Avere frequentato per tanti anni Bose, avere conosciuto, per quanto possibile, Enzo Bianchi e Luciano Manicardi, da una parte, ma anche Amedeo Cencini, dall’altra, mi hanno portato in questi mesi a leggere con non pochi punti interrogativi tante cose scritte in merito al doloroso tempo che la Comunità monastica sta vivendo.
E ho messo a confronto quello che accade in Piemonte con la comunità in cui vivo, quella di dodici presbiteri che, proprio da Bose, hanno ricevuto un grande incoraggiamento e tanta simpatia per più di vent’anni.
Riduzionismi
Sento il desiderio di “difendere” la complessità di un’esperienza da letture che – a mio avviso – sono troppo unilaterali e credo che questo sguardo articolato debba essere preservato ogni volta che si ha a che fare con la vita umana, comunitaria o singolare. Forse lo sguardo sfaccettato risulta più difficile a chi ha minore esperienza di questo tipo di vita: occorre allora scegliere se astenersi dal sentenziare o entrare rispettandone la complessità.
Metto così in evidenza alcuni “riduzionismi” nei quali occorrerebbe non cadere per meglio cogliere quanto sta avvenendo, cioè un’avventura di fratelli e sorelle: umana, fragile e fallibile; ma anche straordinaria ed eccezionale.
Non solo storia
Una comunità ha la sua storia fatta di primi passi, timidi e spesso solitari o, tutt’al più, in piccoli gruppi; seguono poi l’entusiasmo e la fondazione, con la prima luna di miele; poi la crescita (con alti e bassi), la maturità e non si può non mettere in conto la possibilità della vecchiaia e della morte. Il passato è imprescindibile, perché non esiste né un presente né un futuro senza ciò che si è seminato.
Ma la logica è quella dell’eredità, del talento da trafficare più che del museo da conservare (questa immagine è offerta da papa Francesco). Il ritorno alle origini è come l’illusione di poter tornare alla nostra infanzia: non solo non è possibile ma, nel frattempo, si sono aggiunte nuove persone e nuove responsabilità (figli? debiti? professioni?) che non possono essere cancellate con un colpo di spugna.
Quello che siamo oggi proviene da ciò che siamo stati ieri e, nello stesso tempo, non è la replica consunta di quanto abbiamo vissuto: l’oggi pone delle domande e presenta delle esigenze che non si possono trascurare e che non erano prevedibili agli inizi. Si diventa adulti e anche anziani: il ritratto di una comunità non è la foto appesa il giorno in cui si è inaugurata una nuova casa o una chiesa, perché, nel frattempo, sono entrate persone che allora non c’erano e altre si preparano a lasciare oppure l’hanno già fatto.
Non siamo gli stessi di una volta e, a quelli che ci hanno conosciuto così e che ci rimproverano di essere cambiati, dobbiamo rispondere con un esercizio di coscienza serio per riconoscere ciò che abbiamo tradito e ciò che invece necessariamente non può più essere come allora.
Ma è inutile farsi archeologi o storiografi per rintracciare l’autenticità di “come sono andate davvero le cose”: quali cose? Una comunità è tante cose e, se non la frequenti per un po’, ne perdi molti pezzi perché non la vivi più da dentro…
Non solo carisma (della comunità e del fondatore)
Se inizia qualcosa di nuovo, significa che ce n’era bisogno e che qualcuno ci ha creduto più di altri. Nel mondo sono in realtà tantissime le persone coraggiose e fantasiose: una cosa nuova nasce per l’intuizione di qualcuno ma più ancora per la volontà di spenderci la propria vita. Una persona così è un visionario o – se vogliamo – un profeta: ha riconosciuto i bisogni del suo tempo e ha intravvisto qualcosa che ancora non c’era. Altri si sono poi aggregati e hanno reso possibile quello che un solitario non avrebbe potuto fare.
Ma è chiaro che la “paternità”, quella che va scritta all’anagrafe, sarà una sola. Poi diventa famiglia, nella quale tutti hanno il loro valore e la loro importanza. Nessuno può sostituirsi e nessuno può rifondare quello che è stato fondato una volta per tutte: è come il battesimo, lo si celebra una volta sola.
Poi, però, c’è la vita cristiana a venire, c’è la famiglia che arricchisce quell’intuizione originaria, che sarà mantenuta nella sua purezza solo se sarà modificata. Perché fedeltà alla tradizione significa anche coraggio dell’innovazione. Le aziende di famiglia sopravvivono se i discendenti hanno fantasia imprenditoriale; altrimenti tramontano.
