«Oscilliamo tra due poli di un’unica verità paradossale: da una parte come cristiani abbiamo la responsabilità di agire fedelmente anche quando le nostre azioni ci appaiono minime e insignificanti, dall’altra sappiamo di non confidare solo in noi stessi, nelle nostre forze, ma in quello in cui crediamo che diventa la nostra speranza per il mondo. È una speranza che sa che la risurrezione è al di là della morte e di un sepolcro vuoto. Speriamo in un successo sicuro, ma il dono che abbiamo ricevuto raggiungerà la sua pienezza solo se agiremo di conseguenza».
È un messaggio di speranza quello che i vescovi cattolici del Canada hanno pubblicato lo scorso 18 luglio, in collaborazione con la United Church of Canada, dedicando una particolare attenzione ai cambiamenti climatici.
Il documento, nella forma di un rapporto, esplora le risorse spirituali della nostra tradizione nei confronti della giustizia ecologica. Idea di fondo è che, pur non emergendo dal pericolo dell’incombente crisi ecologica, il dialogo cercato con tutte le proprie forze sia il solo in grado di offrire una visione di speranza, basata sulla nostra comune fede cristiana. In altre parole: una nuova relazione tra umanità e creazione è possibile.
Il testo affronta alcune questioni fondamentali sotto forma di domande: qual è la nostra teologia della creazione, della Terra e del posto che come umanità abbiamo in essa? E, ancora, quale teologia dell’ambiente e del suo futuro? Quali sono, alla luce della nostra attuale situazione, le questioni chiave per le Chiese, oggi e domani? Cosa dovrebbero, in particolare, le due Chiese fare insieme tra loro e con gli altri? Il dialogo ha registrato negli anni scorsi già vaste aree di consenso attorno a queste importanti questioni: dove è necessario porre ulteriore attenzione? Dove si rendono necessari ulteriori dialoghi e riflessioni?
Piattaforma comune di lavoro è rappresentata dai documenti cardine delle due Chiese: l’enciclica di papa Francesco Laudato si’ e diverse dichiarazioni sul tema a firma della United Church of Canada.
Il rapporto «Hope within Us» (La speranza dentro di noi) è stato preceduto da una preghiera ecumenica promossa fin dal mese di febbraio 2017 sul tema «Earth Hour Vigil» e che prende il nome da un movimento di base che ha avuto inizio a Sydney, in Australia, nel 2007, con l’obiettivo di creare una maggiore consapevolezza del consumo energetico. L’Ora della Terra si articola, infatti, tra celebrazione e impegno per l’azione di cura nei confronti della creazione.
Chiese, creato e dialogo ecumenico
Il documento si apre con una netta presa di posizione sull’urgenza di continuare il dialogo ecumenico alla luce delle sfide del mondo moderno, intese come «questioni pastorali, teologiche ed etiche». «I partecipanti al dialogo si aspettano di imparare e di essere stimolati gli uni gli altri, si impegnano a contrastare la forte disinformazione che avanza nell’opinione pubblica, gli stereotipi e i pregiudizi che rischiano di influenzare anche i membri delle nostre Chiese».
Uno dei temi su cui si è focalizzata l’attenzione della comunità scientifica e della società civile è il cambiamento climatico: potevano forse restarne fuori le Chiese e il dialogo ecumenico? Assolutamente no; è l’unica risposta se non vogliamo porci ai margini.
Significativa la spiegazione iniziale sull’indicare «Terra» in maiuscolo. Si tratta della volontà di matrice biblica di considerarla soggetto capace di agire e comunicare: ecco allora “Cieli e Terra” chiamati da Dio come testimoni (Dt 30,19 e Sal 96,11) e ancora Francesco d’Assisi nel suo Cantico delle Creature dove la Terra è interpellata in termini relazionali. «Solo se considereremo la Terra come soggetto saremo in grado di convertire i cuori e le menti per affrontare il cambiamento climatico in atto e la crisi ambientale che ci coinvolge».
