Internet e piattaforme digitali sono ormai talmente diffuse che «è virtualmente impossibile immaginare un mondo che non sia online». L’episcopato dell’Australia ha pubblicato un corposo documento sul tema (Making it real. Genuine human encounter in our digital world), dove si riflette sulle relazioni umane nell’era dei social. Sulle opportunità e rischi del web e sulla necessità di costruire comunità vive, che ogni giorno testimoniano il vangelo concretamente e «in prima persona». Agenzia SIR, 12 settembre 2019.
È possibile creare «incontri autentici» tra le persone nel mondo digitale. Bisogna però che tutti, utenti dei social media, responsabili politici, aziendali, responsabili di comunità, «facciano di più». Lo pensano i vescovi australiani che hanno scritto e appena pubblicato un documento tutto dedicato a riflettere su come «rendere reali» gli incontri umani che oggi sempre più frequentemente nascono e crescono nel mondo virtuale (Making it real. Genuine human encounter in our digital world; qui il testo originale inglese).
Quel passo del vangelo di Luca dove Gesù viene interrogato da un dottore della legge su come fare per avere la vita eterna, è riproposto come se Gesù rispondesse alle domande di uno tra i suoi contatti WhatsApp: vale a dire, il messaggio di Gesù resta valido anche nel tempo del digitale. Come resta valida la sua indicazione che l’amore al prossimo è la legge fondamentale del cristiano, ovunque lo si incontri, anche sui social.
Benefici e rischi
Internet e piattaforme digitali sono talmente diffuse che «è virtualmente impossibile immaginare un mondo che non sia on line», scrivono i vescovi ed elencano gli «immensi benefici» che ciò porta con sé. Mettono però anche in guardia da «solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza», che in quegli spazi virtuali concretamente trovano casa a danno della dignità umana.
Se è stato trasformato il nostro modo di interagire a livello personale, è stato rivoluzionato anche il modo in cui interagiamo con lo Stato e beneficiamo di servizi. Il «e-qualsiasicosa» (come l’e-commerce, e-health, e-service, e-work) ha aperto nuove possibilità ma contemporaneamente creato spazi di nuove esclusioni rispetto a chi non «è nelle condizioni, non si può permettere, non è capace» di usare le tecnologie digitali (aborigeni, poveri, disabili… nell’elenco dei vescovi australiani).
Proprio quelli che ne avrebbero più bisogno mancano all’appello del digitale e «le divisioni sociali si replicano online». E siccome «i servizi essenziali si spostano sempre più on line, l’inclusione digitale diventa indispensabile per la più essenziale partecipazione sociale», al punto che «dovrebbe essere considerata un diritto umano».
Incontrare l’umanità
«L’esclusione digitale non è una questione meramente tecnica», ma anche «morale e sociale». Perché «la domanda fondamentale è se scegliamo di utilizzare la tecnologia digitale per rendere senza volto, senza nome e senz’anima gli esseri umani dall’altra parte dei nostri dispositivi o se scegliamo di incontrare autenticamente e rispettare la loro umanità e la nostra».
Ci sono però anche una serie di problemi legati alle piattaforme stesse e che i vescovi sollevano: dalla questione della montagna di dati personali offerti in pasto ai «coccodrilli digitali», il loro sfruttamento a beneficio economico delle grandi piattaforme, alle questioni legate all’informazione e alla diffusione di notizie false o manipolate.
Cosa possiamo fare?
Quindi bisogna agire. E il documento dei vescovi australiani propone una serie di piste d’azione o raccomandazioni. Si comincia da ciò che possono fare i singoli utenti: trattare con rispetto gli altri secondo l’adagio «posta sugli account altrui ciò che vorresti che gli altri postassero sui tuoi»; stare con gli altri e limitare il tempo che si passa connessi da soli con il telefono; agire contro i soprusi, gli abusi e le violenze on line di cui si è testimoni o si viene a conoscenza.
Quanto alle comunità, la raccomandazione è che si dedichino a promuovere l’alfabetizzazione digitale o ancora che si impegnino concretamente e «in prima persona» in battaglie sociali e politiche di sensibilizzazione e attivismo. Invece ai leader politici e aziendali si chiedono «regole» sulla raccolta e uso dei dati personali, trasparenza e responsabilità, aderenza alla verità e onestà quando ad esempio si tratta di diffusione di notizie e informazioni.
Anche la Chiesa ha compiti e responsabilità, come ad esempio, difendere «relazioni autenticamente umane che riconoscono la dignità dell’altro, fatto a immagine e somiglianza di Dio»; contrastare la deriva da città-comunità a città-collezioni di individui; continuare a vivere la concretezza dell’incarnazione e della esperienza di fede che segna il cristianesimo, essendo «buoni samaritani» con ogni fratello o sorella ferito, escluso, in difficoltà per le strade delle nostre città e del mondo virtuale.