Dopo quello di mons. Valerio Lazzeri della diocesi di Lugano (Svizzera) (cf. SettimanaNews, qui) che, a 59 anni, si è dimesso dal ruolo il 10 ottobre, altri casi sono apparsi. A testimonianza che il burnout (depressione professionale) interessa anche i vertici delle Chiese locali.
Il 16 novembre p. Ivan Brient, nominato vescovo ausiliare di Rennes (Francia) da dieci giorni, prima dell’ordinazione prevista il 4 dicembre, scrive una lettera in cui spiega perché ha dovuto rinunciare (con l’approvazione pontificia).
I preparativi della celebrazione erano già molto avanti, ma «alcuni problemi di salute mi hanno allarmato e mi hanno obbligato a considerare l’impegno con più attenzione.
Dopo alcuni consulti sono stati con chiarezza diagnosticati segnali allarmanti di burnout. Segnali che mi hanno permesso di comprendere che, da una parte, ero già affaticato e che, dall’altra parte, avvertivo le tensioni che la missione (episcopale) stava suscitando in me e che avrei avuto difficoltà nell’affrontarla.
Due medici mi hanno vivamente consigliato di fermare il tutto per l’imminente minaccia di burnout. Ne ho parlato con il nunzio e con mons. Ornellas che ringrazio per il loro ascolto fraterno e il loro aiuto.
Dopo l’opportuno discernimento, mi è parso più saggio non andare oltre nella missione che mi era stata conferita. Il peso mi è sembrato eccessivo e non volevo rischiare di dover abbandonare durante il cammino e di non potere compiere correttamente la missione di vescovo ausiliare».
Quattro casi
Il 12 dicembre si dimette, d’accordo con il papa, anche il vescovo di Hexham e Newcastle (Gran Bretagna), Robert Byrne (66 anni). Dopo tre anni di ministero scrive ai suoi fedeli: «Da tempo discerno il mio futuro e dopo molte preghiere e riflessioni, è con un peso sul cuore che ora scopro che l’ufficio del vescovo diocesano è diventato un peso troppo grande e sento di non poter servire più il popolo cristiano della diocesi come vorrei». E, dopo aver ringraziato i collaboratori, aggiunge: «Ora intendo cercare nuovi modi per esercitare il mio ministero episcopale nella misura più ampia possibile e per tutto il tempo che posso, e in questo chiedo le vostre preghiere per me, mentre continuo a ricordarvi nella mia».
il 28 dicembre, mons. Thierry Brac de La Perrière (diocesi di Nevers, Francia) annuncia di dover prendersi un congedo sabbatico di sei mesi per rimettersi in forza a causa di una depressione. «Ho bisogno di un tempo di riposo, di una ripresa spirituale, di un ritorno in forze per essere in grado di esercitare al meglio le mie funzioni». «Non posso accontentarmi di gestire le cose giorno dopo giorno… Sono spossato, ma niente di drammatico. Ho solo bisogno di riposo».
Pienamente assolto dalle accuse di aver coperto un caso di aggressione sessuale, il vescovo specifica che la sospensione del compito non copre nessuna accusa di questo tipo: «Nel contesto movimentato della nostra Chiesa francese, avverto che questa sospensione rischia di essere interpretata dai fedeli e dei media come inizio di un nuovo scandalo. Niente di tutto questo. Dietro la decisione non c’è niente di condannabile dalla Chiesa o dalla giustizia civile».
L’accumulo di responsabilità sul vescovo che l’attuale diritto canonico prevede, i suoi ruoli pubblici e il peso gravoso della gestione degli abusi mettono a dura prova la salute dei vescovi. È bene tenerne conto.
Sarebbe utile considerare anche gli aspetti psicologici del coinvolgimento pastorale. Tali ripercussioni logoranti si hanno non soltanto per gli operatori coinvolti direttamente nelle parrocchie ma anche per quelli che guidano l’intera diocesi, Come si evince da questo articolo.
A quando una riflessione – serie, libera ed argomentata – sulla vita di presbiteri ed episcopi?
A quando un discernimento – evangelicamente fondato ed antropologicamente argomentato – sul tema del ruolo ministeriale (episcopale e non) in una società secolarizzata nei contenuti ma ancora “affascinata” dalle “strutture” (ah…le “nostre strutture pastorali!!”) della chiesa (il minuscolo è voluto…)
A quando la nomina di vescovi che abbiano la prospettiva del “domani che deve venire” e non “dell’oggi che deve essere portato avanti”?
A quando una ri-forma che non abbia immediatamente a che fare con lo spiritualismo ma abbracci lo spirituale cristiano?
A quando tutto questo?