Sorpresa e stupore ha suscitato nel mondo ecclesiale italiano la notizia che Gianfranco Todisco, vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa, ha dichiarato di fronte ai suoi sacerdoti di voler ritornare a fare il missionario, precisamente a Tegucigalpa, capitale dello stato centroamericano dell’Honduras.
La notizia si è diffusa rapidamente nel mondo ecclesiale suscitando un vasto interesse.
Monsignor Todisco, al quale mancano solo quattro anni alla scadenza naturale stabilita dal diritto canonico di presentare le dimissioni dal servizio episcopale, ha motivato questa sua scelta come un desiderio molto forte (accolto e sostenuto dal papa) di riabbracciare la vita missionaria, fedele al principio che, quando si è stati missionari una volta, lo si è per tutta la vita.
L’impegno ad gentes egli lo conosce bene; infatti, per ben 21 anni ha svolto la sua attività dividendosi fra Canada e Colombia prima di rientrare in Italia per diventare parroco in Calabria e, successivamente, vescovo della diocesi lucana di Melfi-Rapolla-Venosa.
In un’intervista concessa ad Avvenire il presule ha affermato: «Anche se mi sono sforzato di vivere il ministero episcopale con spirito missionario, dopo l’esperienza di 21 anni nel Nord e nel Sud del continente americano che mi portavo nel cuore, il desiderio di tornare in missione diventava ogni giorno sempre più impellente».
A ciò si deve aggiungere l’esperienza di oltre dieci anni di partecipazione ai lavori nella Commissione episcopale per l’evangelizzazione e la cooperazione tra le Chiese, che gli ha offerto la possibilità di incontrare tanti missionari e missionarie italiani in diverse parti del mondo e di constatarne la progressiva riduzione di numero.
«Dopo ogni incontro della Commissione rientravo a Melfi ricaricato dalla loro testimonianza – ma, allo stesso tempo – aumentava la mia inquietudine di tornare in missione, anche da semplice presbitero… Qualcuno potrebbe pensare che, dietro questo mio desiderio di tornare in missione, si nasconda qualche altra motivazione legata a difficoltà, insoddisfazioni o desiderio di “cambiare aria”. Nulla di tutto ciò! Il vero e unico motivo della mia richiesta a papa Francesco di ripartire è stato sempre lo stesso: dedicare alla missione tutte le mie energie che, nonostante l’età – grazie a Dio – sono buone e posso fare ancora tanto bene».
Di fronte a questa scelta coraggiosa si impone una riflessione: quanti sono i missionari e le missionarie appartenenti a ordini e a istituti religiosi – oltre ai fidei donum – che, rientrati in Italia dopo un’esperienza di missione ad gentes, trascorso qualche anno di lavoro pastorale nelle proprie diocesi, scalpitano per ripartire? Aver portato avanti per anni – magari per decenni – nei Paesi così detti “di missione”, delle responsabilità di primo piano o essere stati parroci di comunità numerose (talvolta di migliaia di persone), di aver partecipato a cammini di liberazione di interi popoli, di aver magari contribuito a stendere documenti profetici e aver preso decisioni importanti insieme alla “propria” gente, il rientro in Italia per vivere (nella maggioranza dei casi) un quieto e tranquillo ritmo pastorale è visto da molti come un’autentica resa ad una vita “borghese” poco attenta al versante missionario.
Da qui la pressante richiesta ai propri superiori di ritornare in “prima linea”.
Come si vede, la decisione di mons. Todisco s’inserisce nel solco delle domande che un numero consistente di missionari continua a rivolgere ai propri superiori di poter ritornare in missione. L’auspicio che noi facciamo è che questa strada, sull’esempio di mons. Todisco, sia percorsa – nei limiti del possibile – da un numero sempre crescente di missionari rientrati.