Il carisma (e il carismatico) non può rimanere singolare, altrimenti è proprio lì che muore; il carisma è stata un’intuizione visionaria che rispondeva a un’epoca e, se oggi il tempo è cambiato, il visionario aiuterà altri ad esserlo perché i tempi cambieranno ancora, più e più volte.
Non solo regole
Per vivere assieme bisogna darsi degli orari: di alzata, di pranzo e cena, di preghiera… Vanno concordati e, mano a mano, si trova un’intesa anche su altri aspetti della vita insieme. Ma soprattutto si fissano i capisaldi, quelle consuetudini che si fanno “regola” e che magari un giorno vengono fissate sulla carta, nero su bianco.
Le regole servono soprattutto all’interno: tante di esse ad occhi profani appariranno come assurde, illogiche, fuori dal tempo e dal mondo, ma funzionano bene lì.
Molte regole poi non sono scritte e si impongono per ripetizione: non è detto che siano state scelte, ma le si è assorbite come gli odori che impregnano i vestiti. È vero che possono correre il rischio di farsi assurde e non di rado c’è chi, dall’esterno, vorrebbe che venissero esplicitate, pubblicate.
“Dobbiamo tutti sapere”: che cosa? Non sappiamo di tante famiglie come i soldi passano di mano in mano o cosa succede nei tempi personali: e va bene così. E, anche se le regole fossero esplicitate, chi riuscirebbe a farsi “censore” obiettivo? Ci sono dei diritti inviolabili delle persone, che il Vangelo, prima delle Nazioni Unite, ha riconosciuto. Questi sono importanti e questi vanno garantiti costi quello che costi; su tutto il resto, non dimentichiamo che ogni realtà trova un proprio equilibrio.
Ma le regole si fanno anche gabbia, briglia, quando non sono più sostenute dallo spirito fondativo; e poi le regole servono – purtroppo – agli “altri” (interni o esterni alla comunità) che non vedono l’ora di trovare le inevitabili contraddizioni tra il dire e il fare. Regole senza contesto sono come inchiostro su una lavagna: illeggibile.
Non solo relazioni e psicologia
Una comunità è tenuta insieme da una rete di affetti non meno che da un luogo fisico. Anzi, probabilmente è più vero il contrario: ci sono condomini (luoghi) nei quali neppure ci si conosce e comunità (affetti) che vivono in diaspora senza sciogliersi.
Gli affetti che scorrono dentro una comunità sono il suo colore: esistono comunità grigie, comunità scolorite e comunità “cacocromatiche” ossia male assortite.
La psiche diventa lo spazio in cui si traducono le grandi intuizioni e le relazioni possono fare davvero tanto, ma non saranno mai il tutto di una comunità che si fonda su una profezia. Qualcuno sarà anche arrivato all’interno di una comunità a rimorchio di altri; personalità dipendenti ne esistono sulla faccia della terra… Ma una comunità di persone a rimorchio o dipendenti non potrà mai stare in piedi.
Non sono le relazioni a tenere su una comunità, né è il loro deteriorarsi per presunti complessi edipici (davanti ai quali molta psicologia contemporanea sorride) a farla cadere.
Non sono così illuso da non sapere che esistono “assunti di base” che tengono assieme le persone anche quando lo scopo si è perduto. Ma questo è più facile nelle folle che nelle comunità di vita. La vita comunitaria è troppo impegnativa da pensare che l’appagamento psichico sia sufficiente per portarla avanti. Potrà anche essere la pigrizia o la paura a cementarla, ma una comunità viva è tale perché ha dello spirito, che attinge allo Spirito. A qualcuno Bose sembra una comunità morta?
Non solo politica
Una comunità non è mai disincarnata: nasce in macrosistemi che la includono e che spesso ne hanno determinato il suo sorgere. Non avremmo avuto una Riforma, il Vaticano II, il Sessantotto, ma nemmeno certi partiti politici senza un grembo sociale di un certo tipo. Ogni ideologia ha i suoi punti di riferimento, i suoi filoni, il suo impatto sulla società. Importa al proprio interno elementi vitali e veleni nocivi, si fa amici e sostenitori così come nemici e detrattori.
