Nell’Annuario pontificio del 2017 i vescovi emeriti erano 1.547 su un totale di 5.133. Si può ragionevolmente pensare che la soglia dei 2000 emeriti non sia lontana. In Italia i membri della Conferenza episcopale sono 242, gli emeriti sono 170. Distribuiti per zone territoriali gli emeriti sono 64 in Italia del Nord (in attività sono 68), 59 in Italia centrale (in attività 88), 47 nell’Italia meridionale (85 in attività). Se si dovesse arrivare a un nuovo concilio della Chiesa cattolica, avrebbero diritto a parteciparvi tutti i vescovi, in attività come in emeritato, con evidenti problemi logistici e di gestione. Durante il Vaticano II erano poco più di 2000.
Il tema del vescovo emerito era del tutto marginale fino a quando la sua carica si estingueva con la sua morte. Il concilio e le norme applicative hanno fissato a 75 anni il momento dell’uscita dal servizio alla diocesi. Le dimissioni e la crescita dell’età media creano un gruppo episcopale che fa sorgere alcuni interrogativi. È quello che l’arcivescovo emerito di Strasburgo, Joseph Doré, ha fatto nel volume Ėvệques émérites, (Strasburgo 2017; Cf. F. Strazzari, E i vescovi in “pensione”? del 17 agosto 2017). Un argomento che ha ripreso in un numero di Documents Episcopat (1,2019).
Con la lettera apostolica Ecclesiae sanctae (1966) Paolo VI ha dato seguito alle indicazioni conciliari di Christus Dominus, fissando l’età delle dimissioni a 75 anni. Solo nel 2008 è uscito un documento ufficiale della Congregazione dei vescovi su Il vescovo emerito. Sono 11 i testi normativi attualmente disponibili sul tema. In Francia gli emeriti rappresentano il 45% del corpo episcopale. 29 di essi hanno dato la loro testimonianza nel libro già segnalato.
Le domande che emergono dal loro vissuto sono sostanzialmente di tre tipi.
Il primo riguarda il carattere propriamente sacramentale che il concilio ha riconosciuto al vescovo. Se, nella celebrazione eucaristica, il vescovo non è più di un prete e anche vero che il modo cambia in relazione al sacramento primordiale che è la Chiesa. In rapporto al «sacramento» della Chiesa vescovi e preti non sono sullo stesso piano. Ma come si esprime tutto questo nel vescovo emerito?
Il secondo interrogativo riguarda il legame con la Chiesa o le Chiese locali che ha servito. Qual è il rapporto del vescovo in pensione con essa o con esse?
Il terzo interrogativo attiene alle molteplici attività dei vescovi emeriti, in ragione dello stato di salute e del contesto ecclesiale in cui si collocano.
Dove vanno? Cosa fanno?
Non sono molti i vescovi emeriti che rimangono nella diocesi dove hanno esercitato il loro ministero. Un certo numero ritorna alla diocesi di origine della propria famiglia. Altri scelgono di servire la Chiesa in luoghi come i santuari o comunità particolari. I religiosi fanno ritorno spesso nell’ordine e nella congregazione da cui sono usciti.
La loro attività principale è la predicazione. Ma sono assai disponibili per le confessioni, per la direzione spirituale e, quando il vescovo locale li chiama, per la confermazione e altre cerimonie religiose. Qualche volta ricevono compiti specifici come amministratori apostolici in diocesi vacanti o sono chiamati a servizi diplomatici dalla Santa Sede o investiti di ruoli da parte delle Conferenze episcopali.
Vi è un’esigenza di maggiore precisione canonica e di indirizzo nei loro confronti che sta emergendo dai loro vissuti. Non manca anche l’interrogativo sull’opportunità di fissare per tutti e ovunque il termine dei 75 anni.
Un interrogativo non sempre facile per loro riguarda il legame con la diocesi che hanno lasciato e con quella in cui hanno deciso di vivere gli ultimi anni della loro vita: quali contatti prendere? Quali disponibilità dichiarare? Quali collaborazioni accettare? Domande che hanno a che vedere con altre, più personali: chi sono ormai? Cosa devo essere adesso? Le risposte sono legate alla sensibilità di ciascuno. Non sempre prive di una qualche sofferenza. Esse richiedono una conversione profonda e una grande disponibilità.
Non è certo fra i vescovi emeriti che nascono i problemi maggiori della Chiesa. «È solo un aspetto fra molti altri, ben più importanti e più urgenti, ma mi è parso, come ho segnalato nel libro, che esso meriti una più attenta presa in considerazione» (mons. Doré).
un vescovo è sempre tale, una cosa è certa, lasciare la diocesi dopo molti anni è dura da digerire, resta delusione, ansia, cosa fare, come mi vedranno ecc,
una cosa brutta assai, vedere che un vescovo emerito, parlo della mia diocesi che dopo tanti anni che mi ha conosciuto, seguito, accolto, aiutato, di punto in bianco non segue più. non mi riceve, non mi risponde agli auguri, ai saluti, rifiuta di incontrarmi etc, mi sono domandato cosa e’ successo? l’ex segretario non si sbilancia, Certo qualcosa deve essere successo. Sta di fatto che ognu rancore deve essere dimenticato, siamo in QUARESIMA, prossimi all Pasqua
il Signore che cancella tutti i peccati anche i pi gravi. Chi crede di essere questo Vescovo, ora emerito, Gesu’ Cristo di certo no ! umilta’, carità due doti molto importanti per un Vescovo. Prego per lui, auguro a lui ogni bene, il Signore che lo aiuti a cancellare discordie nel suo cuore.
pER QUANTO MI RIGUARDA, IO SONO A POSTO CON IL SIGNORE, NON HO NULLA DA RIMPROVERAMI. UN VESCOVO SUPERBO, PERMALOSO, LONTANO DALLA GENTE NON VA BENE, NEPPURE PER DIO , SIGNORE PERDONA LUI !
Basta elaborare una riflessione teologica, debitamente motivata e seria, in cui il “ministero ordinato” venga ‘vissuto’ ad tempus…con l’apertura del ministero stesso anche verso i viri probati, magari in un Vaticano III!
Una realtà non molto diversa da quella dei presbiteri diocesani che raggiunti i 75 anni d’età terminano il servizio di parroci e si rendono disponibili in base alle proprie forze per le necessità della Chiesa locale.