Il 5-6 agosto 2023 la comunità di Bose ha accolto la professione monastica definitiva dei fratelli Federico e Paolo. Pochi giorni prima, il 29 luglio, il vescovo di Biella, Roberto Farinella, d’intesa con il dicastero della vita consacrata, ha riconosciuto Bose come monastero sui iuris di diritto diocesano.
Per ora, la qualifica è ad experimentum per cinque anni, lasciando alle spalle l’ormai inadeguata associazione privata di fedeli. La comunità ne ha dato notizia con molta discrezione, ma il passaggio è rilevante e, in qualche maniera, segna la ripartenza dopo 55 anni di attività.
Una nuova stagione
Una bella notizia per la vita monastica, la Chiesa italiana e non solo. La nuova stagione era già evidente il 27 gennaio, quando si è chiusa la funzione e il compito del delegato pontificio, p. Amedeo Cencini (13 maggio 2020-27 gennaio 2023). È stato un periodo intenso e drammatico: l’uscita del fondatore, Enzo Bianchi, e di alcuni altri fratelli e sorelle, l’ondata incontrollabile delle curiosità mediali, l’appassionata partecipazione di una parte del mondo cattolico.
Come monastero sui iuris a Bose è riconosciuto ciò che costituisce la sua identità, frutto di una storia di oltre cinquant’anni: l’appartenenza monastica, il carattere ecumenico, il doppio monastero (maschi e femmine), la liturgia propria, oltre alle numerose attività (editoriale, ospitalità, cultura, produzione artistica e agricola ecc.).
Dall’avvio dell’esperienza nel 1965-1968 alle prime professioni e alla Regola (1971), dal piccolo gruppo iniziale fino agli attuali 65 monaci e monache vi è continuità dei riferimenti essenziali: centralità del Vangelo e vita comune, condizione laicale e apertura ecumenica, larga accoglienza per l’ospitalità. Decine di migliaia di persone hanno goduto e apprezzato i servizi e la testimonianza dei monaci, tanto da poter parlare di una «generazione Bose».
La sofferenza acuta di questi ultimi due anni, la tensione diventata pubblica con il fondatore e alcuni dei monaci e monache (nonostante lo sforzo della comunità di contenerla), la perdita di alcuni esponenti (una ventina, per ragioni solo in parte legate al conflitto con Bianchi) possono dirsi ormai alle spalle. Anche se gli echi e le conseguenze dureranno a lungo. La fine del compito di p. Cencini, coincide con l’avvio di un accompagnamento spirituale (assistente spirituale) di un monaco amico, dom Michel Van Paris, igumeno (superiore) dell’abbazia di Grottaferrata.
Vale la pena ripercorre questi anni per fissare nella memoria ecclesiale un passaggio importante.
Una lettera prima della tempesta
L’11 novembre 2018 papa Francesco firma una lettera carica di simpatia e di lodi per la comunità in occasione dei cinquan’anni di vita. Riconosce a Bose un ruolo particolare nel rinnovamento della vita religiosa e monastica, nel cammino ecumenico, come luogo di preghiera e di dialogo, nel ministero dell’ospitalità.
«Vi accompagno nella preghiera perché possiate perseverare nell’intuizione iniziale: la sobrietà della vostra vita sia testimonianza luminosa della radicalità evangelica; la vita fraterna nella carità sia un segno che siete una casa di comunione dove tutti possono essere accolti come Cristo in persona».
Alle spalle della lettera (2014) vi era stata una visita monastica chiesta dalla comunità, le dimissioni volontarie di Enzo Bianchi da priore (2017) e l’avvio del priorato di Luciano Manicardi. Si riteneva che le tensioni interne, assai poco percepibili all’esterno, fossero incanalate per un futuro di continuità serena.
Sulla base di insistite richieste sia esterne che interne, si avvia, nel 2019, la visita canonica affidata all’abate Guillermo Leon Arboleda Tamayo, a p. Amedeo Cencini e all’abbadessa Anne-Emmanuelle Devêche. I risultati esplodono nel decreto firmato dal segretario di stato, card. Pietro Parolin, il 13 maggio 2020: Enzo Bianchi, due monaci e una monaca dovranno abbandonare Bose. Il testo è letto agli interessarti da mons. J.R. Carballo, segretario del dicastero dei religiosi in presenza di p. Cencini e di mons. Arnolfo, vescovo di Vercelli.
Duro il diniego di Bianchi e di G. Boselli. La vicenda ha una straordinaria copertura mediatica, in generale favorevole al fondatore e alle sue ragioni. Comincia uno stillicidio di notizie fatte arrivare a blog e giornali che alimentano una tensione inabituale.
L’8 gennaio 2021 un decreto ingiunge di nuovo l’allontanamento di Bianchi, destinato al monastero di Cellole, fondazione legata a Bose, con una serie di garanzie in ordine ai monaci che lo affiancheranno e alla gestione dell’opera. In un comunicato, la comunità motiva la scelta e il percorso compiuto dal visitatore e delegato pontificio. Tutto senza esito.