Se questo può valere per i grandi movimenti della storia, mutatis mutandis vale anche per le comunità. Se non si è banali, è inevitabile dividere (dunque scandalizzare).
Ma una comunità non sta in piedi solo grazie all’appoggio strategico di qualcuno “importante” né in virtù della sua collocazione geopolitica. Un’esperienza audace può attirare invidie altrui, persino calunnie: ma queste di solito rafforzano più che sgretolare. Il nemico più pericoloso è interno alla comunità più che esterno.
Osmosi
Una comunità non vive per uno solo di questi livelli, ma sulla capacità di passare da un livello all’altro, in un intreccio continuo, attenta a spostare il peso ora su un piede e ora sull’altro, a seconda di dove ci sia più bisogno. Salvo accorgersi che un livello rimanda sempre all’altro, perché i valori fanno presto a disincarnarsi dalle relazioni, l’attenzione all’esterno assorbire tutte le energie che servono all’interno, le norme a prevalere sulle intuizioni e le intuizioni a creare strappi interni.
La vita umana è complessa e così quella comunitaria, perché comunque composta da uomini. La salvezza non viene dai carri né dai cavalli, dice il Salmo: non dallo psicologo né dall’Abate illuminato che arriva in visita; non viene da statuti chiari e procedure definite; non viene dall’epurazione donatista delle mele marce e nemmeno da un mese di esercizi spirituali. Uno di questi sarà, tutt’al più, il punto di partenza: ma anche qui il gergo si fa scivoloso, perché sarebbe come parlare di ri-nascita in una storia di vita personale. Si nasce una volta sola e da lì la vita è un continuum che si sviluppa, con tappe, passaggi di vita, scelte decisive… Ma la vita rimane una sola.
Una comunità non si rifonda, non rinasce: ci sono adattamenti dovuti a cambiamenti interni o esterni. Il corpo umano si adatta a virus, cambi climatici, fratture: gli si può inoculare un vaccino, ma sarà comunque la sua risposta immunitaria a preservarlo dal virus. E gli anticorpi prodotti saranno diversi per numero e forse persino per tipologia, da persona a persona.
La salvezza viene da Dio: e la chiave della salvezza cristiana, da sempre, è la carne dell’uomo: dunque, tutta quella complessità che abbiamo sopra visto e che è, a sua volta, solo un’altra classificazione semplificatoria e perfettibile.
Integrare, fare osmosi nella sequela del Cristo, vale per ogni cristiano a qualunque vocazione egli appartenga. Bisogna fare tanta Lectio divina che sia lectio humana (come dice il titolo di un vecchio volume): un cristiano che legga Il nome della rosa soffre nel sentire religiosi darsi mazzate usando come clava la Scrittura… Ma ci vuole anche una bella dose di perdono, perché gli angeli stanno principalmente in cielo e, se scendono in terra, lo fanno solo per un breve periodo, altrimenti ne rimarrebbero contaminati. Se la croce di Cristo non ha sradicato il peccato dalla terra, non lo potrà fare neppure la più perfetta delle Regole o delle Costituzioni.
Questa divina umanità rifluisce anche su una tavola e magari su qualcosa di buono lì condiviso; nella cura di un albero da contemplare nelle diverse stagioni; nella visione di un bel museo o di un bel film.
Ma i corpi si deteriorano e anche le menti: i neuroni cominciano a morire molto presto e le articolazioni seguono la stessa via, perdendo progressivamentela loro funzionalità. La vita professionale, la bellezza del lavoro… lasciano un giorno il posto alla pensione e ad un senso di inutilità che non è facile da sopportare né in chi lo vive in prima persona né in chi è accanto. Eppure ci sono tramonti meravigliosi che contempleremmo all’infinito: peccato che il sole passi dall’altra parte e segua la notte.
Poi c’è tutto l’intreccio di giudizi e sentimenti, ammirazione e invidia, compassione e disprezzo. Gli possiamo dare il nome di affetti oppure mozioni, senza disgiungerle troppo dal modo in cui guardiamo l’altro e dai pensieri che ne ricaviamo. In quel mondo entra certamente la “maturità umana”, che però non è un dato acquisito o uno status di partenza ma sempre un divenire, un continuo adattamento degli uni agli altri e di cuore e mente alla realtà e al Vangelo.
Per quali ragioni cambia il nostro modo di guardare l’altro? Non credo che dipenda in modo esclusivo dalla storia o dal carisma, dalle relazioni o dalla politica, dai peccati personali o comunitari.
