Pochi giorni prima dell’annuncio inatteso delle dimissioni da parte dell’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby (cf. qui su SettimanaNews), il settimanale cattolico inglese The Tablet pubblicava un articolo nel quale Andrew Greystone traccia una panoramica dei nomi possibili in vista della successione a Welby, in predicato comunque di lasciare il suo incarico al compimento dei 70 anni (entro il 6 gennaio 2026). Lo riprendiamo, per gentile concessione della direzione di The Tablet, in una nostra traduzione dall’inglese (Andrew Greystone, «Canterbury: Who Next?», The Tablet, 07 November 2024; qui l’originale inglese).
Quando nel marzo 2012 l’ex arcivescovo Rowan Williams annunciò le sue dimissioni da arcivescovo di Canterbury, i bookmaker iniziarono a scommettere sul suo successore. Il vescovo John Sentamu, allora arcivescovo di York, era chiaramente il favorito. Gli altri in corsa erano i vescovi di Londra, Liverpool e Bradford. Uno di loro mi disse: «Non deve credere alle storie della stampa sui vescovi che si contendono la posizione. È più simile a un gruppo di uomini seduti intorno a un tavolo, che si passano un revolver da uno all’altro, sapendo che uno di loro si beccherà il proiettile».
Il 7 novembre 2012, sia Ladbrokes che William Hill sospesero improvvisamente le scommesse sul nuovo arcivescovo. Avevano notato un «movimento molto significativo» nelle puntate verso un outsider. Justin Welby, il vescovo di Durham, non era nemmeno al tavolo. Welby era vescovo da meno di un anno e alcuni dei suoi cinque figli non avevano ancora trasferito le scuole dall’incarico precedente quando venne annunciata la sua nuova nomina a 105° arcivescovo di Canterbury.
Nelle prossime settimane, Welby annuncerà la sua uscita da Lambeth Palace dopo 12 anni turbolenti. La legge gli impone di dimettersi entro il 6 gennaio 2026, quando avrà 70 anni, anche se una proroga di 12 mesi sarebbe possibile in circostanze eccezionali. Presto si apriranno le scommesse sul suo successore.
Un compito sfibrante
Il vincitore (o il perdente) della competizione erediterà non uno ma quattro incarichi. Sarà l’ordinario della diocesi di Canterbury, il primate di tutta l’Inghilterra, un membro della Camera dei Lord e la guida spirituale della Comunione anglicana mondiale.
Una revisione dei ruoli effettuata nel 2001 da Lord (Douglas) Hurd arrivò alla conclusione che il compito era divenuto ingestibile e doveva essere riformato. Il suo suggerimento principale era che l’arcivescovo di Canterbury dovesse essere liberato per concentrarsi sul suo ruolo di leader della Comunione anglicana nel mondo, mentre l’arcivescovo di York avrebbe dovuto occuparsi delle questioni relative al Regno Unito. Welby avrebbe apprezzato questa proposta. Gli addetti ai lavori dicono che raramente lo si vede sorridere, tranne quando è fuori dal Paese. Alla fine, nessuna delle proposte di Lord Hurd è stata implementata. E, di conseguenza, Justin Welby è apparso esausto e stressato per gran parte del suo mandato.
Parte del problema sta nel fatto che, sebbene l’arcivescovo ha un notevole potere di convocazione ed è una voce pubblica capace di condizionare i titoli dei giornali, non ha quasi alcun potere esecutivo nella Chiesa. Non esiste nulla di simile a una lettera enciclica arcivescovile. La stragrande maggioranza dei fedeli anglicani vive fuori dal Regno Unito, ma l’arcivescovo di Canterbury non può nemmeno dire agli altri vescovi inglesi cosa fare, figuriamoci a quelli del resto del mondo.
