Un convegno celebrativo si è svolto in Vaticano dal 29 gennaio al 2 febbraio, a conclusione del’Anno dedicato alla Vita consacrata. Significativi i numeri della partecipazione: 4.000 i religiosi e le religiose convenuti a Roma; oltre 2.000 presso la Pontificia Università Lateranense, oltre 400 degli Istituti Secolari riuniti presso l’Istituto Augustinianum; 600 le Vergini Consacrate (Ordo Virginum) presso la Pontificia Università Antonianum, 345 le contemplative riunite all’Università Urbaniana; infine 135 i rappresentanti delle Nuove Forme di vita consacrata.
Mostrare la visibilità
Un evento di tale portata era stato pensato come un modo per mostrare la visibilità dei religiosi e delle religiose nella Chiesa. Una presenza importante. Di profezia ha parlato il cardinale Braz De Aviz, Prefetto della Congregazione, nell’indirizzo di saluto al Papa l’ 1 febbraio, indicando i punti che in quest’anno si è cercato maggiormente di vivere: «la gioia della nostra consacrazione, la profezia per ‘svegliare il mondo’, l’essere ‘esperti di comunione’, l’andare nelle periferie esistenziali, dove molti di noi già da tempo consumano la loro vita in favore dei rifugiati, dei poveri, degli esclusi, dei malati, dei bambini, dei giovani e degli anziani. «Quest’anno della Vita consacrata ci invita a tornare al primo amore – ha ribadito in un altro momento il cardinale Braz de Aviz – e non siamo fatti per le strutture né per le opere, anche se sono importanti ma non sono fondamentali. (…) E se dobbiamo lasciare andare qualcosa, questo non è per diminuire la nostra capacità di essere appassionati ma per aumentarla». E rivolto alle vergini consacrate: «vivete la consacrazione come testimonianza del vostro Battesimo, tra la gente, ognuna nel suo lavoro, nel dialogo, con la vita. La verginità è esperienza di libertà». Mons. Carballo rivolgendosi alle Nuove Forme di Vita consacrata ha sottolineato l’importanza dell’ecclesiologia di comunione: «Se tutti i carismi provengono dallo stesso e unico Spirito, allora, parlando in maniera oggettiva, non c’è un carisma che sia migliore di un altro. Tutti sono belli, tutti sono importanti, tutti sono necessari, tutti ugualmente degni. Ciò non impedisce che per ciascuno di noi il carisma al quale siamo stati chiamati sia, soggettivamente parlando, il migliore». Suor Nicla Spezzati, Sottosegretario della Congregazione, ha invitato a non avere paura. «Abbiamo paura della complessità del nostro tempo. Per noi invece è il tempo della grazia, dove Dio sta operando. Il nostro è un tempo complesso, è il tempo della problematicità di cammini, di recuperi, d’apertura in cui uomo e donna anche se frammentati sono capaci di progettazione possibile». «Non è tempo di esploratori solitari, è tempo di cordate e comunione«. Tra gli altri interventi padre Theobald, gesuita, ha chiarito che i consacrati devono seguire, ascoltare, incontrare l’altro per guardare al futuro con lo sguardo profetico di chi osserva l’opera dello Spirito Santo che continuamente crea e arricchisce la Chiesa di nuovi carismi. L’invito a vivere lo stile di vita contemplativo di Gesù è arrivato dalle relazioni di Maria Grazia Angelini, benedettina, e Miguel Marquez Calle, carmelitano scalzo. La contemplazione non astrae dal mondo, ma inserisce vitalmente in esso: «Dio vive e opera nel mondo, ha notato la Angelini. E ci pone nella situazione originaria di contemplare. Non un’attività, non uno stato di vita, ma uno stile che splende nell’atto: la forma unificante del credere».
