Il 1° settembre di 80 anni fa (1939) la Germania nazista avvia la devastante guerra mondiale (cf. Settimananews) attaccando con l’aviazione alle prime ore del mattino la città polacca di Wielun (1.200 morti) e la guarnigione difensiva di Westerplatte, dove un piccolo numero di soldati resistette per una settimana ai bombardamenti della marina militare tedesca.
Alla fine del conflitto, la Polonia conterà 6 milioni di morti (3 di ebrei) e le nazioni belligeranti arriveranno a 80 milioni di vittime. L’evento è stato ricordato ai massimi livelli politici, ma anche dagli episcopati di Germania e Polonia in una dichiarazione dei rispettivi presidenti.
Rappresentanti di 40 paesi coinvolti nella seconda guerra mondiale si sono ritrovati a Wielun, a Varsavia e in diverse città della Polonia. Davanti a tutti e, in particolare al presidente polacco Andrzej Duda, il presidente della Repubblica tedesca, Frank-Walter Steinmeier, ha rinnovato il gesto coraggioso della richiesta di perdono: «Mi inchino di fonte alle vittime dell’attacco a Wielun, mi inchino di fronte alle vittime polacche della dittatura tedesca e chiedo perdono». «Sono stati i tedeschi che hanno perpetrato un crimine contro l’umanità in Polonia, un’efferata barbarie».
A piazza Pilsudski, a Varsavia, era presente la cancelliera Angela Merkel, mentre il vice-presidente della Commissione europea, Frans Timmermans presiedeva la cerimonia a Westerplatte, assieme al primo ministro polacco Mateusz Morawiecki.
Alle spalle dei gesti e delle parole dei politici tedeschi e polacchi vi è una lunga storia di riconciliazione la cui immagine emblematica è il segno liturgico di inginocchiarsi davanti al monumento dei caduti a Varsavia dell’allora cancelliere tedesco, Willy Brandt (7 dicembre 1970).
Polonia – Germania
Brandt sta a Steinmeier come il messaggio dei vescovi polacchi a quelli tedeschi del 1965 sta alla dichiarazione congiunta dei due presidenti delle conferenze episcopali.
In occasione degli 80 anni dal conflitto l’arcivescovo Stanislaw Gadecki e il card. Reinhard Marx firmano assieme ai co-presidenti del gruppo di contatto fra i due episcopati un testo che arricchisce una lunga serie di documenti, alcuni di assoluta qualità, che datano dagli anni Sessanta del secolo scorso.
«La Germania nazista ha scatenato la seconda guerra mondiale 80 anni fa… La Polonia fu la prima vittima della guerra e subì per quasi sei anni l’occupazione militare, accompagnata da innumerevoli atrocità e dalla devastante politica di annientamento della nazione polacca, e in particolare della popolazione ebraica».
I cambiamenti positivi registrati in questi decenni, frutti di un lungo processo di riconciliazione, «non devono essere vanificati per interessi politici. Per questo, nel nostro particolare momento storico auspichiamo che le nostre relazioni non siano forgiate dalla violenza, dal sospetto reciproco e dall’ingiustizia. Tocca a noi oggi rafforzare e approfondire l’unità dell’Europa, costruita sul fondamento cristiano, stanti le differenze storiche fra nazioni e stati». «Facciamo appelli a tutti, per il comune ricordo della violenza e dell’ingiustizia del passato come per la condivisa memoria dei coraggiosi testimoni di umanità, ad attingere forza e ispirazione per altre iniziative comuni per la pace e l’unità».
La stanchezza della profezia
Il 18 novembre del 1965 l’episcopato polacco presente al concilio e guidato dal card. Wyszynski scrive un messaggio ai fratelli dell’episcopato tedesco. In occasione del millennio del battesimo della Polonia «Dai banchi del concilio che sta per concludersi, vi tendiamo le mani accordando perdono e chiedendo perdono».
In 12 pagine si ripercorre la lunga storia del cristianesimo polacco e soprattutto le difficili relazioni dell’ultimo secolo con il popolo tedesco, con le gravi incertezze determinata dalla provvisorietà dei confini post-bellici (Oder-Neisse).
Malgrado tutte le violenze e le disumanità della guerra, «malgrado questa situazione gravata in modo quasi disperato dal passato, proprio da questa situazione, venerabili fratelli, rivolgiamo a voi l’appello: cerchiamo di dimenticare! Nessuna polemica, nessuna ulteriore guerra fredda, ma l’inizio di un dialogo».
La risposta tedesca arriva il 5 dicembre. Si accoglie l’invito dei pastori polacchi, senza tuttavia arrivare a vidimare i nuovi confini (un passo che avverrà nel 1968 nel Memorandum di Bensberg e, in via definitiva, nel Trattato di Varsavia del 1972).
Il carteggio crea un vivissimo dibattito ecclesiale, civile e politico sia in Germania che in Polonia. Il governo di Varsavia accusa i vescovi polacchi di aver svenduto la dignità nazionale, mentre la destra cattolica politica tedesca vede nella risposta dei vescovi tedeschi un’offesa alle sofferenze di coloro che erano fuggiti dall’Est all’arrivo delle truppe russe. Un atto di coraggio e di profezia che ha facilitato i passi, anche politici, successivi.
Le memorie che scandiscono gli anniversari si arricchiscono di elementi nuovi in ragione delle nuove sfide. La legge marziale proclamata dal regime fra il 1981 e il 1983 e il prepotente sviluppo del movimento sindacale e civile, Solidarnosc, furono occasioni di grande generosità da parte della Chiesa e del popolo tedesco verso quelle polacco.
L’elezione di Karol Wojtyla al pontificato (1978) e l’entrata della Polonia nell’Unione Europea nel 2004 hanno rinnovato il protagonismo dei due episcopati.
E tuttavia nuovi intoppi e incomprensioni pesano su una memoria in cui la forza profetica si appanna. È il caso del rifiuto della firma comune da parte dei polacchi su un documento relativo alla Shoah nel 1995, l’ammissione che nel positivo processo di riconciliazione si riaprono «vecchie ferite non ancora guarite, (alimentando) lo spirito distruttivo della compensazione» nella dichiarazione comune del 2005 e, nel testo della recente dichiarazione, il silenzio sulle forze distruttive del progetto di unità del continente che pure ha alimentato e assicurato questi 75 anni di pace.