Dalle omelie dei vescovi tedeschi

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Anche i vescovi tedeschi, in quest’ultimo fine settimana, hanno celebrato la messa senza il popolo. Ciononostante, hanno colto l’occasione, soprattutto attraverso le trasmissioni in streaming, per parlare ai loro fedeli, sia per incoraggiarli e confortarli, sia soprattutto per dire loro che l’attuale crisi del coronavirus può costituire l’occasione di un profondo rinnovamento.

L’emittente di Colonia, DomRadio, ha raccolto sinteticamente le affermazioni di alcuni di loro. Leggendole nell’insieme, pur nella loro brevità, ne risulta un quadro interessante e pieno di suggestioni per un profondo cambiamento di mentalità e di comportamenti, non solo individuali ma anche sul piano dei rapporti sociali e mondiali. L’impressione è che, dopo questa crisi, niente sarà più come prima.

La crisi del coronavirus ha messo in risalto anche importanti valori come l’emergere di una nuova solidarietà, a tutti i livelli, la compassione e la cura vicendevole, senza esclusioni, e ha dimostrato l’insensatezza di ciò che si è sentito ripetere più volte in questi ultimi tempi «prima io e il mio Paese»: gli effetti di questa pandemia dimostrano che c’è un legame a livello mondiale che ci unisce oltre ogni confine, e che perciò occorre camminare insieme senza chiudersi nei propri piccoli recinti ed egoismi, se l’umanità vuole avere un futuro. In una società di presunta onnipotenza, come l’attuale, appare chiaramente anche tutta la fragilità dell’uomo: egli non è il padrone di tutto né di se stesso, ma, volere o no, deve riconoscere che ci sono dei limiti invalicabili.

Un posto importante viene attribuito dai vescovi alla fede, alla fiducia in Dio e alla preghiera, aspetti questi che una società secolarizzata come la nostra, in cui molta gente vive come se Dio non esistesse, è chiamata a riscoprire.

E anche che per la Chiesa si aprono nuove vie e nuove possibilità, con l’invito alla fiducia, al coraggio e all’inventiva al di là di schemi fissati una volta per sempre.

E sul piano della testimonianza, come ha detto il card. Marx, occorre affermare che la pandemia del coronavirus non è un castigo di Dio, cosa che darebbe un’immagine deformata e falsa di Dio, del tutto inaccettabile poiché Dio ama sempre l’uomo e lo accoglie nel suo amore.

Il card. Marx: la pandemia non è un castigo di Dio

Il card. Marx di Monaco di Baviera, in un’intervista al Münchner Merkur, ha sottolineato che la pandemia del coronavirus non è un castigo di Dio. Un’interpretazione del genere, ha detto, condurrebbe ad avere «un’immagine di Dio molto difficile e falsa». Il messaggio di Gesù è che Dio ama gli esseri umani e li accoglie nel suo amore.

Il cardinale ha affermato che la decisione di fermare la vita della Chiesa è stata per lui «molto difficile». «Per quanto ne so – ha spiegato – è la prima volta nella storia della Chiesa che non possiamo offrire celebrazioni pubbliche della messa. Si tratta di una ferita profonda, perché la messa domenicale costituisce per noi il centro della vita della Chiesa». È tuttavia doveroso in questo momento assumersi la responsabilità dell’intera società. «Noi non siamo qui solo per noi stessi». Anche se è «difficile immaginare» la Pasqua senza le messe pubbliche, rimane tuttavia la certezza che Cristo è più forte della morte. Questo bisogna continuare a testimoniarlo.

Per quanto riguarda le restrizioni di uscire, stabilite dallo Stato, Marx ha affermato di avere «una piena fiducia nei responsabili della politica». Si è detto convinto che il governo si preoccupa di proteggere i più deboli e di agire con ponderatezza. «Io appoggio l’invito ai singoli di limitarsi a ciò che è maggiormente necessario e di agire nell’interesse di tutti».

Ha aggiunto di non sentire personalmente in questo momento il peso delle restrizioni. «Non c’è più la pressione degli appuntamenti e sono cancellati anche i viaggi di lavoro». Ora c’è più tempo per pregare soprattutto per i malati, gli anziani e i loro familiari e per tutti coloro che «attualmente prestano un servizio indispensabile per l’intera società».

Il cardinal Woelki: «Dobbiamo gioire per la Pasqua»

Nella sua parola, l’arcivescovo di Colonia, card. Rainer Woelki, ha assicurato i fedeli di pregare per loro. In vista dell’imminente primavera – ha affermato – è particolarmente difficile credere che arrivi la Pasqua: angustia, bisogno e miseria in tutto il mondo. Tuttavia dobbiamo avere fiducia in colui che asciugherà le nostre lacrime, il quale ha detto: “ecco io faccio nuove tutte le cose”!

In una lettera ai fedele della diocesi ha esortato a partecipare alle messe che vengono trasmesse attraverso i media, perché «situazioni straordinarie richiedono soluzioni straordinarie».