Dall’astratto ai problemi
Il convegno ha avuto un intento celebrativo, per confermare religiose e religiosi nella loro vocazione e nel loro cammino. Allo stesso tempo nei vari interventi ufficiali è stata ribadita la visione che ha la Congregazione vaticana: più testimonianza, meno strutture; più ecclesiologia di comunione, meno fai-da-te. Era del resto inevitabile andare per ampie sintesi, a causa del grande numero di partecipanti e delle differenze specifiche tra le forme di Vita consacrata. Ad unificare le diverse tematiche ci ha pensato papa Francesco soprattutto nel discorso in Aula Paolo VI lunedì 1 febbraio. Un discorso svolto interamente a braccio che ha suscitato moltissimi applausi e un grande coinvolgimento da parte della platea. Il Papa ha toccato aspetti concretissimi. Non ha potuto indicare le soluzioni in quanto non era suo compito. Ma neanche i lavori del convegno celebrativo avevano tale compito. E così gli interrogativi sono rimasti tali. Papa Francesco è partito dai tre «pilastri» della Vita consacrata: profezia, prossimità, speranza.
Profezia
Papa Francesco: «Religiosi e religiose, cioè uomini e donne consacrati al servizio del Signore che esercitano nella Chiesa questa strada di una povertà forte, di un amore casto che li porta ad una paternità e ad una maternità spirituale per tutta la Chiesa, un’obbedienza… Ma in questa obbedienza ci manca sempre qualcosa, perché la perfetta obbedienza è quella del Figlio di Dio, che si è annientato, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla morte di Croce. Ma ci sono tra voi uomini e donne che vivono un’obbedienza forte, un’obbedienza… – non militare, no, questo no; quella è disciplina, un’altra cosa – un’obbedienza di donazione del cuore. E questo è profezia. “Ma tu non hai voglia di fare qualcosa, quell’altra?…” – “Sì, ma secondo le regole devo fare questo, questo e questo. E secondo le disposizioni questo, questo e questo. E se non vedo chiaro qualcosa, parlo con il superiore, con la superiora, e, dopo il dialogo, obbedisco”. Questa è la profezia, contro il seme dell’anarchia, che semina il diavolo. “Tu che fai?” – “Io faccio quello che mi piace”. L’anarchia della volontà è figlia del demonio, non è figlia di Dio. Il Figlio di Dio non è stato anarchico, non ha chiamato i suoi a fare una forza di resistenza contro i suoi nemici; Lui stesso lo ha detto a Pilato: “Se io fossi un re di questo mondo avrei chiamato i miei soldati per difendermi”. Ma Lui ha fatto l’obbedienza del Padre. Ha chiesto soltanto: “Padre, per favore, no, questo calice no… Ma si faccia quello che Tu vuoi”. Quando voi accettate per obbedienza una cosa, che forse tante volte non ci piace… [fa il gesto di ingoiare] …si deve ingoiare quell’obbedienza, ma si fa. Dunque, la profezia. La profezia è dire alla gente che c’è una strada di felicità, di grandezza, una strada che ti riempie di gioia, che è proprio la strada di Gesù. È la strada di essere vicino a Gesù».
Prossimità
Papa Francesco: «Uomini e donne consacrate, ma non per allontanarmi dalla gente e avere tutte le comodità, no, per avvicinarmi e capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, i problemi, le tante cose che si capiscono soltanto se un uomo e una donna consacrati diventano prossimo: nella prossimità. “Ma, Padre, io sono una suora di clausura, cosa devo fare?”. Pensate a santa Teresa del Bambin Gesù, patrona delle missioni, che con il suo cuore ardente era prossima, e le lettere che riceveva dai missionari la facevano più prossima alla gente. Prossimità. Diventare consacrati non significa salire uno, due, tre scalini nella società. È vero, tante volte sentiamo i genitori: “Sa Padre, io ho una figlia suora, io ho un figlio frate!”. E lo dicono con orgoglio. Ed è vero! È una soddisfazione per i genitori avere i figli consacrati, questo è vero. Ma per i consacrati non è uno status di vita che mi fa guardare gli altri così [con distacco]. La Vita consacrata mi deve portare alla vicinanza con la gente: vicinanza fisica, spirituale, conoscere la gente. “Ah sì Padre, nella mia comunità la superiora ci ha dato il permesso di uscire, andare nei quartieri poveri con la gente… “ – “E nella tua comunità, ci sono suore anziane?” – “Sì, sì… C’è l’infermeria, al terzo piano” – “E quante volte al giorno tu vai a trovare le tue suore, le anziane, che possono essere tua mamma o tua nonna?” – “Ma, sa Padre, io sono molto impegnata nel lavoro e non ce la faccio ad andare…”. Prossimità! Qual è il primo prossimo di un consacrato o di una consacrata? Il fratello o la sorella della comunità. Questo è il vostro primo prossimo. E anche una prossimità carina, buona, con amore. Io so che nelle vostre comunità mai si chiacchiera, mai, mai… Un modo di allontanarsi chiacchiere. Sentite bene: non le chiacchiere, il terrorismo delle chiacchiere. Perché chi chiacchiera è un terrorista. È un terrorista dentro la propria comunità, perché butta come una bomba la parola contro questo, contro quello, e poi se va tranquillo. Distrugge! Chi fa questo distrugge, come una bomba, e lui si allontana».