Quando siamo partiti, avevamo uno sguardo benevolo sull’altro: vero, magari all’inizio era favorito dall’idealizzazione, ma non possiamo dimenticarci che era comunque uno sguardo benevolo. Il rischio è che nel tempo si sia fatto torvo: forse per poca fede o per invidia, forse per non più giovinezza o per qualcosa di altro…
Come si fa a ritrovare questo sguardo limpido? Non lo so, ma nessuno mi toglie l’idea cementata dall’esperienza che il cuore stia lì.
E poi vado a prendere in prestito quello che scrive uno che l’ha vissuto più di me:
«Colui che non ama non conosce la sofferenza della separazione, la sofferenza inflittagli dalla Chiesa che egli ama. Dal mondo, che pure egli sa animato dallo Spirito. In che cosa consiste la terza croce? Consiste nel continuare o nell’imparare ancora una volta ad aprire le braccia proprio là dove la vita ci ferisce. Di fronte al lutto, alla separazione, all’incomprensione, al tradimento, all’ingiustizia, la tendenza spontanea consiste nel richiudersi, ripiegarsi su se stessi, sulla propria solitudine o sofferenza. È molto comprensibile! Ma il grande rischio è di inasprirsi, nutrire del risentimento, inaridirsi, contraddire gli impegni assunti e… fuggire. È possibile invece un’altra via».[1]
La frase proseguirebbe, ma non è il caso di banalizzarla senza avere letto per intero il testo.
[1] C. Salenson, Pregare nella tempesta, Qiqajon, Magnano 2008, 39-40.
Cari tutti, comunque la pensiate, dobbiamo prendere atto che da nessuna delle parti coinvolte sono giunte parole di verità.
Non bisogna dividersi in opposte fazioni, bisogna unirsi nel pretendere che siano rese pubbliche le vere ragioni dell’accaduto.
Se vogliono testimoniare il vangelo, occorre che si riconcilino nella verità.
Li aspettiamo.
Caro Don Luca, ti ricordavo come una persona dotata di particolare acume e sensibilità e sono lieto di ritrovarlo ottimamente manifestato in questa riflessione, che fa onore anche a «Settimana News» che ha avuto l’intelligenza di pubblicarla. Grazie perché hai offerto degli spunti di riflessione per me molto interessanti, che non ho ritrovato invece in tanti altri articoli e post usciti negli ultimi mesi (e nell’ultima settimana). Grazie anche perché sei uscito dal binario di chi, non so bene a che titolo (se non quello di chi ha solo la premura di ricercare una propria visibilità e appagare il proprio ego), o da un lato ha legittimato ciò che è accaduto negli scorsi mesi per il solo fatto che è accaduto, oppure persevera a intimare alla comunità di Bose, al priore o all’ex priore di dire «finalmente» come stavano o stanno le cose. Mi è sempre parsa, quest’ultima, una pretesa illegittima da parte di coloro che non hanno fatto della regola di Bose la loro regola di vita (non mi pare che essere dei frequentatori di Bose o degli estimatori o amici più o meno intimi di qualche fratello/sorella costituisca un titolo sufficiente per poter esigere perentoriamente delle risposte o per diventare giudici di cassazione di ciò che sta accadendo). Credo invece che siano coloro che invece hanno fatto questa scelta – e in primis Enzo Bianchi, che questa regola segue da oltre mezzo secolo – che competa, se lo crederanno necessario per un bene più grande, scegliere tempi e modi in cui esprimersi sul passato, sul presente e sul futuro dei cristiani di Bose. Grazie perché ha evitato di fare da cassa di risonanza a chicchessia e perché, almeno a me, hai offerto degli spunti di riflessione importanti su cosa implichi la vita comunitaria, tanto più quando essa è sorta da un carisma: sulle grazie che offre e sui costi che, sempre, esige
Al netto di toni polemici e men che meno giudicanti – credo di non essere animato né dagli uni, né dagli altri – non capisco questa contestazione a chi ritiene che sia venuto il momento che ognuno degli interessati si esprima francamente e con pace sulla “vicenda Bose”. Preciso bene: personalmente non ho alcun prurito di “sapere” (mi bastano e mi avanzano i “guai miei” per occuparmi di quelli altrui), ma ritengo che tutta la vicenda abbia assunto connotazioni TROPPO PUBBLICHE per rimanere nel vago di accenni, allusioni, insinuazioni… Lo dico nell’interesse di tutti i coinvolti, in primo e pressoché esclusivo luogo.