Diviene nota una lettera personalissima di papa Francesco che invita Bianchi all’obbedienza, nonostante il tempo «della lotta, del buio, della solitudine, del faccia a faccia con la volontà del Padre». Il 4 marzo del 2021 il bollettino stampa del Vaticano informa di una visita di p. Cencini e L. Manicardi al papa e, pochi giorni dopo, arriva in comunità una lettera di sostegno del pontefice:
«Non lasciatevi turbare da voci che mirano a gettare discordia tra voi: il bene dell’autentica comunione fraterna va custodito anche quando è alto il prezzo da pagare! Così come la fedeltà in tali momenti consente di cogliere ancora più la voce di Colui che chiama e dà la forza di seguirlo».
Un nuovo priore
Dopo un anno dal decreto, Bianchi abbandona Bose (30 maggio 2021), prende alloggio a Torino e, dopo pochi mesi (aprile 2022), annuncia l’acquisto di una casa con ampio terreno ad Albiano di Torino, non molto distante da Bose, sede possibile di una rinnovata comunità senza alcuna qualifica canonica. L’iniziativa sta partendo in questi mesi.
Nel frattempo una lettera del card. Parolin (22 gennaio 2022) ammonisce i vescovi a non giovarsi più di Bianchi per la formazione del clero e delle comunità cristiane, accusandolo di
«non aver rinunciato effettivamente al governo (della comunità), interferendo in diversi modi continuamente e gravemente sulla conduzione della medesima comunità e determinando una grave divisione nella vita fraterna, si è posto al di sopra della regola della comunità e delle esigenze evangeliche da essa richieste, ha esercitato la propria autorità morale in modo improprio, irrispettoso e sconveniente nei confronti dei fratelli della comunità, provocando scandalo».
Il 30 gennaio 2022 la comunità elegge, con una convergenza significativa e promettente, il nuovo priore, Sabino Chialà (cf. qui su SettimanaNews). In un’intervista a SettimanaNews (qui) così si esprime:
«La fraternità è un cammino, una scoperta e un dono. Richiede lotta perché la paura della morte – quella ferita originaria che fa dell’essere umano la creatura più debole e per questo anche più creativa – lo spinge con forza a lottare contro l’altro per sopravvivere. Il più grande inganno che la paura della morte ci istilla è infatti proprio quella di convincerci che l’altro ci toglie la vita; invece è l’altro che ci dà la vita». «Spesso si pensa ai monaci come a degli esseri più forti e meglio equipaggiati. Poi, per una qualche ragione, giunge ineluttabilmente la rottura dell’incanto. Esperienza dolorosa quanto feconda».
Con grande sapienza il teologo Ghislain Lafont ci aveva scritto: «Penso che una nuova comunità è veramente fondata dalla seconda generazione, dopo la scomparsa o il ritiro del fondatore. Si riconosce allora meglio il destino legato al progetto di Dio, rispetto a quanto appariva nel periodo di fondazione».
Una indiretta conferma nelle parole di S. Chialà in una intervista a La Lettura (Corriere della sera 26 giugno 2022):
«Se questa roba qui che viviamo fosse solo l’espressione di un’organizzazione umana, avremmo fallito. Del resto, tante cose in cui crediamo si dimostrano molto limitate nella loro realizzazione. Oggi più che mai ci rendiamo conto che la comunità di Bose non è opera umana. (…) È un ritorno all’essenziale dopo un tempo di sbandamento. Se si vuole, di ubriacatura».
Il silenzioso lavoro
Il segretario di stato, card. Parolin, il 1° maggio 2022, visita Bose. «Una visita – annota un comunicato della comunità – che costituisce anche l’occasione per riaffermare ancora una volta l’intento di cura che ha mosso la Santa Sede in tutto quanto ha cercato di fare per la nostra comunità». A distanza di pochi mesi, è giunta la conclusione della visitazione e del ruolo del delegato. Infine, il riconoscimento come monastero sui iuris.
Quelli rapidamente accennati sono stati mesi difficili, ma ben poco si sa del lavoro interno alla comunità stessa, del suo travaglio e delle sue rinnovate energie. L’incontro con alcuni psicologi e formatori ha permesso di riannodare le storie personali con la vicenda collettiva. Non è venuta meno la ricerca in sede liturgica per confermare e rinnovare uno dei patrimoni più creativi della comunità. Così è proseguito l’affinamento del lavoro sui processi formativi. In particolare, si è messo mano al rinnovo degli statuti le cui modifiche sono state sottoposte al voto del consiglio e dell’assemblea.
È stato un periodo non privo di tensioni, in particolare con alcuni che ancora si richiamavano a Bianchi.
Un peso non irrilevante e non positivo va messo a carico di alcuni media che hanno attizzato le contraddizioni. Ciò che è progressivamente scomparso è la paura dell’implosione, della fine e dell’abbandono.
