«Se non fossi così scandalosamente felice di essere donna, vorrei essere un sacerdote per essere spalla, petto per tutti. Solo il Signore può mettere dentro questa aspirazione in una persona così fragile, così proclive a posare il capo più che a sostenere quello di un altro… Devo essere meno impari alla mia vocazione di donna. La donna è sempre in atto di dare la vita e di custodirla. Noi siamo salvate – umanizzate, completate – dalla maternità. Essa può essere a volte una felicità che lacera, un’ebbrezza che ferisce. Ma per la vita, la sua accoglienza, la sua cura, la sua conservazione. E, infine, la sua consegna o meglio restituzione». È un passaggio che la monaca Emanuela Ghini affida al suo Diario nel 1960, quando ormai la sua scelta di vita è stabile e definitiva.
Il Diario, tuttavia, comincia prima, nel 1950, quando ancora era adolescente. Appunti quotidiani di varia lunghezza e stile, divisi in due parti: la prima dal 1950 al 1951; la seconda dal 1958 al 1961.
Alla giovinetta carica di poesia, attenzioni letterarie e ricerca di senso, affascinata dai luoghi che visita (come Londra) e dai ricordi di infanzia, succede una donna consapevole della sua scelta e di quella degli amici.
«Richiamiamo a uno a uno alcuni amici che, in questi pochi anni, hanno percorso in modi decisivi, le strade intraprese, gli amori consolidati, le nuove famiglie sorte, le vite nuove. Tutti ci siamo “sposati”, abbiamo orientato le nostre esistenze con fermezza verso la meta che sentivamo nostra. Ma l’origine, l’orientamento iniziale, non nostro, è rimasto e si è rivelato per ognuno di noi fonte di gratitudine. Anche in vite provate da drammi, percosse da tempeste» (febbraio 1960).
Segni dei tempi e povertà
Una scelta di vita monastica che si arricchisce di nomi e di riferimenti classici della sua storia: da Diogneto ad Agostino, da Cabasilas a Teofilo, da Cirillo a Errem. Un patrimonio spirituale che viene elaborato in base al proprio percorso di ricerca che incrocia Moretti-Costanzi (con cui si laurea), assieme a Rosmini, Hopkins, Bonoeffer, Kierkegaard, Freud…
Così nasce una preghiera ritmata dal deposito della tradizione, dalla Scrittura e dai salmi, ma anche dal resto della vita, compresi gli appunti che sono «un modo diverso e lontano dalla preghiera, di rivolgermi a Te, di riportarti anche attraverso il balbettio impotente della parola qualche briciola di quanto Tu mi dai ogni momento» (gennaio 1959).
Pochi ma efficaci i richiami storici, come i bombardamenti della guerra («immensa, inesplicabile paura») e, soprattutto, quelli legati alla vita ecclesiale. Come la nota per la morte di Pio XII e l’avvio del magistero di Giovanni XXXIII: il primo tanto amato e seguito «ma io non ne ero coinvolta»; il secondo che «ha l’aspetto paterno, semplice e buono di un parroco. Non mi ispira la soggezione di Pio XII, ma un insieme di sentimenti inesprimibile».
L’elemento più sottolineato è l’annuncio del Concilio e l’attesa per due attenzioni che risulteranno centrali: la dottrina dei “segni dei tempi” e l’esigenza della povertà evangelica.
La scelta monastica la pone all’incrocio di molti e molte che cercano discernimento e consolazione (divisioni familiari, tentati suicidi), di sofferenze nella Chiesa (isolamenti pesanti), di qualche tensione comunitaria.
Alla fine, c’è un filo rosso che attraversa tutte le stagioni, dalla ragazzina dodicenne, la sua immensa attesa «colma di una presenza» ancora senza nome, fino alla cella monastica, un «piccolo spazio ritagliato fra terra e cielo, custodito dall’Amore e da esso spalancato all’umanità».
- EMMANUELA GHINI, Diario di una novizia, San Paolo, Cinisello B. (Milano 2024), pp. 192, € 16,00.