E con estrema umiltà la presa d’atto che le Chiese possono fornire solo una risposta assai limitata sulla questione, accanto ad un punto di orgoglio: la necessità di offrire però una dimensione spirituale al problema che solo le Chiese sono in grado di predisporre.
Per questo è stato importante far precedere il dialogo da un’intensa preghiera.
«Il dialogo – spiega il Rapporto – ha celebrato la bellezza e la bontà della creazione, ha deplorato il degrado degli ecosistemi, e ora chiede un’azione basata sulla speranza dentro di noi. Questo rapporto offre una riflessione su ciò che abbiamo condiviso, insieme alla preghiera che i nostri fedeli si uniscano in una comune testimonianza e azione a favore dell’amata creazione di Dio. L’impatto profondo del cambiamento climatico, in particolare sulle popolazioni vulnerabili e sugli ecosistemi, richiede una risposta profondamente diversa da parte delle persone di fede. In questo Rapporto, facciamo appello alle nostre Chiese a una conversione spirituale che dia priorità a coloro che sono ai margini, a quanti sono più vulnerabili nel nostro mondo. Nella società canadese negli ultimi decenni, c’è stata crescente preoccupazione per la protezione dell’ambiente. Tuttavia, dati gli interessi fortemente contrastanti tra cittadini e governi sulle questioni ambientali, siamo ben lontani dal parlare di un’avvenuta riconciliazione con l’intera creazione. Pertanto diventa un imperativo morale per le nostre Chiese ricordare continuamente ai canadesi che le decisioni benefiche per l’ambiente sono benefiche per tutti. Ciascuna delle nostre Chiese dovrà affrontare una sfida: come esprimiamo alla società la speranza che viene dalla Buona Novella?».
Chiese in ascolto della voce della scienza
Nella stesura del testo, come accaduto anche per l’enciclica di Bergoglio, i vescovi si sono posti in ascolto della voce degli scienziati e in particolare di John Stone, già professore di chimica all’accademia delle scienze di Praga e all’università di Sherbrooke, fra i numerosi incarichi anche al lavoro presso l’IPCC a Ginevra e ora collaboratore dei ministeri canadesi dell’ambiente e dell’agricoltura. E quindi la voce di tanti partecipanti alle Conferenze delle nazioni Unite sul clima (COP19, COP21, COP22) perché, scrivono, «dobbiamo essere consapevoli che la scienza non sarà mai in conflitto con le affermazioni bibliche, bensì complementare, soprattutto perché lavora nell’oggi».
Il verdetto della scienza è impietoso: nonostante gli sforzi le emissioni di carbonio continuano a crescere nella nostra atmosfera in quanto i Paesi occidentali non riescono a limitarle e le polemiche sull’uso dei combustibili fossili sfidano ancora le società, Chiese comprese. Eppure il cambiamento climatico che ora mostra i suoi effetti principalmente sui Paesi impoveriti, finirà per ritorcersi anche contro di noi (ad esempio, popolazioni artiche come gli Inuit lo avvertono già).
Siamo in un’epoca di cambiamento climatico, che minaccia l’esistenza stessa della nostra famiglia umana e la bellezza della Terra. Le specie si estinguono ogni giorno, e i più poveri della famiglia umana soffrono in maniera non più tollerabile. In questo contesto, le nostre comunità di fede stanno imparando a rispettare la conoscenza tradizionale indigena e la saggezza delle prove scientifiche come risorse in grado di guidarci verso le scelte più giuste in questo particolare momento. Perché come scrive Papa Francesco “Il clima è un bene comune, appartenente a tutti e destinato a tutti (LS 23)».
… e di quelle della tradizione cristiana
Il Rapporto parla di un Universo e una Terra interdipendenti, della necessità di salvaguardare l’integrità della creazione pena un allontanarci dal disegno di Dio. «Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza» (Dt 30,19).