Speranza
Papa Francesco: «A me costa tanto quando vedo il calo delle vocazioni, quando ricevo i vescovi e domando loro: “Quanti seminaristi avete?” – “4, 5…”. Quando voi, nelle vostre comunità religiose – maschili o femminili – avete un novizio, una novizia, due… e la comunità invecchia, invecchia…. Quando ci sono monasteri, grandi monasteri, che sono portati avanti da 4 o 5 suore vecchiette, fino alla fine, a me questo fa venire una tentazione che va contro la speranza: “Ma, Signore, cosa succede? Perché il ventre della Vita consacrata diventa tanto sterile?”. Alcune congregazioni fanno l’esperimento della “inseminazione artificiale”. Che cosa fanno? Accolgono…: “Ma sì, vieni, vieni, vieni…”. E poi i problemi che ci sono lì dentro… No. Si deve accogliere con serietà! Si deve discernere bene se questa è una vera vocazione e aiutarla a crescere. E credo che contro la tentazione di perdere la speranza, che ci dà questa sterilità, dobbiamo pregare di più. E pregare senza stancarci». Infine il Papa ha avuto una parola speciale per il ruolo delle religiose. «Cosa sarebbe la Chiesa se non ci fossero le suore? Questo l’ho detto una volta: quando tu vai in ospedale, nei collegi, nelle parrocchie, nei quartieri, nelle missioni, uomini e donne che hanno dato la loro vita».
Le religiose
Nello stesso giorno 1 febbraio L’Osservatore Romano ha pubblicato un’ampia intervista con suor Carmen Sammut, delle Missionarie di Nostra Signora d’Africa, presidente dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (Uisg). Oltre a parlare della sua vocazione e dell’impegno missionario, suor Sammut ha affrontato alcuni snodi concreti relativi al ruolo delle suore nella Chiesa. E una lettura dell’intervista illumina in controluce l’intento celebrativo del convegno. «Le religiose – nota suor Sammut – sono quasi i tre quarti dei religiosi ma sono invisibili, è come se non ci fossero nella Chiesa. Proprio per questo abbiamo avviato nuovi progetti per farci conoscere e per condividere meglio i progetti tra di noi e con gli altri. Innanzitutto, un rinnovamento della nostra immagine verso l’esterno, con facebook, un sito nuovo: siamo consapevoli di dover rinnovare la comunicazione. Questa attenzione alla comunicazione si affianca agli obiettivi tradizionali: riconoscerci come organizzazione a carattere profetico, risvegliare l’aiuto reciproco, dare un contributo alla vita religiosa». Tra le iniziative ha citato la creazione di una «rete fra tutte le esperte di diritto canonico nel mondo: non sono molte e sono isolate. È importante collegarsi, offrirsi reciprocamente consulenza, stimolare l’aumento delle esperte su questo tema. (…) È molto importante che ne diventiamo consapevoli e che, in caso di necessità, impariamo a usare anche gli strumenti legislativi». Infine l’annuncio di un vero e proprio programma di lavoro. «La prossima tappa è quella di uscire dal nostro isolamento e di diventare voce riconosciuta e ascoltata all’interno della Chiesa. In fondo le istituzioni di religiose, come l’Uisg, ci sono già: basterebbe dare loro un compito, farle partecipare ai momenti in cui si decide il futuro della Chiesa. Di quella Chiesa che anche noi, e non in piccola parte, contribuiamo a far vivere e crescere».