Presumibilmente sofferto e insistito è stato il lavoro sul tema dell’obbedienza, delle strutture interne di governo e delle Consuetudini fissate dopo il capitolo del 2004. Vi era da chiarire il rapporto fra priore, il vice, la responsabile delle sorelle, i formatori e gli organi collegiali (consiglio, capitolo, discretorio, commissione economica) in conformità alla Regola e da innestare tutto questo nel diritto canonico che disciplina la vita monastica.
Una materia evocata in una delle risposte di Chialà a La Lettura:
«Troviamo in Gesù i tre tratti di un’autorità sana. Anzitutto, è uno che si coinvolge, che partecipa emotivamente. Cui pesa imporre pesi. Secondo, Gesù ha l’autorità di guarire: la parola dell’autorità sana è terapeutica per chi la riceve, può anche far soffrire, ma porta un cammino benefico. Infine, Gesù ha autorità su di sé, la libertà da sé. L’autorità è sana se non ha niente da difendere per sé. L’autorità diventa pericolosa quando comincia ad aver paura».
Guadagni irrinunciabili
Vi sono alcuni guadagni non rinunciabili nella vicenda di Bose – a ciò hanno partecipato tutti, dal fondatore all’ultimo arrivato – che si possono sintetizzare con: Vangelo, monachesimo, liturgia, ecumenismo, rapporto con il mondo.
«Fratello, sorella, uno solo deve essere il fine per cui scegli di vivere in questa comunità: vivere radicalmente l’Evangelo. L’Evangelo sarà la regola assoluta e suprema. Tu sei entrato in comunità per seguire Gesù. La tua vita, dunque, si ispirerà e si conformerà alla vita di Gesù descritta e predicata nell’Evangelo».
Le affermazioni della Regola (1971, n. 3) giustificano l’attenzione alla Scrittura, la pratica della lectio divina, la larga influenza anche sui cammini di rinnovamento nel laicato più vicino. Nessun rinnovamento canonico o normativa può oscurare questa fondamentale intuizione.
Il monachesimo di Bose fa forza non tanto sui voti (che vengono tuttavia praticati) quanto sul binomio «vita comune-celibato per il Regno di Dio». Il rimando più insistito non è solo alla tradizione occidentale benedettina, ma anche alle radici orientali, in particolare Basilio e Pacomio.
«La vita di comunione è essenziale per i cristiani. Senza comunione non c’è Chiesa. Ma questa esigenza per te diventa radicale. Tu fai vita comune con dei fratelli e delle sorelle, vivi con loro nella stessa casa, sei solidale con loro nello stesso ministero, con loro tu formi una cellula del corpo di Cristo» (n. 12).
Nella vita comunitaria un ruolo particolare lo ha il lavoro che può essere sia materiale (orto, agricoltura, materiali) sia intellettuale (edizioni, conferenze, insegnamento). Il richiamo alle sorelle permette di citare l’intervista di Chialà a Settimananews:
«Di per sé già l’attuale statuto non fa alcuna discriminazione fra uomini e donne. Ad esempio, una sorella può essere eletta priora, tanto quanto un fratello. Tuttavia ci stiamo interrogando sul nostro vissuto reale di mezzo secolo di convivenza, e sul ruolo effettivo che le sorelle hanno avuto nella nostra vicenda».
Preghiera ed ecumenismo
La revisione in atto sulla liturgia comunitaria parte da una lunga pratica fissata nella Preghiera dei giorni che prevede tre momenti comuni essenziali (mattino, mezzogiorno e sera) con la lettura quasi completa dell’Antico e del Nuovo Testamento e un ampio uso dei testi dei Padri della Chiesa. Un «sistema» liturgico che vive nella tradizione occidentale, ma con una sensibilità per i padri orientali come per scritti anche più recenti (non tutti cristiani) particolarmente ispiranti.
«La preghiera sarà anzitutto comunitaria: essa avviene negli uffici del mattino, di mezzogiorno e della sera. In essa tu ascolterai la Parola, loderai il tuo Signore e pregherai per gli uomini con i fratelli… L’ufficio è dunque un sacrificio di lode, di adorazione, di filiale obbedienza a Dio solo. In esso tu prolunghi e partecipi alla preghiera di Gesù al Padre» (Regola n. 35).
Decisivo nell’identità di Bose è l’ecumenismo. «La comunità non è confessionale, ma è fatta di membri che appartengono alle diverse confessioni cristiane. Ogni membro deve trovare nella comunità lo spazio per la sua confessione di fede e l’accettazione della sua spiritualità» (Regola n. 44). Ancora Chialà su La Lettura:
«La nostra comunità rimane formata da cristiani di diverse Chiese. È una scelta irrinunciabile. Non una scelta strategica, ma un’esigenza di vita. Il mio ecumenismo comincia la mattina quando mi alzo e davanti a me c’è la cella di un pastore protestante. È la prima persona che vedo la mattina».
I convegni internazionali sulle spiritualità d’Oriente e di Occidente sono stati ripresi.