A tal fine, si prendono a prestito le parole di un Padre del deserto come Antonio, di Ireneo e Basilio, di Francesco d’Assisi, Bonaventura e Tommaso, Hildegard von Bingen, Ignazio di Loyola, ma anche Lutero e Calvino e autori contemporanei come Elizabeth Johnson, Elizabeth Theokritoff, Terence Fretheim, Denis Edwards e il patriarca Bartolomeo I. Ma si cita anche tutto il lavoro compiuto per dare voce e saldare il debito con i popoli aborigeni del Canada forti della loro testimonianza sul significato spirituale della nostra interdipendenza con tutte le altre creature, «una fiducia che noi cristiani non siamo stati capaci di vivere fino in fondo».
I vescovi prendono però le distanze da un certo «ecofemminismo», secondo il quale l’oppressione delle donne e della Madre Terra sarebbe in qualche modo correlata e causata dal patriarcato. Ma anche dal cosiddetto «ecologismo sociale», il quale ritiene che lo sfruttamento ecologico sia correlato con l’ingiustizia umana e le relazioni gerarchiche di genere, razza, classe ed etnia, e che la salvaguardia della biodiversità sia necessaria in termini di utilità per l’uomo. Si tratta ancora una volta di un antropocentrismo del tutto estraneo all’autentica tradizione biblica.
L’attuale situazione viene descritta piuttosto come «una combinazione fatale della nostra complicità colpevole nel saccheggio delle risorse di natura, dell’avidità di un ordine economico non in grado di ridurre i suoi appetiti giganteschi, della nostra incapacità di “immaginare” come uno stile di vita più semplice potrebbe migliorare piuttosto che minare la nostra umanità, della nostra paura che ci farebbe preda di altri gruppi politici nel mondo che minacciano il nostro posto al sole». E si conclude: «Tutti noi siamo consapevoli di tale apatia sia a livello personale che di società».
L’ampiezza dell’orizzonte raggiunge il documento della Pontificia Accademia delle Scienze (Il destino dei ghiacciai montani nell’Antropocene, 2011), ma sono soprattutto il capitolo IV della Caritas in veritate e l’enciclica sociale di papa Bergoglio a rappresentare l’impalcatura concettuale.
La risposta dell’ecologia integrale
Occorre pensare allo sviluppo in modi olistici o integrati. «Noi spesso tendiamo a pensare allo sviluppo in termini strettamente economici come crescita del prodotto interno lordo (PIL).
Gli sforzi per correlare il PIL con indicatori di reale progresso dimostrano infatti che la crescita economica contribuisce al benessere per le persone che vedono soddisfatti i loro bisogni primari, tuttavia una volta soddisfatte tali esigenze, la crescita può portare a risultati scadenti allorché la qualità della vita sociale arriva a diminuire». E quando poi la crescita del PIL significa crescenti emissioni di gas serra, un consumo crescente di risorse non rinnovabili e la crescente produzione di rifiuti, la crescita economica può significare che gli ecosistemi e le vite di coloro che vivono in stretta relazione con essi non migliorino affatto. In tali situazioni, c’è un ulteriore divario tra l’economia, il benessere delle persone e le comunità naturali che abitano».
«In Canada, per fare un esempio (che potrebbe anche essere nostro – ndr) la crescente prosperità economica è accompagnata, a quanto pare, da uno stile di vita frenetico, dall’isolamento delle persone e dalla fragilità della vita familiare», si legge nel Rapporto, che continua «Abbiamo invece bisogno di una visione olistica di ciò che significa per la vita umana crescere in comunità con tutto il resto della vita, a fondamentale riconsiderazione di cosa significhi sviluppo, successo e buona vita».
Paradigma di un buon rapporto con la creazione ancora una volta è indicata la saggezza dei popoli indigeni, quegli stessi popoli che secondo Bergoglio dovrebbero essere soggetti attivi in ogni decisione che riguardi loro e la loro terra.