Per carità: saranno proprio costoro i primi a tutelare il proprio interesse e sceglieranno le vie che riterranno più adeguate in tal senso.
Al momento, purtroppo, ciò che traspare all’esterno è uno “spettacolo” tristissimo in cui hanno già perso tutti: di sicuro in franchezza e credibilità. Per quanto mi riguarda poi (ma la cosa interessa meno che nessuno), il tema Bose è chiuso qui: se sta bene ai diretti interessati che le cose si manifestino o si celino in questo modo, sta bene a tutti, me per primo. Cordialmente.
Concordo ma aggiungo: non abbiamo forse diritto noi semplici spettatori a avere strumenti per capire? Non si tratta di curiosità magari un po’ maligna, della serie ‘pure loro che casino hanno fatto’, ma di rispetto per i tanti e tante che in vario modo hanno guardato a Bose come a un luogo di proposte nuove e stimolanti anche per i laici. Non abbiamo quindi noi il diritto di essere trattati da adulti senzienti, con il diritto e direi anche il dovere di farci una nostra opinione su basi serie? E non per giudicare i torti e le ragioni, ma per avvicinarci a ció che é accaduto e accade con conoscenza dei fatti. Perché questi fatti ci riguardano! Qua é in gioco, una volta di più, la considerazione che ha la Chiesa di noi popolo laico. Non siamo bambini, non trattateci come tali. Abbiate fiducia nelle nostre capacità di discernimento, carità e comprensione.
Quello che scrive Elisabetta è sicuramente corretto, giusto, ragionevole, quello però che mi lascia ancora quasi incredulo è che il tempo passato, ormai praticamente un anno, dalla divulgazione della sentenza della Segreteria di Stato ecc. non determini il discredito della linea difensiva del signor Bianchi da parte di autorevoli personaggi del giornalismo, della cosiddetta cultura, della psicoanalisi. Perchè dico addirittura il discredito, per esempio proprio a riguardo di uno di costoro corre voce che abbia intrapreso vie legali per esigere i diritti d’autore per la pubblicazione di registrazioni di suoi interventi fatti a Bose parecchi anni fa, certamente decisi all’epoca dal fondatore, ma ora la vendetta viaggia su ogni possibile binario! Il signor Bianchi scrive tweet velenosi e va bene così, c’è chi ancora si abbevera a tanta suadente scrittura, ma mi da veramente fastidio che certi personaggi vengano pubblicati nei loro testi da fotoromanzo come per esempio “salvate il soldato Bianchi” e tanti altri con titoli meno fantasiosi ma comunque acidi nei confronti di tutti perchè lui è l’unico innocente, calunniato mentre gli altri vivono di menzogne. Già tutto questo mi sembra più che sufficiente per smentire una difesa fatta di vittimismo, oppure almeno che certi grandi nomi dell’editoria prestino attenzione prima di pubblicare testi di parte. Tutto questo per dire a cosa serve ancora sapere? Non è sufficiente già il comportamento di quei protagonisti?
Continuano a venire pubblicati articoli ovunque in difesa del monaco-laico Bianchi, spudoratamente, con riferimenti indegni, vengono tacciati di sudditanza cattolica chi solamente si dichiara perplesso sul comportamento di quel signore e sulla veridicità di articolisti, anche SettimanaNews viene indicata colpevole di perseguire quel vecchio signore. Meno male che qualcuno mette invece in risalto quanto malevolo rumore viene orchestrato sui media da persone che mietono a mani basse a fonti da cui dovrebbero invece rifuggire. Nulla viene per caso evidentemente. L’autore di questo titolo ha frequentato Bose ma non cosa guardava? Il panorama curato, forse.
Beh mi pare che Bianchi abbia sostegno su molti giornali, almeno parimenti schierati e indirizzati. Non mi pare che nemmeno lui abbia mai indicato con chiarezza i termini della questione. Leggendo i suoi tweet e i suoi messaggi francamente non si possono avere le idee più chiare.
Il tutto a scapito dell’immagine della Chiesa; senza voler o poter parteggiare per nessuno, visti i protagonisti, lascia basiti la loro incapacità di trovare soluzioni in spirito cristiano.