Dopo aver parlato del lavoro, la Regola dice: «Per questo non fuggirai dal mondo e dagli uomini, ma vivrai come loro, più o meno socializzato come le condizioni di richiederanno» (n. 24). Nei confronti del mondo di tutti vi è una simpatia che la distanza dello stile di vita non rimuove, anzi enfatizza.
A Bose hanno trovato casa molti intellettuali, artisti e ricercatori. Da questo punto di vista non c’è nulla di più lontano dalla fuga mundi, dal disprezzo delle fatiche e delle ricerche degli uomini. Molta parte della simpatia che Bose ha ricevuto nasce dalla cordialità con cui ha condiviso le ricerche anche più innovative dello spirito contemporaneo.
Le voci discordi
Per il racconto degli eventi e dei criteri di questi difficili mesi per la comunità di Bose non è forse inutile una serie di citazioni degli apporti più critici come indici della tensione e del coinvolgimento sperimentati. Naturalmente andrebbero collocati nel loro contesto e nello specifico momento. Tuttavia rimangono a testimonianza del riferimento dialettico.
- Massimo Recalcati (Stampa, 11 febbraio 2021):
«L’acidità aggressiva con la quale si compie l’applicazione del decreto pontificio lascia francamente sbalorditi e non può non indignare tutti coloro che hanno creduto in Bose. Padre Cencini impugna l’arma del confino con la ferocia dei più biechi controriformisti e alla riconciliazione giudicata impossibile preferisce l’allontanamento perpetuo del padre di Bose dalla comunità che ha fondato. In questo modo egli vorrebbe cancellare la storia, annullare il debito simbolico che lega ogni pietra di Bose al suo fondatore».
- Associazione Viandanti (31 marzo 2021):
«Fino ad oggi la vicenda Bose, al di là delle questioni personali, si è caratterizzata per l’inesistenza di informazioni ufficiali sulla sostanza di quanto il vescovo di Roma e la Santa Sede prevedono per il futuro di Bose. Una riservatezza che fino ad ora non ha giovato da nessun punto di vista, perché ha alimentato solo dietrologie e soprattutto non ha aiutato un’autentica coscienza da parte del popolo di Dio».
- Silere non possum (17 maggio 2021):
«Inutile illudersi, Bose è destinata a morire. Questa morte è naturale conseguenza del comportamento di chi la sta gestendo».
- Alberto Melloni (Repubblica, 28 maggio 2020):
«Si imputa (a Bianchi) di aver esercitato “l’autorità del fondatore” in modo nocivo al “clima fraterno”, un “reato di caratteraccio” – definizione di un cardinale romano – che viene punito con una pena capitale».
- Alberto Melloni (Repubblica, 10 febbraio 2021):
«Un ultimatum i cui toni sembrano voler minare l’uscita da un crisi in cui ha pesato quella che chiamerei la “dottrina Cencini”… sulle nuove forme di vita consacrata. Affette a suo giudizio del complesso del fondatore… esse devono fare un percorso terapeutico di “oggettivazione del carisma” che suppone la liquidazione del padre».
- Il sismografo (11 febbraio 2021):
«Per questo tipo di espressioni patologiche del potere nella Chiesa non mancano gli esperti di alto livello, capaci di orrende nefandezze come si sono viste nell’oscura vicenda di padre Amedeo Cencini, onnipresente psicoterapeuta di Radio Maria, autorizzato a giustiziare – con tanto di ingombrante apparato burocratico simile ad un tribunale girovagante – il fondatore della comunità di Bose, fr. Enzo Bianchi».
- Sandro Magister (Settimo cielo, 4 marzo 2021):
«Sull’assolutismo monocratico che caratterizza il pontificato di Jorge Mario Bergoglio, già molto si è scritto».
- Giuseppe Ruggeri (30 maggio 2020):
«Hanno ucciso il padre mediante interposta persona… È impossibile pensare Bose senza Bianchi».
- Riccardo Larini (Bose, la traccia del Vangelo, p. 156):
«Il modus operandi degli interventi cenciniani si svolge inesorabilmente nella convinzione che la Chiesa debba aiutare le comunità a liberarsi dei fondatori (a prescindere se siano ancora in vita o meno, e se comporti interventi umanamente brutali), sostituendoli con una istituzionalizzazione del loro carisma, e i singoli membri ritenuti “traviati” a compiere un cammino di maturazione personale sotto la supervisione di psicologi e psicanalisti».
L’esito di questi anni difficili sembra essere andato fortunatamente per un’altra e migliore via.
Invito quanti sono interessati a una interpretazione dei fatti sensibilmente diversa da quella del p. Prezzi a leggere la “Nota sulla travagliata vicenda della comunità di Bose”, pubblicata sulla rivista “Humanitas”, 4 (2022), pp. 602-608 e scaricabile anche da Accademia.edu.
Povera Chiesa che uccide i suoi profeti!!