Dalla disperazione alla speranza
«Affrontare la questione del cambiamento climatico rischia talvolta di innescare sentimenti di disperazione. Non è sicuro se la comunità globale sarà in grado di agire in modo rapido e decisivo per sopravvivere alla catastrofe annunciata che il cambiamento climatico provocherà. Tuttavia, non riuscendo ad agire per via di anni di negazionismo colpevole, della disperazione, del cinismo c’è il rischio di peggiorare le cose. Le Chiese possiedono le risorse per affrontare disperazione e paralisi come ci insegnano i Salmi che ci spostano dalla disperazione alla speranza riposta sulla fiducia e la lode a Dio, anche quando l’adoratore è ancora nel bel mezzo della crisi».
Un’altra risorsa è la visione cristiana dello «shalom». A livello popolare, i cristiani possono pensare che la cura per la Terra non sia importante perché il cristianesimo riguarda la salvezza degli umani e la vita eterna, ma questa visione non rappresenta affatto la speranza della Bibbia. Quando Gesù istruisce i suoi discepoli su come pregare, dice loro di agire sulla terra come in cielo, di nutrire gli affamati e mostrare compassione per gli altri accogliendo ciascuno.
«La redenzione non dipende dagli umani, ma gli umani hanno un ruolo centrale da svolgere».
La speranza cristiana, spiega il Rapporto, non consiste in un ritorno al Giardino dell’Eden ma nel costruire una città dove gli umani e gli alberi prosperino insieme: un’immagine utile per riflettere sulle ambiguità etiche del lavoro per la guarigione di tutta la creazione in un mondo in cui la popolazione umana ha superato i 7 miliardi, vivendo in maggioranza nelle aree urbane.
«Viviamo nell’incertezza se lo sforzo umano sarà sufficiente a mantenere le emissioni al di sotto del livello che determinerà il cambiamento climatico, ma sappiamo che lo sforzo umano è limitato dai nostri errori e dalla nostra finitezza, dal nostro peccato e dalla nostra mortalità».
Ma sappiamo anche di lavorare verso quel futuro indicato con chiarezza da Gaudium et Spes: «Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo in cui sarà trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova» (GS 39).
L’aspettativa di una nuova terra non deve indebolirsi ma piuttosto stimolare la nostra preoccupazione per coltivare tutto questo: perché qui cresce il corpo di una nuova famiglia umana, un corpo che anche adesso è in grado di fornire una prefigurazione della nuova era.
Alcuni suggerimenti
Quasi in appendice il documento suggerisce alcune azioni e buone pratiche: rendere la Chiesa locale un luogo di educazione teologica e ambientale, così da creare un gruppo intergenerazionale di animatori ecologici; sostenere un discepolato di tipo ecologico facendo della Chiesa un centro di buone pratiche nel quotidiano; celebrare, con regolarità e gioia, il potere di trasformazione di una cultura ecologicamente consapevole; ammettere e se necessario anche premiare chi promuove modelli utili per vivere semplicemente; condividere i racconti sulle migliori pratiche di sviluppo e riconoscere gli sforzi di quanti individuano approcci creativi alla tutela dell’ambiente o al riciclaggio; incoraggiare i bambini e i ragazzi, e anche le loro scuole, perché rendano più ecologico il loro ambiente; farsi attenti a quanto Dio ci presenta quotidianamente, anche in modi sorprendenti, nell’intento di rinnovare la Terra che soffre.
«Una buona pratica ecologica deve essere individuata sempre a livello locale, e soprattutto formata dalla saggezza tradizionale e anche non tradizionale».