Nei prossimi 12 mesi, una Commissione di nomina della Corona (CNC) si riunirà per scegliere il successore di Welby. Sarà composta dall’arcivescovo di York, da un altro vescovo anziano e da sei membri del Sinodo generale. Ad essi si aggiungeranno tre rappresentanti della diocesi di Canterbury e cinque membri d’oltremare scelti dalle regioni della Comunione mondiale. Su iniziativa di Welby, sono stati ridotti i rappresentanti di Canterbury e aumentati quelli del resto del mondo, per dare maggiore legittimità al ruolo internazionale. Ci sarà anche un presidente votante nominato da Sir Keir Starmer. Alla fine, la Commissione consegnerà le sue raccomandazioni al Primo Ministro, il quale le trasmetterà al Re a cui spetta di fare la nomina.
In teoria, il prossimo arcivescovo potrebbe venire da fuori Inghilterra, ma è improbabile. Per quanto pio e competente possa essere, prendere un vescovo dall’Africa o dagli Stati Uniti e assegnargli automaticamente un seggio nella Camera dei Lord e il compito di incoronare un futuro monarca non aiuterebbe la credibilità della Chiesa.
L’età, il genere, le opinioni
Se si vuole che il prossimo arcivescovo abbia il tempo di avere un impatto, probabilmente dovrà essere un cinquantenne. Questo restringe notevolmente il campo. L’abilissimo arcivescovo di York, Stephen Cottrell, potrebbe essere un candidato ad interim, ma avrà 67 anni quando i furgoni per il trasloco arriveranno a Lambeth Palace. E comunque, non lo sopporterebbe.
Anche il genere è importante. Rachel Treweek, vescovo di Gloucester, e Helen-Ann Hartley, vescovo di Newcastle, sarebbero due figure estremamente adatte al compito. Ma gran parte della traballante Comunione anglicana vede ancora le donne in ruoli di leader come un anatema.
Forse sarà incomprensibile per la maggior parte dei lettori, ma è probabile che la decisione dipenda dalle opinioni dei candidati sulla sessualità. La sessualità gay è di gran lunga la questione più nevralgica nella Chiesa d’Inghilterra. A conferma basti il fatto che un blando commento di Welby in risposta ad Alastair Campbell e Rory Stewart durante una puntata del loro podcast The Rest is Politics: Leading, nel quale lasciava intendere che secondo il giudizio suo e della maggioranza dei vescovi «tutta l’attività sessuale dovrebbe avvenire all’interno di una relazione stabile, sia essa eterosessuale o omosessuale», ha scatenato le ire dei leader ecclesiastici conservatori in Inghilterra e nel mondo (cf. qui su SettimanaNews).
Negli ultimi mesi, la Commissione di nomina si è arenata proprio intorno a tale questione e non è riuscita a nominare i vescovi in diocesi chiave come Carlisle ed Ely. Difficile immaginare che per la nomina di Canterbury non sarà lo stesso, soprattutto se per raccomandare un nome è necessaria una maggioranza di due terzi dei membri votanti della CNC. Anche solo sei elettori sarebbero sufficienti a bloccare un candidato.
Quando e se verrà fatta una nomina, sia essa conservatrice o liberale, sarà estremamente divisiva. Se ci fosse bisogno di un’indicazione di quanto profonda e personale sia questa spaccatura, basterebbe considerare l’Alleanza, una confederazione di movimenti conservatori all’interno della Chiesa d’Inghilterra i quali affermano di custodire l’insegnamento «ortodosso» della Chiesa sulla sessualità.
L’Alleanza ha legami in tutta la Comunione anglicana, non da ultimo attraverso il fondatore dell’Alpha Course, il reverendo Nicky Gumbel. Ironia della sorte, Gumbel è stato un mentore chiave per Welby fin dalla sua conversione, ed era vicario della Chiesa che lo inviò per l’ordinazione. È molto probabile che Gumbel abbia avuto un ruolo significativo nella fulminea ascesa di Welby, ed è altrettanto probabile che avrà un ruolo nella negoziazione circa la nomina del suo successore.