E’ veramente questo che lascia basiti e scioccati: non sembrano cristiani! Il loro modo di agire, tutto il loro atteggiamento, non è cristiano. Eppure si dicono monaci cristiani. Quanto alle belle parole: il vostro parlare sia si si no no, il di più viene dal maligno. Qui di un “di più”, fumoso e vago, allusivo e ambiguo, ce’ne è a bizzeffe.
Nell’articolo del 18 u.s. di padre Semeraro mi a colpito un passaggio che ritengo significativo; egli dice verbatim: “Ciò che è stato evocato a tinte forti è proprio questo stato liminale della realtà di Bose, con un possibile fraintendimento tra laicità del monachesimo e impossibile secolarità di ogni forma di monachesimo anche non cristiano. La giusta desacralizzazione intuita e voluta dal Concilio Vaticano II non può essere confusa con la secolarizzazione”
Sempre senza voler giudicare forse a Bose si stavano perdendo o si erano persi i connotati essenziali del monachesimo.
Si è nella Chiesa e alla Chiesa si deve obbedire.
Cosa significa questo articolo? Cosa vuole dire? Puro politichese comprensibile solo per gli addetti ai lavori. Un dire allusivo che fa smarrire anziché ritrovare.
Mi dispiace
Salvatore
E’ sufficiente il titolo di questo articolo per renderlo subito insopportabile, come ormai sono incomprensibili le domande del perchè, del cosa è successo per un così drastico intervento della Santa Sede ecc ecc. Chi scrive qui e su vari altri blog a commento di articoli o riflessioni evidentemente ha seguito nel tempo qualcosa di Bose, che significa anche se non soprattutto aver seguito Enzo Bianchi, concetti, idee, aperture, successo mediatico di quel simpatico uomo dalla voce potente e dal fare ammiccante che ha preso la scena e al di là di una qualsivoglia vita monastica quella scena non la vuole perdere. Risponde addirittura in prima persona prendendo spunto dal vangelo, ho visto oggi un suo tweet in risposta allo scritto apparso su Avvenire firmato da persone amiche di Bose, che lui ha sempre vantato essere legate a lui fondatore, terminare con la frase “io non vi conosco”. Forse ormai crede di essere al di sopra di tutto e quindi simile comportamento merita solo il silenzio, anche se quotidiani cartacei o punto.it rilasciano pillole di veleno a cadenza regolare in questi giorni, che dovrebbero solo nuocere alla reputazione di chi continua a calpestare tutto e tutti, questo è lo stile che fortunatamente non è riuscito a tramandare a tutti i suoi fratelli. A morire non è Bose, a fare una povera figura sono quelli che vorrebbero questo.
Ho letto l’intervento di oggi di Luca Balugani. Un lunga scrittura senza dire e dirci qual è il problema reale della Comunità di Bose. Dopo aver invocato il Papa, la Segreteria di Stato e una apposita Commissione, è forse arrivato il momento di raccontare, in italiano, il nodo vissuto, Dall’esterno, con le notizie (compresi i comunicati) diffuse, si intuisce che la problematica reale è la successione del governo, ancora vivente il Fondatore.
Non è così rara la difficoltà. Anche in strutture non religiose, come la mia, si pone lo stesso problema. Ogni Fondatore si identifica talmente con la sua creatura, da considerarsi immortale. La sua vita, nonostante gli anni trascorrano inesorabili, è ferma all’età epica: da qui le ingerenze e il non rispetto dei successori. L’unica strada è quella di “sopportare” tale presenza e le presunte intuizioni (che non sono più tali). Chi ha a cuore la causa ed è stato designato come responsabile, continui nella strada segnata, senza tradire stili e obiettivi.
Ciò che disturba è l’eco diffusa di una vicenda che, sinceramente, è piccola, piccola. Esistono realtà ben più corpose che affrontano gli stessi problemi. Nel caso di Bose il contrasto tra il “dire sacro” (monastero, preghiere, vita eremitica …) appare ancor più forte perchè si tenta di nascondere una difficoltà (umana e comprensibile) ricorrendo alle vie di santità che sono ben altra cosa. Sempre nel dovuto rispetto e senza giudizi e pregiudizi della vicenda.
Vinicio Albanesi
Completamnete d’accordo con Mastrofini
Delicatezza, finezza, acume di questo testo sono evidenti e preziose. Ma chiedo: sono davvero utili a capire la vicenda Bose-Bianchi? Io temo di no: la loro vaghezza le rende più confusive che chiarificatrici. E allora perché scriverle?