Occorre modificare stili di vita
Se pensiamo a un’estate, come questa 2018, che sta registrando temperature record in Europa centrale e del Nord (22° il 28 luglio alle 6.30 del mattino a Francoforte, per fare un esempio), incendi che si sviluppano nelle foreste ad alte latitudini, l’evacuazione forzata dei 169 abitanti della cittadina di Innaarsuit, in Groenlandia, minacciata dalla discesa di un gigantesco iceberg artico solo per fare qualche esempio, la voce dei vescovi canadesi che ci ammonisce come le conseguenze del cambiamento climatico si stiano ben presto allargando anche a noi si aggiunge non solo a quella di Bergoglio, ma anche a tutti coloro che in questi anni stanno lavorando a livello civile e politico per tentare almeno una mitigazione degli effetti.
Eppure il 30 giugno scorso, secondo il sito di monitoraggio dei voli civili, FlightRadar24, abbiamo raggiunto il record di voli aerei nel mondo: è stato calcolato che in un solo giorno sono state operanti 202.517 rotte aeree. In pratica, un decollo ogni mezzo secondo. Come dire che un numero di persone pari alla metà della popolazione italiana ha viaggiato in aereo nelle precedenti 24 ore. Ma sono stati anche cancellati 1.647 voli e sono arrivati in ritardo 26.091 altri collegamenti, soprattutto in Europa impedendo a molti di spostarsi per svolgere il proprio lavoro. Secondo le stime della IATA, che raccoglie circa l’80% delle compagnie aeree del mondo, nel 2018 i passeggeri saranno circa 4.36 miliardi: 10 anni fa, il numero dei passeggeri in un anno raggiungeva quota 2,49 miliardi con un aumento del 75%.
Nel 2018 ci aggireremo sui 107mila voli al giorno: questo significa anche molti viaggi da parte degli abitanti del mondo ricco che può permettersi il lusso di una vacanza. Se aggiungiamo il traffico da bollino nero sulle autostrade anche di quest’estate significa che i nostri stili di vita non sono ancora cambiati e restiamo inchiodati alle abitudini di quarant’anni fa. Tutti, cristiani compresi.
E dire che all’udienza ai partecipanti alla Conferenza internazionale «Saving our Common Home and the Future of Life on Earth», svoltasi in Vaticano, il Pontefice esortava ancora «ad agire concretamente per salvare la Terra e la vita su di essa».
Quanto siano invece fondati lo spiega la stragrande maggioranza degli scienziati nel mondo che si occupano del clima (se lei è un fisico dell’atmosfera può sempre portare prove e dati per supportare quanto afferma e discutere con loro).
Che gli stessi scienziati vedano “nell’uomo il cancro del pianeta” è una sua affermazione gratuita, salvo dimostrazione contraria. La scienza funziona così. Esiste al suo interno il controllo: nessuno dice o pubblica ciò che vuole, ma tutto deve essere sottoposto a verifica altrui.
Che la Chiesa perda il proprio sapore quando parla di ecologia integrale per far sì che la vita dei più vulnerabili del mondo non sia minacciata dall’indifferenza di troppi, anche cristiani è anche questo tutto da verificare.
Il Vangelo è per la vita di tutti, non solo di alcuni fortunati.
E il Magistero degli ultimi 3 Papi su questi temi è molto chiaro:
«I cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede» (Giovanni Paolo II Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990);
«Non si tratta solo di difendere la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione che appartengono a tutti, è soprattutto una questione di proteggere l’umanità dall’autodistruzione: è l’ecologia umana» (Benedetto XVI Messaggio 1° gennaio 2007);
«Essere custodi dell’opera di Dio non è qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» ( Francesco, Laudato si’ 217).
Bergoglio ricorda «l’ineludibile dimensione sociale dell’annuncio del Vangelo, per incoraggiare tutti i cristiani a manifestarla sempre nelle loro parole, atteggiamenti e azioni» (Evangelii gaudium 258): significa forse perdere sapore?
Una Chiesa che rincorre (infondati?) allarmi climatici (allarmi tra l’altro lanciati guardacaso da chi vede nell’uomo il cancro di questo pianeta) è l’esempio PERFETTO di sale che ha perso il proprio sapore: non serve a nulla e sappiamo bene quale sarà la sua fine.