I candidati
Parte del potere dell’Alleanza risiede nella minaccia di trattenere i fondi se la Chiesa si muoverà ulteriormente in una direzione liberale. La Chiesa d’Inghilterra potrebbe quindi letteralmente non potersi permettere di nominare un arcivescovo progressista.
Questo ci porta alle figure riunite intorno al tavolo in questa occasione, quelle che si passano con disagio il revolver. Martyn Snow, l’attuale vescovo di Leicester, ha assunto la guida di Living in Love and Faith, il processo che la Chiesa anglicana ha utilizzato nel tentativo di evitare di giungere a una conclusione sulle questioni relative alla sessualità umana. Si è astenuto in una recente votazione del Sinodo generale sui «servizi autonomi» di benedizione per le coppie gay. Per ragioni che saranno chiare, l’assenza di impegno sulla sessualità è spesso un segno di ambizione per cariche più alte. Snow potrebbe riceverne il merito di aver «preso una decisione per la squadra» gestendo una questione estremamente delicata. Ma la Chiesa d’Inghilterra in genere usa la preferenza per regolare i suoi conti, non i suoi debiti.
Graham Usher, il vescovo di Norwich, è sempre stato a favore delle persone LGBT. Si è persino scusato per il danno che la Chiesa ha causato alle coppie gay. Questa pratica potrebbe essergli utile, dal momento che le scuse saranno una parte importante del lavoro del nuovo arcivescovo, se l’esperienza di Welby si può ritenere una valida premessa. Usher è cresciuto in Ghana, ha una laurea in ecologia e alleva api, quindi difficilmente un anglicano potrebbe essere più centrista. Ma mentre le elezioni laiche si vincono al centro, per le cariche episcopali succede solo raramente.
Il vescovo di Chelmsford, Guli Francis-Dehqani, è stata ammirata da molti per la sua enfasi sulla spiritualità cristiana e sul servizio, piuttosto che sui programmi, sugli obiettivi e sul linguaggio manageriale. Il suo background è insolito. Suo padre era il vescovo anglicano dell’Iran e sua madre fu ferita in un attentato nel 1979. Si impegna nella Chiesa in materia di alloggi e migrazione. È anche ampiamente favorevole all’inclusione delle coppie LGBT e questo, insieme al genere, potrebbe facilmente ottenerle i sei veti in Commissione.
Passiamo agli esterni. Il vescovo di Chester, Mark Tanner, è un evangelico di basso profilo. La sua astensione nella votazione sinodale sui «servizi autonomi» potrebbe essere stata tattica. I suoi precedenti nella gestione dei problemi di safeguarding (relativamente agli abusi su minori e persone vulnerabili − ndr) nella sua stessa diocesi potrebbero essergli sfavorevoli; tuttavia, varrebbe la pena scommettere su di lui.
Infine, c’è Paul Williams, il vescovo di Southwell e Nottingham, che non ha nulla da invidiare a nessuno. Le sue credenziali evangeliche conservatrici sono impeccabili e conosce Nicky Gumbel e molti altri membri dell’Alleanza. È stato nominato vescovo a 41 anni e non ha paura di schierarsi con coloro che sono resistenti al cambiamento nella Chiesa e nella società.
In una Chiesa in lotta con se stessa
Il ruolo di arcivescovo di Canterbury non è un ruolo a cui chiunque possa aspirare. Justin Welby ha tenuto duro con una determinazione cupa, nata dalla consapevolezza che coloro che sono destinati a servire la Chiesa sono tenuti a soffrire per questo. Il suo mandato è stato oscurato da conflitti sulla sessualità e alcuni dei suoi amici più stretti si sono rivelati abusatori seriali. Nonostante abbia ripetutamente fissato obiettivi di crescita ambiziosi, la demografia della Chiesa d’Inghilterra scivola inesorabilmente verso Sud.