Però, intanto, si continuano a vedere vari show di presentazione di un libro e della nuova iniziativa per credenti e non credenti e commemorazioni struggenti: “auto-apologeta, l’uomo che crede alle proprie bugie” così ho letto da un commentatore, qualcuno c’è che non si fa prendere in giro da falsi profeti. Non confondiamo i profeti con i furbacchioni.
Per Bose, messa da parte la crisi legata al fondatore, è un nuovo inizio. Si riparte e mi auguro con uno slancio nuovo per non ricadere negli errori del passato (= eccessivo culto del fondatore nonché priore per troppi anni).
e a pochi metri di stanza viene inaugurata a settembre la nuova iniziativa sempre di quel signor monaco allontanato, con la celebrazione eucaristica del arcivescovo di Pescara, alla faccia del “avviso” del segratario di stato Parolin in cui spiegava alla Chiesa tutta di porre attenzione prima di invitare il personaggio nelle chiese o addirittura a tenere corsi ai chierici!! E tutti zitti, va bene così, tanto ormai tutto si fa, tutto si dice, basta avere qualche vaticanista piemontese a disposizione. Andiamo tutti a vedere l’inaugurazione della casa della Madia, organizzazione povera ma di lusso raffinato, che non guasta, anzi ci si compiace di tanta bellezza gratuita!
Mi si consenta una valutazione… Sulla vicenda Bose, non avete assunto un punto di vista libero… Come spesso accade negli articoli che pubblicate. Pesa forse lo stretto legame con Amedeo Cencini di cui in passato ho condiviso molti suoi scritti. Su questa situazione ha avuto un ruolo dirompente e negativo. La ricostruzione che avete pubblicato sostiene il suo operato. La domanda di fondo è: Bose potrebbe essere qualcosa di diverso dal passato? Si, ma il metodo utilizzato x arrivare ad una sua rifondazione è stato barbaro e devastante x il popolo di Dio. Al di là degli errori che la comunità abbia potuto commettere. Risultato il fondatore emarginato ed umiliato, una comunità emigrata con il vecchie costituzioni, e un terzo di monaci che hanno lasciato la comunità. Una ferita che si sarebbe dovuta evitare.
Mons. Prezzi ,
Mi occorre l’obbligo ancora una volta di contraddirla. Non è vero che le tensioni interne fossero assai poco percepibili all’esterno . Tracce significative in diverse smagliature si potevano cogliere e registrare per chi aveva occhi e cuore , memoria ed attenzione . Lo status attuale provvisorio non è un semplice nuovo inizio ma è molto più prossimo ad una ri\fondazione o ricostituzione : cosa che la sua raccolta selettiva e parziale di guadagni essenziali evidenzia molto più che attenuare . Per quanto a me possibile ho sempre censurato l’immediata cassa di risonanza mediatica , l’interventismo a mezzo blog , testate on line , social ed a mezzo stampa . Tra gli interventi da riporatare sinteticamante , “accidentalmente ” lei dimentica di indicare quello improvvido ed irricevibile di Cencini a ferite ancora aperte ed a vicenda componibile e gestibile : https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/comunita-bose-enzo-bianchi-parla-cencini del settembre 2020 su avvenire . nella ricostruzione però non una parole dedica però a Cellole . non mi sorprende questo e nemmeno il perchè .
Quindi è davvero auspicabile che il “sui iuris ” possa coincidere almeno con la conclusione definitiva di tutta la serie delle ricostruzioni orientate ed interessate , di quelle basate sullo” stillicidio di notizie fatte arrivare a blog e giornali ” . Inclusi i suoi contributi . La Tensione inabituale ” , a cui accenna , lei sà bene di cosa parla , avendo avuto direttamente da lei un significativo e primario contributo . Dello stillicidio di notizie la serie dei suoi apporti sulla comunità ne portano tracce evidenti e tutte provenienti da primari livelli : lo segnalano le sfumature dei riferimenti indiretti e delle accentuazioni riportate . la si finisca con queste ipocrisie e le reticenze interessate. Sono poi da aggiungersi con particolare menzione l’asprezza , l’acredine , fino a rasentare delazione e calunnia , dei suoi contributi dedicati alla figura di Enzo Bianchi dall’inizio della vicenda e che hanno portato alla necessità di far notificare alla testata la presente : http://www.settimananews.it/chiesa/enzo-bianchi-a-settimananews/ in risposta al suo : http://www.settimananews.it/chiesa/abusi-cosa-resta-crollo-dei-miti/ . Si attende ancora chiarimento dalla testata in riferimento a quanto notificatovi . Come si attendono chiarimenti sul cambio dello statuto ed i fondi della Regione Piemonte .
Dulcis in fundo si deve aggiungere la sommarietà e l’insensibilità dei riferimenti e delle considerazioni dedicate a Goffredo Boselli , Lino Breda , Antonella Casiraghi e l’utilizzo di dinamiche retoriche da capro espiatorio . Troppo banali le ricostruzioni fornite , troppo assolventi da un lato ed eccessivamente colpevolizzanti dall’altro .
