Dopo i provvedimenti del 2011 che gli impedivano ogni ministero pubblico e una vita di solitudine e preghiera, mons. Roger Vangheluwe, ormai 87enne e già vescovo di Bruges (Belgio) è stato laicizzato. La più grave pena per un ecclesiastico è motivata dopo l’arrivo a Roma di un ulteriore materiale accusatorio con la denuncia di una nuova vittima. Essa si aggiunge a quelle, fra cui due nipoti ancora bambini, che avevano motivato le precedenti censure.
Non irrilevante anche la spinta mediatica, dopo la serie televisiva Godvergeten (dimenticati da Dio – cf. qui), la reiterata richiesta dei vescovi e l’irritazione governativa e politica, volta a limitare il sostegno economico al clero e le spese per il mantenimento delle chiese.
Il 22 gennaio il nunzio ha incontrato il governo (il primo ministro, Alexander De Croo e il ministro della giustizia, Paul van Tigchelt) per preparare il viaggio di papa Francesco nel paese in occasione dei 600 anni dell’università di Lovanio e la questione Vangheluwe è tornata sul tavolo.
Le reazioni alla decisione vaticana sono state positive, ma molti la considerano doverosa e tardiva. Il portavoce della Chiesa francofona ha detto: «Chiaramente è la decisione che i vescovi auspicavano. Perché non è stata presa nel 2010? Forse perché allora non si aveva coscienza della gravità dei fatti e delle loro pesanti conseguenze sulle vittime. Sono tuttavia contento che la decisione sia finalmente arrivata. Altrimenti sarebbe stato difficile organizzare la visita del papa … Inoltre, mi rassicura il fatto che R. Vangheluwe abbia lui stesso affermato di non volere più alcun contatto con il mondo esterno».
L’ex-presule è ospite dell’abbazia di Solesmes in Francia. Inutilmente i vescovi, in particolare mons. Johan Bonny, hanno cercato di convincerlo a richiedere spontaneamente di essere ridotto allo stato laicale. «È ancora prete e vescovo – diceva Bonny con qualche irritazione – nelle Fiandre nessuno capisce perché. È uno scandalo». Senza la sua richiesta solo la Santa Sede poteva prendere la decisione.
In merito agli abusi da parte del personale ecclesiastico nei decenni scorsi va ricordato che nel 2019 è uscito un Rapporto, voluto dai vescovi, che parlava di 1.054 casi. Per il 73% le violenze erano state compiute su minori da 10 a 18 anni.
600 anni di Lovanio e 30 di lotta agli abusi
Dopo lo scandalo e la sollevazione emotiva della serie televisiva Godvergeten i partiti hanno deciso di avviare una seconda commissione parlamentare sulle violenze riguardo ai minori (nella Chiesa e non solo). Fra le diverse audizioni che la commissione ha fatto, il 23 febbraio ha incontrato i rappresentanti ecclesiali: l’arcivescovo Luc Terlinden, i vescovi Guy Harpigny e Johan Bonny, il segretario generale della conferenza episcopale, Bruno Spriet e il portavoce francofono, Tommy Scholtes. In quell’occasione si è ricostruito il percorso compiuto dalla Chiesa, in stretta relazione con le amministrazioni pubblica, in ordine agli abusi.
Nel 1996 esplose nel paese il “caso Dutrux”, un pedofilo responsabile di diversi omicidi di bambini. L’anno successivo, 1997, la Chiesa aprì due punti di contatto per rilevare eventuali abusi. Nel 2000 è stata creata una commissione ecclesiale per le denunce di abusi nella relazione pastorale. Dopo il caso clamoroso del vescovo Vangheluwe – nel caso del quale è stato coinvolto anche il card. Godfried Danneels – il parlamento ha avviato un commissione di indagine a cui rapporto finale la Chiesa si è attenuta.
«In nessun altro paese del mondo le autorità ecclesiastiche si sono adeguate al legislatore collaborando in maniera piena», hanno sottolineato i vescovi davanti ai parlamentari. È stato creato un centro di arbitraggio dove le vittime per delitti prescritti potevano accedere a una compensazione finanziaria. I casi valutati sono stati 628 e, negli anni seguenti, altri 700. Nel 2012 è stato preparato un codice di condotta per tutti gli operatori pastorali e i vescovi sono sempre detti disponibili a sostenere le spese terapeutiche per le vittime.
Tanto che alcune vittime, in ambiti non ecclesiali, si sono rivolte alle istituzioni ecclesiali e al punto di contatto nazionale per essere ascoltati e accolti. Un esame minuzioso è compiuto sui candidati al sacerdozio e giornate di studio sugli abusi sono obbligatorie per tutti gli operatori pastorali.
Vescovi e la commissione parlamentare
Dal 2005 ogni presunto delitto è segnalato alla procura e l’interessato è sospeso dai ruoli pastorali che riveste. Il materiale è mandato a Roma per una inchiesta canonica che si interrompe quando si sia avviato anche una inchiesta in sede civile. Dal 2016 un consiglio di supervisione accompagna i vescovi e gli ordinari per gestire i casi prescritti e i predatori che hanno completato la pena loro data.
Come conclusione all’audizione parlamentare i vescovi si sono impegnati: a cooperare ancora più attivamente con le istituzioni e le professionalità del campo; a mettere mano alle necessarie riforme interne; alla formazione adeguata dei volontari nella vita ecclesiale; a sostenere le vittime e a facilitare le denunce; a riconoscere le vittime di abusi prescritti ed evitare per quanto possibile che si producano di nuovi.
La strada credo sia ancora lunga per una piena presa di coscienza da parte delle gerarchie ecclesiastiche del dramma degli abusi. Persiste spesso un atteggiamento di reticenza al riguardo. Conforta vedere che, anche perché sospinti dai fatti e dai tribunali civili, si stiano facendo passi in avanti, magari lenti e incerti ma qualcosa sembra muoversi, almeno all’estero. Perché (mi sembra) che in Italia invece resista tenacemente l’attitudine negazionista, come se potessero bastare le blande iniziative prese dalla Cei a porre argine alla.paiga degli abusi e alla tendenza a coprire tutti i malfunzionamenti con un velo di ipocrisia…..