Il 106° successore sulla cattedra di Sant’Agostino sarà consapevole di entrare senza difese in una Chiesa in guerra con se stessa. Ma naturalmente, anche nella Chiesa d’Inghilterra, la grazia di Dio può prevalere.
Andrew Graystone è un teologo e difensore delle vittime di abusi nella Chiesa. Il suo libro Bleeding for Jesus: John Smyth and the cult of Iwerne Camps è pubblicato da Darton, Longman & Todd (Londra, 2021). Proprio la cattiva gestione della vicenda di abusi di John Smyth − cui è dedicato il volume − è stata la causa delle dimissioni recenti di Justin Welby
«Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato»
Gregorio XVI 1832
A proposito di cose scritte da un papa degne di essere dimenticate…
Cosa c’entra? Le ordinazioni anglicane non sono valide oggi come non lo erano ai tempi di Leone XIII. E’ l’attuale papa che riconosce la validità della apostolicae curae non io o lei.
“Pertanto, approvando in modo globale tutti i decreti dei Nostri predecessori su questo problema, e confermandoli e rinnovandoli pienamente, in forza della Nostra autorità, di nostra iniziativa, per sicura conoscenza. Noi dichiariamo e proclamiamo che le ordinazioni compiute con il rito anglicano sono state del tutto invalide e sono assolutamente nulle.”
Leone XIII
Apostolicae curae
13 settembre 1896
Poi uno va a leggersi come si è arrivati al decreto è non può fare a meno di sorridere e farsi venire due dubbi.
Per esempio certi argomenti usati contro la validità (es. l’unità rituale di varie parti anche distanti fra loro) sono stati ritenuti soddisfacenti in altre situazioni (es. l’ordinazione del presbitero in Sacramentum Ordinis)
Se oggi un c.d. vescovo anglicano si converte al cattolicesimo per poter svolgere compiti ministeriali viene ordinato prete. Avviene ora non nel 1800. Quindi ora la chiesa cattolica non riconosce la validità delle ordinazioni anglicane. Mi sembrava opportuno ricordarlo perché se si legge distrattamente si potrebbe pensare che quello di Canterbury sia un vero vescovo.
anche considerando le ordinazioni del ‘500 invalide, ormai tutti i vescovi anglicani hanno nella propria linea di successione apostolica vescovi vecchio-cattolici (che la Chiesa riconosce come validi); molti hanno anche vescovi ortodossi o antico-orientali.
Vuole degli esempi recenti?
Richard Pain ex “vescovo” anglicano ordinato prima diacono e poi prete cattolico.
Michael Nazir-Ali in situazione identica.
C’è poco da fare.
Bisogna però ammirare la fermezza dei convertiti che rinunciano ad essere vescovi per diventare parroci o semplici sacerdoti.
perchè, a parte ortodossi, antico-orientali, la FSSPX e alcuni vecchio-cattolici, la Chiesa Cattolica ha adottato una politica del ‘non rispondo’ sulla validità delle ordinazioni, e si limita a dichiarare che l’eventuale ordinazione non produce effetti canonici
poi le ragioni dietro le decisioni della CDF/DDF in materia sacramentale sono imperscrutabili, e gli altri Dicasteri si muovono come vogliono (es. la CDF che non riconosceva la validità delle confessioni della FSSPX ma la Penitenzieria sì)
Certo l’argomento è spinoso.
Da quel poco che posso capire il problema vero è la successione apostolica.
Gli anglicani l’hanno persa, secondo Leone XIII, a causa della formula usata.
Quindi ora la situazione è irrecuperabile.
Lo stesso non vale per ortodossi, chiese orientali e, ovviamente, per la FSSPX.
Aggiungerei alla lista anche tutta la galassia sedevacantista/sedeprivazionista.
Le loro ordinazioni, viste dal Vaticano, sono certamente illegittime e scismatiche ma, con altrettanta certezza, valide.