La gestione della vicenda di Bose a mezzo organi di comunicazione è stata a-evangelica non solo verso Bose come comunità nel suo complesso ma sopratutto verso Bianchi e verso tutti i cosi detti allontanati . Ripeto Inequivocabilmente a-evangelica ed ha contribuito a creare una situazione di polarizzazione amico-nemico in senso letterale e con tutte le devastanti conseguenze che ne discendono. la filiera delle responsabilità della gestione mediatica arriva certamente fino alla Segreteria di Stato vaticano , passando attraverso Padre Cencini e tutta la filiera del silenzio di coloro ( cardinali , vescovi , presbiteri , intellettuali , vaticanisti , anche politici , presunti amici di fratelli e\o della comunità ) che se fino a ieri erano in fila , tutti ossequiosi e deferenti , davanti all’ingresso dell’allora priore , poi , in un istante si sono dissolti\evaporati come neve ferragostana , per arrivare fino a tutti quelli che , per i motivi che rendono l’uomo un legno storto , non è sembrato vero di aver l’occasione di poter presentare e pareggiare i conti . E’ abbagliante che non vi sia mai stata una parola di attenzione verso coloro i quali sono indicato da tutti , anche da lei , solo con il numero degli usciti e di cui non vuole cogliere e si vuole dimenticare “la profondità della ferita affettiva, di vedere tutti i rapporti umani coltivati per anni, alcuni preziosissimi, distrutti “. Colga questa occasione per dare l’esempio di tacere, per lasciare che i cammini distinti che ora si sono avviati possano, con tutto il tempo necessario che ci vorrà, portare ad una almeno situazione non più a-evangelica e per quello che possibile lenire il mare di sofferenze e di dolori che a tutti loro la vicenda ha arrecato . quello che potrà venire di più rispetto a questo è ad oggi forse solo un intenso desiderio a cui dedicarsi con altri mezzi e posture e modalità.
Difficile parlare di questa vicenda perché le narrazioni appaiono ambigue e lacunose. Nella pretesa di dire tutta la verità sulla vicenda si spendono parole vuote che nulla dicono, nulla spiegano, nulla chiariscono riguardo ai fatti. Il papa tace, Roma tace, Bose tace, fr. Enzo tace. Oppure parlano senza spiegare, senza dire, senza citare fatti e testimonianze. Dal di fuori sento solo tifoserie in azione (alcune identificabili, altre meno inquadrabili da chi come me non conosce tutto il panorama ecclesiale diversamente orientato rispetto al tema del rinnovamento post-conciliare). Ammetto la mia personale tentazione al complottismo ma sono consapevole che esso non spiega tutto, anzi, in questo caso, ben poco. Ciò che mi sorprende e addolora lasciandomi nell’incertezza del futuro è il destino ecumenico di Bose. Alla luce del nuovo statuto potranno fare come tutte (tante) le esperienze monastiche cattoliche: vicinanza e cordiale amicizia ma distinzione. Mi dispiace, ma per me l’ecumenismo è un passo oltre. Abbraccia tutti come fratelli ma non obbedisce a nessuna confessione. Obbedisce invece al solo evangelo cercando di vivere da oggi la profezia della Gerusalemme celeste.
E’ firmato Lorenzo Prezzi ma in realtà è scritto da Amadeo Cencini
Ma a quelli che ancora vagheggiano una comunità di “laici” scagliandosi contro il monastero, hanno visto la presentazione della nuova realtà promossa da Fr. Enzo? No, perché io vedo un uomo vestito di bianco, circondato da altri uomini vestiti di bianco, che parla da un altare di una chiesa barocca. La via monastica è intrinsecamente legata a Bose fin dal suo fondatore. I suoi sostenitori dovrebbero farsene una ragione, Enzo con la comunità stavano andando in quella direzione e, dissidi e conflitti a parte, quella era la meta comune. Chi pensa che il monachesimo sia indipendente dal resto della chiesa e delle sue strutture ha una idea scorretta storicamente. Da Antonio a Pacomio tutti i primi monaci hanno costruito legami con l’episcopato, magari a volte dialettici, ma mai ecclesialmente alternativi. Questa lettura “hippy” da post-concilio un po’ dopato sarebbe anche ora di dismetterla in nome di una rappresentazione più realistica, meno romantica ma non per questo meno evangelica, di cosa sia una vita comunitaria. By the way, frasi come “È impossibile pensare Bose senza Bianchi” sono la perfetta interiorizzazione di logiche personalistiche e leaderistiche che abbiamo visto nella miserrima politica italiana. Chi fonda un cenobio (vita comune) dovrebbe accettare che la sua intuizione diventa vera tanto più è in grado di emanciparsi da chi l’ha originariamente formulata. Auguro a tutti i figli di questa intuizione, attraversata da contraddizione e conflitti, di sapersi perdonare nel Signore.