Mi si potrebbe obiettare: cerca di leggere in controluce il testo, ravvisando nelle sue allusioni e prospettive alcune chiavi di lettura dei fatti in questione – chiavi di lettura formulate in modo indiretto, per salvaguardare la complessità delle vicende e degli intrecci, rispettando al tempo stesso la sensibilità di persone e gruppi.
Obietto ancora: ma davvero questo eventuale esercizio di “ermeneutica della finezza” aiuta a comprendere, o non finisce piuttosto – suo malgrado – per creare ancora più confusione, nebbia, vaghezza…? Insomma, si parla per aiutare a capire, o si parla per alludere senza dire, accennare senza esplicitare, evocare senza indicare…. con il risultato che si capisce ancora meno e siamo al punto di partenza?
Mi spiace e lo ribadisco: con tutto il can can comunicativo che ne è venuto fuori e in cui tutti i protagonisti – Cencini-Vaticano, Bose, Bianchi – di fatto si sono coinvolti con pubblici messaggi, è ora di finirla con allusioni, evocazioni, accenni… Se si vuole rendere giustizia al vero, ognuno esponga francamente le sue ragioni e prenda i suoi provvedimenti. O tutte le parti espongono francamente e pubblicamente il merito delle vicende, o si astengono da qualunque pubblico pronunciamento. Se non si ha la volontà della franca chiarezza – e non si è obbligati ad averla – si abbia almeno il coraggio di tacere. Perché dire-senza-dire – al punto in cui stanno oggi le cose – non aiuta sinceramente nessuno, pur con tutte le migliori intenzioni.
Concordo. O si abbia il coraggio della ‘parresia’ o meglio “un bel tacere non fu mai scritto”. Non ci sono più i monaci di una volta.
Resto veramente allibito e chiedo alla Direzione del sito per quale motivo sia stato pubblicato questo testo. Con la pretesa di rispondere, in realtà non si dice alcunché. Solo chiacchiere senza contenuto. Eppure la domanda è semplice: cosa sta accadendo davvero? Cosa c’è di poco comprensibile in questa domanda? Elucubrazioni teorico-spiritualistiche, non aiutano a comprendere. Le dinamiche di un gruppo (presbiterio, monastero, ufficio…) sono sempre relazionali e dunque umane, molto umane. Sono i rapporti interpersonali a sfasciare le situazioni e le esperienze, oppure a farle funzionare e pertanto non è la Bibbia o il Vangelo o una Regola a decretare automaticamente la bontà o il successo di un’esperienza. Penso che finché avranno libero corso testi come questo qui sopra, la Chiesa continuerà a nascondere i reali problemi e dunque a fallire.
Concordo pienamente e aggiungo che se questo sito si vuole chiamare NEWS, ovvero notizie, notizie deve dare e non fumo ecclesiale che oscura la vista. Io da laica che ha ascoltato tante volte Bianchi a Uomini e profeti, che ha amici che sono stati a Bose molte volte, di questa storia non ho capito nulla, o forse tutto, se alla fine si tratta solo di un fondatore che non vuole farsi da parte. Non é una storia nuova. Forse si é mitizzato Bianchi e Bose. Sarà che a me i guru e i luoghi santi tendenzialmente mi suscitano dubbi metodici, sarà la saggezza dell’età, ma in fondo non mi scandalizzo più di tanto. E come me tanti immagino. Sarebbe peró corretto che chi ha voglia di parlare perché informato sui fatti lo facesse davvero informando e non filosofeggiando.
Anch’io sono sconvolto dalla linea editoriale di questo sito, molto partigiana, tendenziosa e a questo punto pruriginosa con il vago spiritualismo di Semeraro prima e Balugani ora. Pubblica pur di amplificare il bailamme mediatico sulla vicenda Bose. Ancora una volta mi sorgono forti dubbi sull’etica dei media cattolici, soprattutto di Settimananews e Avvenire teleguidate con tutta evidenza dal reverendo Cencini. Perché non date la parola a Enzo Bianchi?
Enzo Bianchi in un tweet ha detto che lui sa stare in silenzio , e si e’ paragonato a Gesu’che rimane in silenzio di fronte ad Erode.
Se Bianchi crede di essere simile al Cristo, chi e’ l’Erode della situazione, Cencini? Manicardi? Francesco? Non si capisce. Sempre allusioni ambigue ,tweet velenosi, non degni di un monaco cristiano