Tallinn, settembre.
La capitale è gemellata con Venezia dagli anni ’70. È la perla dei Paesi Baltici. Il paese, indipendente dal 1918, fu annesso nel 1940 all’URSS. I tedeschi lo occuparono dal 1941 al 1944. Mosca favorì la russificazione. I russi infatti sono il 25,3%. Nonostante la crisi ucraina e i difficili rapporti con la Russia, l’economia continua a crescere, la disoccupazione diminuisce, il turismo è in forte ascesa. Dal 1 aprile 2005 è amministratore apostolico di tutta l’Estonia, mons. Philippe Jourdan, francese, appartenente alla Prelatura personale dell’Opus Dei.
«L’Estonia è come la Finlandia, più di tradizione luterana e ortodossa, anche se l’80% della gente non ha nessuna religione. I cattolici sono circa sei – sette mila su una popolazione di oltre un milione e trecento mila abitanti. Un tedesco ha fatto una tesi di laurea sulla presenza dei cattolici in Estonia nel XX secolo. Ha trovato che negli anni ’70 in Estonia c’erano cinque o sei cattolici estoni. Dopo gli anni ’70 c’è stato un momento di avvicinamento alla Chiesa cattolica, soprattutto a Tallinn e a Tartu, nota per la sua prestigiosa università, inizialmente ad opera di intellettuali, artisti, che poi, poco a poco ha toccato anche la gente comune. Durante l’occupazione russa del XVIII secolo, gli estoni non potevano avere contatti con la Chiesa cattolica. Si pensi che la prima omelia in estone nella Chiesa cattolica è stata pronunciata negli anni ’30. Il primo vescovo cattolico in Estonia, dopo la riforma luterana, era tedesco. Venne consacrato nel 1936 e cinque anni dopo fu messo in prigione e deportato dai sovietici . Morì nel 1942 ed è stata avviata la causa di beatificazione. Dopo di lui, non ci fu nessun altro vescovo. L’annuncio della mia nomina fu fatto quando Giovanni Poalo II era agonizzante. Quindi sono il secondo vescovo dopo la riforma di Lutero».
– Dal 2005 al 2016: quali le priorità del suo servizio episcopale?
«La Chiesa qui è missionaria nel senso pieno del termine. Ci sono alcuni sacerdoti locali, ma le vocazioni sono pressoché inesistenti. La Chiesa cattolica si è fatta conoscere tramite le scuole. Anni fa non esistevano le scuole private. Fino a cinque anni fa c’erano solo le scuole statali. Ora la Chiesa cattolica ne gestisce alcune. A Tartu, ad esempio, la vivace sede universitaria la frequentano circa 500 alunni. Anche le Chiese luterana e ortodossa si sono messe su questa strada e hanno aperto alcune scuole. Gli insegnanti non sono tutti cattolici, ma rispettano l’orientamento; la maggioranza degli alunni non è cattolica. Le nostre scuole godono una buona fama, tanto che i figli dei pastori protestanti le frequentano. Da noi c’è un buon rapporto tra le diverse Chiese. C’è il Consiglio estone delle Chiese, presieduto dall’arcivescovo luterano e io ne sono il vice presidente.
Le nostre parrocchie sono molto impegnate nella catechesi sia dei bambini sia degli adulti. Noi partiamo dalla constatazione che i cattolici estoni non hanno radici cattoliche profonde. C’è quindi bisogno di approfondire l’appartenenza alla Chiesa cattolica e di accompagnare spiritualmente i nostri fedeli. Ci sono i “convertiti”, ma le loro basi non sono solide».
– Vengono dalle altre Chiese o dall’ateismo, agnosticismo, non credenza?
«Alcuni vengono dal luteranesimo perché, dopo l’indipendenza del 1991 molti si sono fatti battezzare perché era una novità, il cattolicesimo esercitava un forte fascino, e il luteranesimo non era molto vissuto. Poi ci sono conversioni di atei, agnostici, senza religione».
– La situazione delle famiglie è una delle grandi sfide.
«Certamente sì. Basti pensare che solo il 13% dei bambini vive in una famiglia regolare. Il resto vive con il padre o con la madre o con i nonni. Il divorzio è una piaga e il concubinato è molto diffuso. Nell’Unione Europea l’Estonia occupa il primo posto per le situazioni familiari irregolari. Poi c’è molta gente che vive da sola. Qui influisce molto la mentalità dei paesi nordici, soprattutto la Svezia. Si pensi che facciamo fatica a spiegare il Padre nostro. Mi è stato detto: “Lei parla del Padre nostro, ma per me la parola padre non ha niente di positivo”. La Chiesa cattolica comunque influisce più per la sua presenza che per la sua consistenza. Non è percepita come una Chiesa “locale”, del posto, del paese, ma universale. La gente lo vede soprattutto quando appare il papa. Si parla molto di lui. In Estonia nessuno è più importante di papa Francesco: né l’arcivescovo luterano, né il patriarca di Mosca».
– Vedreste bene una visita del papa?
«Sarebbe un evento straordinario. Il segretario di Stato vaticano, il card. Parolin, si è impegnato a portarlo qui nel 2018, il centenario dell’indipendenza del paese dopo il primo conflitto mondiale. Nel 1993 venne Giovanni Paolo II. Fu un successo. Papa Francesco ha detto di voler visitare i piccoli paesi che hanno sofferto. Aspettiamo l’annuncio della data. Sarà forse ai primi dell’anno prossimo».
– Avete paura della Russia?
«Tanta! Se è vero che qui i russi residenti si sentono estoni, è altrettanto vero che ci sono più russi qui che in Ucraina. Il paese aderisce alla NATO e questo dà sicurezza, ma non fino in fondo. C’è una base NATO, ma il nostro governo ha chiesto nella riunione di Varsavia del luglio scorso una presenza più consistente di soldati NATO. Se ne aspettano un migliaio dei quattro mila che saranno stanziati sul fronte Est. Nel paese ci sono tanti russi, che si trovano bene, però, non va dimenticato che hanno una visione diversa della storia : per gli estoni i russi sono occupanti, mentre i russi si sentono i liberatori dal nazismo hitleriano».
– I Paesi Baltici si sentono uniti?
«Sì, ma non fino in fondo. La Lettonia e l’Estonia sì, la Lituania ha pochi russi nel suo territorio e forse là si ha meno paura della Russia. L’inquietudine comunque c’è e alla NATO chiediamo di proteggerci. Non è stato così per l’Ucraina e quanto è avvenuto in quel paese incute paura».