La vicenda di Bose rappresenta uno dei punti più contraddittori e oscuri del pontificato di Bergoglio. Il punto è che tale esperienza nasce da un equivoco e non per nulla l’ultimo grande vescovi Biella Carlo Rossi non volle mai concedere alcun riconoscimento. Adesso ne vedremo delle belle. Tradizionalmente a Bose la vigilia della Trasfigurazione si fanno le professioni perpetue e così è avvenuto pure quest’anno. La stessa sera ad Albiano a pochi chilometri da Bose Bianchi parlava al clero della zona e inaugurava la sua nuova casa.
Mi ha sempre stupito che fr Enzo abitasse in una casa per conto suo anzichè nel monastero. E come mai dopo una vita di titolo di monaco abbia scelto la qualifica di laico religioso. Quanto alla sua predicazione la vedo ripetitiva con la stessa polemizzazione di quando lo sentii per la prima volta a Biella nel 1970. Tutti sti biblisti lui e tutti i predicatori sul web parlassero di Scrittura invece che fare tuttologia! Sono vecchio, Bianchi è vecchio, il progressimo è vecchio il nuovo è all’opposto di noi. Senzarasseganrci comunque il futuro non è nostro
Anche questo come i precedenti articoli di Lorenzo Prezzi sulla vicenda di Bose è mera propaganda. Prezzi, come il comunicato ufficiale in home page sul sito di Bose (altro che discrezione!) insistono sulla perfetta continuità. Un’insistenza sospetta. In realtà, con l’erezione di Bose a monastero sui iuris (di diritto proprio) c’è una vera e propria rifondazione che rappresenta una rottura con il passato e soprattutto con l’intenzione del fondatore Enzo Bianchi che ha voluto Bose come una comunità di semplici laici per salvaguardare la natura laica del monachesimo delle origini: “siamo poveri laici” dicevano i monaci del deserto. Diventando monastero sui iuris ora rientrano nel capitolo “Vita consacrata” del Codice di diritto Canonico e dipendono dal dicastero romano dei religiosi. Ora i monaci di Bose sono religiosi! Ciò che Bianchi non volle mai proprio per salvaguardare l’originalità del monachesimo bosino e per garantire i membri non cattolici.
Quanto all’ecumenismo: i membri non cattolici, in quanto appartenenti ad altre chiese, non possono far parte a pieno titolo alla nuova configurazione canonica, perché il Codice di Diritto Canonico non prevede che un non cattolico faccia parte di un monastero cattolico. Per questo non possono accedere alle cariche della comunità. Questa evoluzione di Bose è pienamente legittima, ma non è più il progetto iniziale del fondatore Bianchi, progetto a quanto pare pienamente condiviso dai suoi compagni di avventura per più di cinquant’anni. Ora hanno deciso diversamente ma è un altro progetto, è legittimo, ma diverso. Dunque la sbandierata perfetta continuità con le origini e solo un paravento per nascondere il processo di normalizzazione di Bose voluto da Roma. Per realizzarlo era necessario allontanare padre Bianchi e i suoi più stretti collaboratori che si sarebbero opposti. Oltre gli allontanati per decreto romano molti altri che non accettavano il decreto sono stati posti nella condizione di lasciare Bose.
Membri interni della comunità riferiscono che in realtà da quando Bianchi ha lasciato il comando, da Bose se ne sono andati via più di quaranta. Quando si andava alla sede di Bose a Magnano alla preghiera si contavano più di sessanta tra monaci e monche vestiti di bianco ora non superano la trenta. Dimezzati. Attualmente il noviziato è vuoto. La fraternità di Cellole si è staccata perché non accettava il decreto. Questo è l’esito del decreto: una devastazione voluta. Scrivi erezione a monastero sui iuris e leggi normalizzazione.
Poi dal comunicato di Bose emerge che la nuova configurazione è per non essere autoreferenziali, avere “regolari visite canoniche monastiche” dall’esterno, ma questo era possibile anche prima (ed è avvenuto), e c’era bisogno di fare tutto questo cambiamento per avere delle visite regolari dall’esterno?
Qui c’è la rottura e la discontinuità con il passato: adesso i monaci e le monache di Bose sono religiosi laici, in quanto non ordinati. In quanto riconosciuto come monastero sui iuris di diritto diocesano dal vescovo di Biella, i membri non cattolici di Bose non possono accedere alle cariche elettive della comunità. Sono monaci di serie B e penso anche che la chiesa cattolica non riconosca (perché non può riconoscerli) i loro voti monastici.
Condivido pienamente.
Anch’io condivido “toto corde” quanto scrive Silvia Camaiori. Leggo nel sito di casadellamadia.org che la nuova realtà ecclesiale di “Casa della madia” è “disposta a collaborare fraternamente con il Monastero di Bose”. Sogno che questa collaborazione fraterna e sororale prenda avvio quanto prima in modo convinto e si estenda altresì alla comunità di Cellole. Sogno che noi laici e laiche, che tanto abbiamo ricevuto da Bose, possiamo continuare a trovare a Magnano, ad Albiano e a Cellole un prezioso aiuto per crescere nella consapevolezza cristiana.
