Il gesuita francese Christoph Theobald, conosciuto anche in Italia per i suoi lavori sul Vaticano II e per la sua proposta teologica di un cristianesimo come stile, ha da poche settimane terminato un nuovo importante libro, dal titolo Urgences pastorales du moment présent. Comprendre, partager, réformer, Bayard 2017, pp. 539, € 19,90. Nella prospettiva pastorale e spirituale vediamo riemergere con forza l’interrogativo che anima il pensiero teologico di Theobald, cioè come ripensare il cristianesimo e il ruolo delle Chiese nelle nostre società occidentali segnate profondamente da una crisi di fiducia sulle forme di convivialità sociale, afflitte da inediti problemi ecologici, affascinate dalle bio-tecno-scienze.
Il quotidiano francese La Croix, solitamente attento agli eccessi linguistici, ha presentato il volume di Christoph Theobald – Urgences pastorales du moment présent. Comprendre, partager, réformer – usando per due volte in poche righe la parola “incontournable”, cioè imprescindibile: il libro potrebbe diventare un preziosissimo faro per orientare la miriade di discussioni e i tentativi di riorganizzazione territoriale delle comunità cristiane, che tanto stanno impegnando le nostre diocesi.
Abbiamo incontrato l’autore al quale abbiamo posto alcune domande.
– Christoph Theobald, lei ha appena pubblicato in Francia un nuovo libro dal titolo evocativo: Urgences pastorales du moment présent. Come nasce questo nuovo libro, importante anche nella sua mole, visto che è composto da oltre 500 pagine?
Per me questo libro era urgente, al punto che gli ho dato la precedenza rispetto ad altri progetti in cantiere. Perché? Perché penso che noi, come Chiese europee, siamo davanti a un crocevia, ed è urgente a questo punto fare un bilancio. Come scrivo nell’introduzione del libro, è forse anche grazie a papa Francesco – il primo papa postconciliare che non ha partecipato al Concilio e che viene da un altro continente –, il quale senza sosta ci rimanda, per così dire, davanti allo specchio, cioè a riflettere su quanto accade in Europa. E quindi ci obbliga, in primo luogo, a sederci, a riflettere e a porci la domanda “Dove siamo? A che punto del cammino ci troviamo?”.
Il nodo del problema, dove a mio avviso sta l’urgenza, è ciò che l’apostolo Paolo chiama la missione, “Guai a me se non annuncio il vangelo!”. La parte centrale del libro è dedicata proprio a questa convinzione: la nostra vita cristiana non può che essere missionaria. Ma cosa constatiamo di fatto? Che in Europa, proprio questa dimensione missionaria è quasi totalmente scomparsa.
– Quindi il primo passo da fare…
Il primo passo da fare è cercare di capire la situazione, analizzare i motivi di questa erosione dell’evangelizzazione. Perché e come tutto questo è accaduto? Non possiamo dimenticare che il nucleo della fede cristiana è in qualche modo un’esperienza mistica, cioè l’intimità di Dio che ci dà la forza di condividere con altri ciò che noi stessi abbiamo ricevuto. Ma di condividerlo in modo tale che la libertà dell’altro sia radicalmente rispettata. Questo è il punto nel quale si può cogliere tutta l’importanza della forma, cioè dello stile con il quale improntiamo le nostre relazioni. La libertà oggi è, allo stesso tempo, un obiettivo – l’evangelizzazione ha come scopo di rendere l’altro libero, più libero – ma anche una forma, una modalità, nel senso che non si può imporre ad altri la fede dall’esterno.
– Quanto lei dice si riallaccia ad una nozione che ha già sviluppato con grande profondità in altri suoi scritti, cioè la questione della santità ospitale?
Esattamente. Da questo punto di vista il libro non è distante, al contrario, dai miei lavori sul Vaticano II, e da quelli sistematici sul cristianesimo come stile, dove mostro come la santità ospitale è una maniera di realizzare l’evangelizzazione.
