Giovanni Giudici, in memoria

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Il vescovo Giovanni Giudici è mancato nella notte tra il 17 e il 18 gennaio. Aveva 83 anni. E, mentre ancora gli amici più stretti cercano di rendersi conto dell’accaduto, si affacciano ricordi e pensieri.

Giudici è stata una persona con grande capacità di entrare in relazione, mai incontri banali o per pura chiacchiera. Con chiunque egli impostava un rapporto serio anche se costruito su piccole cose. Così già anziano e da molto tempo lontano dalla pratica pastorale, aveva sempre la scrivania invasa di lettere e auguri pasquali e natalizi non di maniera. Con la lentezza che man mano l’età e la dialisi gli imponevano, a tutti rispondeva per dire che c’era.

La vicinanza e il sostegno alle persone andavano al di là di ogni differenza di pensiero. E per questo ogni tanto spiazzava. Convinto che la direzione spirituale fosse un’amicizia spirituale, si è ritrovato con tanti amici. Nell’epoca del pensionamento era difficile fare un lungo discorso insieme perché le telefonate, cui non poteva non rispondere, erano molte.

Lo stesso stile anche nell’impegno pastorale; da tutti i contesti del suo ministero si è portato dietro amici con cui ascoltare la Parola e riflettere sulla Chiesa.

Il Concilio, la Parola, il laicato

Sacerdote cresciuto col Concilio, aveva raccolto la prospettiva conciliare in tutti i suoi aspetti e ne ha sempre curato e sperato uno sviluppo.

Innanzitutto la Parola: essa era il suo fondamentale punto di riferimento e forse per questo il cardinale Martini lo scelse come vicario generale. Inoltre, don Giovanni Giudici era fra quelli era fra quelli che a Milano hanno capito la dimensione ecclesiale che il nuovo vescovo proponeva alla sua città. Giudici diceva sempre di essere cresciuto moltissimo nei 15 anni accanto a Martini, ma certo il cardinale aveva trovato un buon interprete.

Pure per la più feriale delle celebrazioni, non mancava il commento o la condivisione sulla Parola. E da qui la fatica con cui ultimamente accettava di non poter celebrare per la gente.

Alla mensa dei poveri della parrocchia in cui viveva da emerito, non solo portava il saluto a ciascun ospite, ma si preoccupava di vivere momenti di lectio in cui operatori e ospiti leggevano insieme la Scrittura.

La seconda direttrice conciliare accolta è stata quella del laicato; a tema particolarmente negli anni dell’impegno in Azione Cattolica e come assistente dei giovani e del gruppo diocesano della Fuci. Forse però anche da sempre, visto che il padrino della sua prima messa, come era consuetudine allora, è stato Giuseppe Lazzati.

Da una parte, un sincero ascolto del popolo di Dio, e vien da dire rispetto e attenzione perché i laici potessero sempre di più avere parola. Quando le sue dimissioni da vescovo di Pavia furono accettate, chiese al consiglio pastorale di redigere una lettera sulle attese per il nuovo pastore. Naturale fu la richiesta che lui fosse presente durante il confronto, ma – come giusto – rifiutò per lasciare libertà.

Era uomo colto e interessato alle meraviglie del mondo e per questo il dialogo, spesso anche confronto, con non credenti era per lui naturale e facile, perché egli apprezzava ogni competenza, ogni passione.

Nel confronto con la società non era ingenuo, ma mai lanciava strali e soprattutto credeva in un dialogo sereno e fruttuoso tra Chiesa e società. E pensava che un popolo di Dio attento alla maturazione della propria fede per questo sarebbe stato attento alla storia e avrebbe coltivato una buona cittadinanza.

I pavimenti della parrocchia

Un carattere sereno gli rendeva facile la comunicazione gioviale, sapeva esercitare bene l’arte dell’ironia. Ma il tratto naturale dava corpo alla convinzione più spirituale e teologica del cristiano chiamato sempre a portare un buon annuncio, consapevole della propria piccolezza e per questo paziente con l’altro.

E poi un grande amore per la Chiesa, per il popolo di Dio riunito intorno alla Parola e all’eucaristia, chiamato a dare testimonianza. Un grande e amorevole rispetto anche per la gerarchia, senza però mai cadere nell’inganno del clericalismo.

Quando, da parroco, fu nominato vicario di Varese, fu per lui uno spostamento difficile, perché egli prediligeva il lavoro con le persone.

Nel saluto al consiglio pastorale parrocchiale, commovendosi, ricordò che aveva amato la parrocchia di S. Anna, e che con gioia ne aveva lavato i pavimenti. Aveva trovato una chiesa sporca e organizzò un giro di volontari, anzi di volontarie, capace di pulire, ma lui iniziò con loro e non una volta sola.

Quando fu nominato presidente di Pax Christi, disse subito: «Io sono un uomo istituzionale», eppure da sempre seppe fare scelte precise, che un poco gli costarono, ma la preoccupazione non era farsi ben volere dalle alte sfere.

Un esempio per tutti: nell’imminenza della visita di Benedetto XVI a Pavia, cui si era dedicato con molta partecipazione, gli fu richiesta un’intervista in cui dimostrò di non voler fomentare una polemica tra stato e Chiesa, allora in essere, per una legge sulle coppie di conviventi. Il tutto fece vivere i giorni precedenti alla visita con molta apprensione. Ingenuità o libertà?

La donna nella Chiesa

Ovviamente nella sua esperienza si confrontò anche con il tema della donna nella Chiesa. Fu riconoscente verso Maria Dutto, presidente dell’Azione Cattolica milanese quando lui divenne assistente, perché gli insegnò, come diceva, a crescere nella libertà del proprio celibato.

Sempre un poco in difficoltà con i toni che la riflessione femminista è costretta ad assumere per essere ascoltata attentamente, condivideva a pieno l’analisi di papa Francesco circa la donna nella Chiesa e aspettava decisioni strutturali.

Non si può essere in sintonia sempre con tutti e un vescovo deve fare scelte che possono non piacere. Avrà anche fatto errori, ma con la sua perdita si affievolisce quel legame con il Concilio Vaticano II, non idolatrato, ma di cui si aveva colto la capacità propulsiva.

Se nell’analisi dell’oggi della Chiesa sapeva essere lucido, severo e rattristato dall’attualità, non perdeva la speranza in una buona vita della Chiesa stessa.

È questa speranza era quella che cercava nel pensiero e nel cuore del suo interlocutore.

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