Uomini di centro e di mezzo: così ha definito la nuova direzione della Conferenza episcopale polacca il direttore dell’agenzia cattolica Kai, M. Przecszewski. Di centro, perché non assimilabili ai più intransigenti e ai più liberali. Di mezzo, perché non rappresentano le figure di maggior spicco nell’assemblea.
Nuovo presidente è mons. Tadeusz Wojda, metropolita di Danzica, e vicepresidente è mons. Jozef Kupny, vescovo di Wroclaw.
Wojda (67 anni) è religioso “pallottino”, dottorato in missiologia, collaboratore per lunghi anni al dicastero romano per l’evangelizzazione dei popoli. Dal 2017 è vescovo prima a Bialystok e poi a Danzica. Si è segnalato per la cura della formazione permanente dei suoi preti e per lo sforzo di dare spazio ai laici.
Dopo la lunga permanenza a Roma, ha cercato di “ridiventare polacco”, fedele alle sensibilità della sua Chiesa, poco propenso a seguire suggestioni dell’Europa occidentale (Germania e Francia), pur avendo fatto il suo dottorato sulla missiologia di Lovanio di Münster. Attento ai giovani ha affrontato con generosità l’ondata dei profughi dall’Ucraina in guerra.
Ha sviluppato buoni rapporti con i vescovi ortodossi delle sue diocesi, continuando a coltivare la devozione mariana ed eucaristica del suo popolo. Intransigente nella difesa del matrimonio e della famiglia, non ha condiviso le proteste delle donne contro l’irrigidimento della legislazione abortiva.
Non di spicco
Jozef Kupny è il vicepresidente della conferenza episcopale. Nato il 23 febbraio 1956 e ordinato prete nel 1983, è diventato vescovo nel 2006. Dal 2013 è vescovo di Wroclaw e cancelliere della locale pontificia facoltà di teologia. Ha il dottorato in filosofia e sociologia.
Fra qualche mese dovrà essere sostituito anche l’attuale segretario generale della conferenza episcopale, mons. Artur Mizinski, offrendo l’occasione per un rinnovo delle figure principali della dirigenza episcopale. Anche perché le figure precedenti (mons. Stanislaw Gadecki e mons. Marfeck Jedraszewski) entreranno nei vescovi emeriti fra qualche mese.
Il radicale rinnovamento sociale e politico prodotto dalle ultime elezioni costringe l’episcopato a ridefinire le sue posizioni pubbliche. Il decennio precedente si è infatti caratterizzato per una evidente compromissione della Chiesa con la maggioranza conservatrice, utilizzando tutte le sue possibilità, ma anche coprendo e compromettendosi con le sue debolezze.
Le scelte compiute nell’ultima assemblea avvertono l’impossibilità di ripetere il passato (anche se Gadecki, senza il vincolo del mandato, poteva attendersi un rinnovo) ma non forniscono un progetto coerente per il futuro.
Di certo, la lunga consuetudine di Wojda con la curia romana garantisce un rapporto diretto con Roma e un linguaggio comune, come anche un dialogo più attento e rispettoso con la nuova maggioranza e il nuovo governo, ma non sembra garantire il superamento della profonda frattura che attraversa la società e il cattolicesimo polacchi.
Nel coro prevedibile e sincero degli apprezzamenti non mancano le dissonanze. Alcuni prevedono che il calo dei frequentanti proseguirà, che quanti si sono allontanati dalla Chiesa non troveranno ragioni per riconsiderare la propria scelta, che il tratto clericale non verrà intaccato e corretto. I “riformisti” attendevano uomini come il card. Wojcjec Polak o il card. Grzegorz Rys e un indirizzo più in sintonia con papa Francesco.
Difficile confronto col nuovo governo
L’assemblea episcopale ha riconfermato la priorità pastorale della famiglia, il diritto inviolabile della vita (aborto e eutanasia) e il matrimonio come unione di un uomo e una donna.
Inoltre, hanno istituito un gruppo di lavoro sulla proposta del governo che prevede uno spazio minore e una maggiore volontarietà dell’insegnamento della religione nelle scuole. Sottolineano l’importanza educativa, culturale e sociale dell’insegnamento religioso nella scuola pubblica.
Si afferma l’indirizzo di ampliare il lavoro sul versante della tutela dei minori in cui operano finora 70 persone. Anche in questo caso sarà necessario confrontarsi con la nuova legge dell’esecutivo.
Altro gruppo di lavoro sarà messo in opera per affrontare la questione del fondo per la Chiesa. Finora il governo destinava alla Chiesa un cospicuo fondo (l’ultimo, nel 2023, è stato di 50 milioni di euro), ma l’attuale maggioranza spinge per un sovvenzionamento maggiormente legato ai fedeli piuttosto che allo stato.
L’assemblea ha salutato con convinzione presidente e vicepresidente in scadenza. Gadecki aveva cominciato il suo ruolo con la fama di mediatore paziente, ma poi si è rivelato molto più protagonista, con un approccio ancorato al magistero di Wyszynski e a quello di Giovanni Paolo II e scarsa sintonia con quello di papa Francesco. Ha coperto con la propria autorità l’indirizzo del governo di destra (ma non tutte le sue decisioni) e ha affrontato in maniera dura le questioni dell’aborto e delle famiglie omo. Nel saluto ai vescovi ha così sintetizzato gli eventi più difficili e quelli più gioiosi del suo servizio.
Gadecki depone le armi
Fra i momenti difficili, ha ricordato la pandemia, la guerra in Ucraina, gli incontri con le vittime della pedofilia del clero, il discorso televisivo in relazione alla pandemia, le “marce nere” e cioè le manifestazioni delle donne per una disciplina abortiva più larga, le lettere al patriarca Cirillo per denunciare il suo sostegno alla guerra. Infine, la lettera al presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons Georg Bātzing, in cui esponeva critiche di fondo al cammino sinodale tedesco. Lettera che i tedeschi hanno giudicata pretenziosa e per nulla fondata e che gli intransigenti cattolici hanno invece condiviso.
Fra i momenti positivi ed esaltanti ricorda l’accoglienza generalizzata e generosa dei polacchi ai profughi ucraini, il divieto dell’eutanasia eugenetica, i 1050 anni del battesimo della Polonia e l’istituzione della giornata dell’ebraismo.