Presso la sede dell’Università La Salle di Bogotà sono iniziati i lavori del IV Congresso della vita religiosa in America Latina e nei Caraibi. Più di 400 i partecipanti in presenza provenienti dalle Americhe, a cui si devono aggiungere anche le 3.000 persone collegate online. Insieme per discernere la cultura della cura basata su sette “C” di un’unica opzione: Cura, Creazione, Compassione, Comunità, Contemplazione, Comunicazione e Celebrazione.
Al Congresso ha preso parte anche la vita religiosa degli Stati Uniti e del Canada. In rappresentanza, suor Carol Zinn, segretaria esecutiva della LCWR (Leadership Conference of Women Religious of the United States), ha espresso la sua vicinanza alle religioni dell’America Latina e dei Caraibi: “Sentiamo una grande unità con voi, e questo ci rende molto felici”. Ha sottolineato che la contemplazione “tocca il cuore di noi della vita consacrata”, ed è per questo che quando “il papa parla della vita religiosa sottolinea che ci deve essere sempre la gioia, perché dove ci sono i religiosi deve prevalere la gioia. È la gioia del servizio degli uomini e delle donne di Alba, che aiuta a superare gli ostacoli nelle sfide e nelle tenebre, fiduciosi ai piedi della croce, e convinte che la risurrezione verrà, la vita vincerà”.
Suor Liliana Franco, presidente della CLAR (Conferenza Latinoamericana delle Religiose), ha ringraziato le oltre 3.500 partecipanti per “la loro presenza fisica e virtuale” quale “testimonianza della loro scelta di attenzione”.
Centrale è la gioia del Vangelo, soprattutto quando “ci sono strutture che soffocano”. Poiché non si mette le persone al centro, nasce un forte senso di fallimento, che scoraggia, e forme di vita che non custodiscono e tolgono libertà e flessibilità.
L’arte di prendersi cura nasce “riconoscendo che l’altro esiste e che la sua vita è importante. La frontiera in cui è possibile essere disposti a prendersi cura è il punto nel quale si spengono gli atteggiamenti egocentrici, l’autoreferenzialità e l’individualismo spicciolo. Solo lì è possibile una movimento e una formazione autonoma”.
Per suor Liliana la vita religiosa deve “convalidare l’esistenza dell’altro, riconoscendone le possibilità e le carenze, e condividendo il cammino e il destino – ne soffre il dolore e ne celebra la gioia, sapendo che in questo modo si cammina verso una stessa storia e una condivisione di destino”.
Pertanto, le persone consacrate hanno come orizzonte la cura della dignità umana e del bene comune così che “ispirino, animino e orientino la consacrazione” – il che significa “affrontare la vita con un cuore di misericordia. La compassione non può essere un’appendice derivante dalla sensibilità, ma deve essere una conseguenza delle scelte. Della nostra scelta di seguire Gesù e di lavorare per il Regno”.
Teresa, messicana, che fa parte della Congregazione delle Suore della Carità del Verbo Incarnato dal 1994, e ha una vasta esperienza ministeriale nel campo dell’educazione, ha affrontato il tema “La comunità nella sua dimensione relazionale” ponendo la domanda: “Di cosa dobbiamo occuparci per rendere possibile l’arte di essere sorelle e fratelli?”. Così ha descritto le sfide per i religiosi e le religiose: riscaldamento globale, problemi sociali, violenza, migrazioni, rifugiati e guerre. “E se siamo onesti, ci dobbiamo chiedere se non stiamo forse andando verso la fine del mondo”. La suora messicana ha parlato di un mondo “assalito dai dubbi”. Per questo ha citato l’immagine del Colosso, opera dello spagnolo Francisco de Goya: “In questo dipinto vi è un’umanità che fugge terrorizzata”. Affiancando poi a questa immagine il passo evangelico di Marco 4,40: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”.
E ha affermato: “Come vita consacrata, è importante porci questa domanda: Qual è la tua storia con la paura? Ad esempio quando i migranti arrivano alle nostre frontiere. Quale architettura di cura offriamo? Forse una disegnata dalla struttura della paura? Dobbiamo riconoscere che alcuni fratelli e sorelle hanno paura del futuro, ed è proprio qui che dobbiamo praticare l’arte della cultura della cura”.
Pertanto, “la chiamata a essere artigiani della cura implica la perdita della paura. La parola di Dio risuona nel nostro tempo come un mandato, non come una raccomandazione. Uno dei doni più importanti che offriamo al processo sinodale è la decennale collaborazione dei nostri apostolati con i laici”.
Sullo sfondo dei lavori promossi dalla CLAR di questi giorni, come dehoniani, siamo anche invitati a rivedere e rivisitare la nostra unione oblativa con Gesù, la nostra vita comunitaria e il nostro stile di comunicazione, per essere uomini dal cuore compassionevole e comunicatori dell’Amore di Dio nella nostra umanità di oggi.