Sorprende il largo spazio concesso alla questione europea nella prolusione del card. Angelo Bagnasco al Consiglio permanente della CEI (Roma, 26-29 settembre). Accenni e digressioni erano già presenti nelle precedenti prolusioni, sia al Consiglio permanente, sia alle assemblee generali. Ma, credo, che lo sviluppo concesso in questo caso sia singolare e da sottolineare. È quasi un terzo dell’intero discorso. «Alla luce degli ultimi avvenimenti, dobbiamo riaffermare che oggi c’è bisogno di un di più di Europa. È possibile pensare che nel vortice del mondo globalizzato, dove sono saltati molti schemi e parametri, sia possibile vivere allontanandosi gli uni dagli altri?».
Lo spazio è ampio, ma l’argomentazione è consueta. L’accoglienza e l’integrazione dei migranti e dei profughi richiedono generosità sociale e intelligenza politica. Non è da qui che può venire un pericolo per i nostri paesi e il nostro continente. La minaccia sorge invece dalle colonizzazioni del pensiero unico, da un laicismo che, dimentico di una laicità aperta, si irrigidisce nell’esclusione del ruolo sociale delle fedi e della dimensione pubblica di una appartenenza religiosa.
La cultura che ha costruito l’Europa nella sua varietà non è riferibile a generici valori, ma alla sua radice cristiana, a «Dio che si è rivelato in Gesù Cristo e la cui parola è stata l’humus del continente». «Se in nome del laicismo – che è la deformazione miope dell’autentica laicità – non si riconoscono le identità religiose con i loro riti e costumi, allora vuol dire che quel modo di pensare antireligioso è entrato nei gangli delle coscienze legislative oppure nei loro interessi». «Emarginare dalla sfera pubblica il cristianesimo non è intelligente; è non comprendere che la società non può che averne del bene. Si, averne del bene: non perché se ne può servire in modo strumentale, ma perché la luce del Vangelo, non le inaffidabili e interessate maggioranze, ha creato la civiltà europea e il suo umanesimo, ha generato il tessuto connettivo e le condizioni per camminare insieme». Sembra che «dopo il risultato della “brexit” inglese, cominci a vedersi qualche timido barlume di coscienza su ciò che dovrebbe essere il fondamento della casa europea».
La richiesta di un’anima per l’Europa, del superamento di un formalismo burocratico e di un laicismo ideologico, è stata affermata con insistenza a partire dall’inizio degli anni ’90 dai massimi responsabili cattolici e religiosi, che fino ad allora erano stati uno dei motori propulsivi dell’Unione. E il consumarsi dei consensi popolari all’Europa, oltre alla crisi economico-finanziaria e ai neo-populismi, è dovuta anche all’incapacità di riconoscere la dimensione simbolico-religiosa nel dibattito civile e culturale.
Il rapido venir meno della rilevanza del continente europeo nel contesto globalizzato è espresso da una battuta del preposito generale dei gesuiti, p. Nicolas: «L’Europa nel mondo occupa una parte piccolissima, sebbene importante». E la dislocazione mondiale e non più eurocentrica è espressa dai discorsi di papa Francesco alle istituzioni europee (novembre 2014) e dall’intervento in occasione del premio Carlo Magno (maggio 2016). Del resto i suoi viaggi nel continente sono più verso le periferie che il centro (da Lampedusa a Lesbo, dall’Armenia all’Albania)
Va ricordata anche la diversa caratura del discorso europeo della Comece (Commissione degli episcopali dell’Unione), presieduta dal card. di Monaco R. Marx, e del CCEE (Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa), di cui il card. Bagnasco è vicepresidente. Il primo organismo è sempre stato molto attento anche al valore delle istituzioni europee, spendendosi per la loro implementazione e salvaguardia. Il secondo si è caratterizzato più sul versante critico che propositivo.
I pericoli per la tenuta dell’Unione Europea giungono numerosi da forze politiche nettamente anti-europeiste, spesso di destra e destra estrema, che usano il riferimento alle identità, alle tradizioni e al cristianesimo in maniera strumentale e ideologica. Le guerre dei confini (dall’Ucraina all’Armenia), fino al confronto muscoloso fra Russia e NATO nei paesi del Nord (Estonia, Lettonia, Lituania, Bielorussia) fanno emergere la garanzia di pace finora assicurata dal processo di unione del continente e dalle sue istituzioni. Con due contrapposte tentazioni a cui le istituzioni ecclesiali hanno coerentemente resistito: il ritorno alla denuncia anti-moderna e la resistenza al pluralismo delle fedi. La sfida storica è di alto profilo ed è comune a tutte le confessioni cristiane.