Mons. Overbeck: i segni della solidarietà e il loro grande significato

Il vescovo della Ruhr, Franz-Josef Overbeck, ha tessuto l’elogio per i numerosi segni di solidarietà che si manifestano in questa crisi crisi del coronavirus. In un video trasmesso nel sito internet della diocesi di Essen, rivolgendosi ai giovani, li ha esortati a fare gli acquisti per gli anziani e a portare agli altri dei libri. Ha ricordato il lavoro che compiono i cassieri nei supermercati, e poi i medici, gli infermieri e i malati. E che anche la preghiera unisce, benché la gente non possa ora farlo insieme.

L’arcivescovo Burger: fiducia anziché rassegnazione

L’arcivescovo di Freiburg, Stephan Burger, ha celebrato una messa trasmessa in diretta via internet. Parlando di una situazione molto difficile, ha invitato a una solidarietà globale per proteggere le persone vulnerabili: «Tutti noi – ha affermato – possiamo ora mostrare di rimanere uniti, di essere l’uno per l’altro nonostante la distanza prescritta». Anziché rassegnazione, sono necessari ora dei segni di fiducia. In questo modo si avvertirà il vincolo «di una solidarietà oltre tutti i confini» e «si sentirà nuovamente anche la comunione della fede cristiana».

Ha inoltre sottolineato che la diffusione del coronavirus, al di là di ogni confine, dimostra che i tempi della chiusura nazionale sono finiti: «Modi di pensare come “Prima io o il mio Paese” si sono dimostrati illusori e persino pericolosi». Tutti e ciascuno sono ora invitati a riesaminare i propri comportamenti e i propri egoismi aprendosi ad un comportamento solidale. «Il modo con cui l’intera società vivrà questa crisi caratterizzerà anche il nostro futuro».

Burger è anche vescovo della Caritas e come tale ha esortato alla solidarietà internazionale. Nell’attuale crisi del coronavirus – ha detto – ci sono tanti che soffrono a causa della guerra e della fame sul piano mondiale che non devono essere dimenticati. Ha ricordato in particolare la difficile situazione della Siria e del Libano. E ora che, dopo la chiusura di tutte le messe, la raccolta delle offerte vien meno, ha esortato i fedeli a fare loro delle offerte di persona.

Mons. Meier: il coronavirus ci rimanda alla Chiesa delle catacombe

Bertram Meier (59 anni), nominato vescovo di Augusta, ma non ancora consacrato, vede i cristiani riportati ai loro albori. Il coronavirus – ha dichiarato – «ci rimanda alla Chiesa delle catacombe». Infatti, «i primi cristiani non possedevano beni immobili dedicati a Dio, ma mettevano le loro case a sua disposizione e a disposizione dei loro fratelli e delle loro sorelle. Ha esortato i fedeli a far rivivere questa tradizione: «Considerate la vostre case e abitazioni come chiese, come luoghi in cui poter parlare con Dio». Le chiese domestiche costituiscono ora ciò di cui c’è bisogno.

La crisi del coronavirus ci invita alla ricerca della volontà di Dio. «Di questo sono sicuro, personalmente e anche per la Chiesa». «Cerchiamo di vedere quali conseguenze comporterà questo sconvolgimento per la vita della Chiesa nelle comunità dei fedeli e nei conventi».

In questo contesto di sofferenza, ha ricordato il percorso di vita di santa Edith Stein (1891–1942) che, ebrea di nascita, «ha deliberatamente abbandonato la fede». Poi, lei che si era definita «atea», è stata costretta a riflettere a partire dalla sua esperienza in un ospedale militare, in cui migliaia di soldati morirono di tifo petecchiale, dissenteria e colera e, poco alla volta, è entrata nel mistero del cristianesimo fino alla sua morte violenta nel campo di sterminio di Auschwitz.

Qui ora, anche per noi, non si tratta di dogmi e di norme morali, né di ortodossia, ma di un atteggiamento che si declina nell’amore per il prossimo.

Altre voci

L’arcivescovo di Berlino, Heiner Koch, ha sottolineato che la crisi ci fa prendere coscienza «che le nostre possibilità sono limitate e che ci vengono posti dei limiti». Nello stesso tempo, ha invitato a prendersi cura soprattutto degli anziani e dei malati.

E il vescovo ausiliare di Magonza, Udo Bentz, parlando alla seconda rete televisiva tedesca ZDF, ha sottolineato che la Chiesa, nonostante tutto, cerca nuove vie per stare vicina alla gente – una «vicinanza nella distanza», per così dire. Esistono, ad esempio, nuove chat room (spazi virtuali per incontrarsi) per la cura pastorale, delle forme alternative alla celebrazione della messa e altre novità creative. E anche il telefono sta vivendo una rinascita per il contatto diretto con i sacerdoti.

Infine, il presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca, Heinrich Bedford Strohm, ha affermato che il coronavirus «ha cambiato in breve tempo in maniera radicale la nostra vita, da non sapere come comportarsi». Tanto più importante perciò è la fede in ciò che Gesù ha detto: «Qualunque cosa accada, tu non cadrai nel vuoto».

Forse la crisi potrebbe portare a una «rivoluzione dell’empatia e dell’attenzione reciproca»: «Persone che mostrano compassione, che si prendono cura le une delle altre, che rimangono unite e si dedicano a ciò che è veramente importante. Persone che anche ora non fanno alcuna differenza tra profughi e gente del luogo».

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