Benedetto, nel 2007, con un gesto molto ardito, ha detto che SP era bianco. Io, leggendolo con cura, ho ritenuto che fosse nero e l’ho scritto. Come me hanno fatto anche altri teologi negli USA, in Francia, in Belgio, in Germania.
Anche tutti i liturgisti italiani sapevano che SP era nero, ma non lo dicevano, e anche quando dicevano che era bianco, pochi lo pensavano davvero. Ora Francesco ha detto: SP è nero. Non lo ha detto perché qualcuno glielo ha suggerito, ma ha espresso semplicemente quello che tutti sapevano da tempo e speravano solo che fossero altri a dire.
Non capisco il titolo redazionale al testo del prof. Grillo, a cui dovrebbe essere tributata riconoscenza per il lavoro svolto e l’esposizione a cui si è sottoposto.