A ottantasette anni, il 28 novembre 1994, moriva il card. Vicente Enrique y Tarancón, arcivescovo di Madrid dal 1971 al 1983, fiero oppositore del regime di Franco in nome della libertà della Chiesa. Il Concordato del 1953, in piena euforia franchista, dava al governo il privilegio di candidare i vescovi.
Tarancón, nato nel 1907 a Burriana (Castellon), prete nel 1929, fu consacrato vescovo nel 1946 della diocesi di Solsona, dove rimase fino al 1964. Fu arcivescovo di Oviedo fino al 1969, quando venne trasferito a Toledo. Il 3 dicembre del 1971 fu posto a capo dell’arcidiocesi di Madrid.
Dottore in teologia alla Pontificia Università di Valencia, fece parte di varie commissioni all’interno della Conferenza episcopale spagnola, di cui fu presidente dal 1972 al 1981. Nell’ottobre del 1969 fu annoverato tra i membri della Reale Accademia della lingua. Pubblicò diversi scritti per lo più di carattere pastorale, penna facile fino alla vigilia della morte. Uomo di Chiesa e della società civile, non si sentì mai in pensione. Il suo prestigio fu sempre alto.
Un incontro
Lo ricordo a tu per tu nel palazzo arcivescovile. Era il tempo – negli anni Ottanta – in cui dalla destra politica ed ecclesiastica riceveva insulti e veniva trattato con disprezzo. Sui muri delle case adiacenti al palazzo si poteva leggere: «Tarancon al muro!». Il vescovo di Cuenca, Guerra Campos, e lo stesso primate di Toledo, Marcelo Gonzalez, lo attaccavano spesso.
Stranamente, quando andai a intervistarlo, non aveva voglia di dire molto. Non faceva mistero di essere controllato da Roma. Gli chiesi delle sortite del vescovo Guerra Campos e del card. Gonzalez. Mi rispose: «Ci sono alcuni vescovi che hanno la propria visione delle cose. Sul piano dogmatico non ci sono differenze, ma nel giudicare i problemi sì. Però, questo non è di adesso. Cinque-sei anni fa il vescovo di Cuenca era già così».
Dal dicembre del 1979 si aveva la netta sensazione che Tarancón facesse fatica a tenere la leadership della Conferenza episcopale. L’arcivescovo di Toledo Gonzalez insisteva sugli aspetti negativi degli anni post conciliari. Guerra Campos era uscito allo scoperto. A Roma piovevano lettere d denunce nei confronti del vescovo Alberto Iniesta, ausiliare di Tarancón, che veniva chiamato il «vescovo rosso» di Vallecas, alla periferia della capitale.
Chiesi a Tarancón se la Chiesa stesse virando a destra sotto la spinta di Giovanni Paolo II. Disse di no, ma parve preoccupato. Alla mia insistenza, rispose: «Nel primo tempo del suo pontificato è ovvio che proceda come polacco. È del tutto normale e legittimo. Ha una missione molto difficile da compiere. La chiarificazione dottrinale e l’irrigidimento disciplinare danno l’impressione che si tratti di involuzione. Vedremo».
Raccolta una voce in ambienti ecclesiastici spagnoli, gli domandai se rispondesse al vero che sarebbe uscito dall’udienza con papa Wojtyla in lacrime. Rispose tranquillo: «No, no, sono stato trattato bene. Ho parlato con il papa un’ora. Lo conoscevo da tempo perché ho lavorato con lui preparando il sinodo sull’evangelizzazione Mi ha sempre trattato con affetto, con deferenza. È la gente che parla molto».
«Certe posizioni danno fastidio»
Di fatto, però, tra le altre cose, Tarancón non condivideva le manovre sotterranee per erigere l’Opus Dei in prelatura personale. Penso che la santa Sede non procederà senza consultare i vescovi. Le voci di dissenso, prima fra tutte quella di Tarancón, furono poi fatte tacere da Roma e con la Costituzione apostolica Ut sit validum del 28 novembre 1982, l’Opus Dei veniva eretta in prelatura personale, scatenando aspre polemiche in Spagna e altrove. Si continuò per un bel po’ di tempo a chiamarla «mafia bianca». Tarancón era ancora arcivescovo di Madrid.
Il 12 aprile del 1983 Giovanni Paolo II accoglieva le sue dimissioni e al suo posto poneva un fedelissimo, mons. Suquia, di ben altro orientamento, eletto subito dopo presidente della Conferenza episcopale su pressione del nunzio, invece dell’altro candidato, mons. Yanes, ritenuto troppo aperto. Lo schiaffo di Roma fu forte.
Tarancón: uomo limpido, schietto, tormentato, anche se non lo dava da vedere. Soffrì molto. Lo confessò lui stesso, quando il 4 ottobre ricevette il dottorato honoris causa dall’università politecnica di Valencia. Tenne un discorso che la stampa spagnola definì magistrale sui valori etici della democrazia.
«Sapevo che il sacerdote, come Gesù Cristo, ha da essere segno di contraddizione; non potevo sospettare però che questa contraddizione arrivasse, da dentro o fuori della Chiesa, per strade extra religiose. Per ragioni piuttosto politiche. Chiaramente avrei dovuto presumerlo, perché lo stesso Gesù Cristo fu accusato di essere nemico di Cesare. Certe posizioni religiose strettamente evangeliche, come quelle di Gesù Cristo in favore dei poveri, degli emarginati o semplicemente del popolo, danno facilmente fastidio ai potenti di questo mondo».
Un grande uomo, un grande pastore. Senza di lui la transición non sarebbe stata così pacifica come fu. La Spagna gli deve tanto. Un grande esempio di saper comprendere i tempi.