Il fatto che dopo una turbolenza sia iniziata una stagione di rilancio dovrebbe rendere tutti sereni, compresi coloro che si sono affezionati all’insegnamento di Fr. Enzo. Il livore e in genere un incontrollato complottismo fondamentalmente irrazionale e probabilmente ignaro delle dinamiche oggetto del lungo dissidio sembrano talora, invece, prevalere. E’ piuttosto incredibile e desolante vedere come un medesimo “stile” immisericorde approssimi i followers del fondatore a coloro che sempre hanno combattuto Bose da posizioni reazionarie.
Il “segreto” e la mancanza di trasparenza in questa vicenda hanno fatto si che il “santo popolo di Dio” ,che a detta degli attuali capi della Chiesa è la loro massima premura, non abbia capito un acca di quelli che è successo a Bose e questo come dice Louis Badilla del Il Sismografo ha fatto sì che li scandalo, la confusione e lo smarrimento vadano ad aggiungersi ai tanti di questo pontificato. Segreti, opacità, tenere tutto nascosto, non dire mai francamente le cose: se questo è lo stile gesuitico (e l’abbiamo visto nel caso Zanchetta, nel caso Rupnick) non dovete poi meravigliarvi se la fiducia dei fedeli viene meno.
“Nel frattempo una lettera del card. Parolin (22 gennaio 2022) ammonisce i vescovi a non giovarsi più di Bianchi per la formazione del clero e delle comunità cristiane, accusandolo di «non aver rinunciato effettivamente al governo (della comunità), interferendo in diversi modi continuamente e gravemente sulla conduzione della medesima comunità e determinando una grave divisione nella vita fraterna, si è posto al di sopra della regola della comunità e delle esigenze evangeliche da essa richieste, ha esercitato la propria autorità morale in modo improprio, irrispettoso e sconveniente nei confronti dei fratelli della comunità, provocando scandalo.” Questa è una lettera scritta in questi termini da un cardinale, ma un figlio di Dio è alto più di un cardinale.
Ringrazio p. Prezzi per aver preso in considerazione anche il nostro documento “Bose e il suo futuro”. Se possibile aggiungerei a quanto citato anche questa parte:
“Ci ha colpito il silenzio della Chiesa Italiana che nei vari livelli di responsabilità non ha preso pubblicamente la parola, almeno per esprimere vicinanza nella tribolazione a questi fratelli e sorelle; mentre l’episcopato locale non ha ritenuto di dire al Popolo di Dio con quale sollecitudine aveva seguito la comunità, da tempo attraversata da tensioni interne, e quale accompagnamento aveva operato o stava operando”.
Con un ringraziamento per il lavoro informativo di tutta “Settimana news”.
In pratica si accetta che il protestantesimo sia definito cattolico.
Chissà perché invece per i cattolici fedeli ,tipo Frati dell’ Immacolata ci sia stata solo la ruspa misericordiosa per chi aveva il seminario strapieno. Bosè resta e resterà sempre un cancro per il Corpo Mistico.
È stata lanciata un OPA e hanno vinto, sostituendo chi ha fondato l’azienda e addirittura ponendolo al confino. Il mercato libero del capitalismo ha però regole più trasparenti. Della carità verso Bianchi non c’è traccia, se proprio è in errore, chi mantiene il dialogo con lui attendendo una maturazione della sua posizione? Dio ha una pazienza tendente all’infinito e questo si vede già nella vita del singolo uomo. Ma non nella gerarchia ecclesiastica ed in questo non segue il suo proprio fondatore, Gesù.
Sono andati via da Bose 20 monaci, cioè un quarto del totale: esattamente come se 4000 domenicani avessero lasciato il loro Ordine. Notevole, no? Monastero di diritto diocesano è il minimo, al di sotto cosa c’è? il monastero di diritto parrocchiale? Attualmente solo tre monaci non sono cattolici: come si può parlare di comunità ecumenica di respiro internazionale? Il tono di sollievo con cui è stata accolta questa sistemazione fa pensare che a Bose temessero di essere sciolti e inglobati in altri ordini monastici.
Speriamo che ora a Bose possano vivere in pace e magari lontani dai riflettori mediatici. Immagino ci vorrà tempo e tanto lavoro (e silenzio verso l’esterno) per trovare un nuovo equilibrio interno alla comunità e anche per ripensare il senso della propria testimonianza nel mondo e nella Chiesa. Mi resta però il dubbio sull’opportunità e sull’efficacia della scelta di fare di Bose un monastero “sui Iuris” legato formalmente alla Chiesa cattolica , in fondo si tratta di una comunità ecumenica con membri di diverse Chiese……tale scelta può anche dare l’idea di un tentativo di disciplinamento promosso e seguito dalla gerarchia cattolica con tutti i rischi che ciò comporta a livello di relazioni “ecumeniche”. Sarà il tempo a rivelarlo e saranno poi gli storici a scrivere la storia di Bose al di là di tutti i miti di fondazione e di crescita.