– Come si struttura il libro?
Il libro ha un accento fortemente ecclesiale, ma anche sociale per la diagnosi che occupa la prima parte. Ritengo fondamentale iniziare analizzando il più lucidamente possibile la situazione nella quale ci troviamo. Ascoltare il nostro tempo e interrogarlo a fondo è un atto essenziale del pensiero teologico.
La seconda parte del libro è più teologica, ed è accompagnata da una riflessione antropologica, una sorta di rivisitazione dell’umano che corrisponde assai bene a quanto auspica il papa quando parla di un nuovo umanesimo.
Vi è poi una terza parte centrata su una proposta pedagogica, cioè su un modo di procedere che ritengo importante in quanto molto spesso le persone si dicono d’accordo su una riforma missionaria della Chiesa (cf. Evangelii gaudium), ma chiedono che cosa significhi in concreto e come fare. In questa parte il libro offre alcuni suggerimenti concreti e come metterli in atto.
– Lo sguardo prospettico della sua analisi e delle proposte contenute nel libro hanno un preciso riferimento geografico e, se sì, quale?
È un libro concepito per i Paesi dell’Europa centrale, in particolare dell’ovest e del sud dell’Europa, che sono quelli che meglio conosco. Vale a dire quei Paesi che hanno subìto forti ondate di secolarizzazione e che sono stati obbligati, già prima del Vaticano II, a ridefinire il loro rapporto con la società. Mi rivolgo quindi in maniera particolare a questa area geografica anche se, certo, quelle pagine possono essere lette anche altrove, operando opportune analogie.
– La Chiesa cattolica che vive nei Paesi del centro e del sud dell’Europa ha ancora energie da investire nel processo di conversione missionaria?
Mi piace pensare alla formula di Gesù quando dice che la messe è molta. Uno dei problemi maggiori delle nostre Chiese è che esse faticano a vedere le novità che le persone potrebbero portare se venissero rispettate nella loro libertà e non unicamente nel loro ruolo di pecore del gregge. Qui, per fare un esempio, il ruolo del prete diventa importante nella misura in cui egli si mostra capace di cercare e di valorizzare i carismi delle persone che incontra. In quest’ottica vediamo nascere iniziative meravigliose anche in zone a bassissima percentuale di cristiani, addirittura in zone segnate da un lungo processo di scristianizzazione. Le nostre Chiese, più che cercare energie all’interno delle strutture, dovrebbero cercarle nelle persone, perché lì siamo sicuri di trovarle.
– Lei ha una profonda sensibilità pastorale. A partire dalla sua esperienza, cosa accade quando si assume davvero questo tipo di prospettiva?
Posso dire che accadono spesso cose meravigliose, totalmente inaspettate. Ho potuto constatare di persona che tanta gente, anche senza saperlo, attinge ai tesori della Chiesa e quanto spesso accada che persone che si erano allontanate anche da molto tempo, si riavvicinano alla Chiesa quando si sentono rispettate nella loro libertà e aiutate ad accedere alla loro identità più profonda, così come ci mostrano le narrazioni evangeliche.
Per ultimo, direi che non dobbiamo essere gelosi che vengano saccheggiati i nostri tesori. Questo tempo che stiamo vivendo ci offre opportunità interessanti che dobbiamo saper cogliere per rendere feconda la nostra fede.
Ma! Cambiare il modo di essere cristiani,con il nuovo cristianesimo….se si è cristiani si segue Cristo cos ‘è il nuovo cristianesimo? Cristo era,è ,sarà sempre quello così il suo Vangelo.Che cosa dobbiamo cambiare?Cristo non lo abbiamo mai accettato e voluto …..noi dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare e mettere in pratica il Vangelo così come Gesù ci dice di fare,non a parole ma con le opere non come vuole il mondo .Io mi proclamò Cristiano con tante belle parole e non ho misericordia di chi mi sta vicino che Cristiano sono.