Il carisma dei religiosi in un mondo che cambia

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assemblea

Dal 24 al 26 maggio si è svolta la 99ª assemblea USG (Unione superiori generali). 110 i partecipanti, circa la metà rispetto alla lista dei 213 superiori maggiori delle congregazioni religiose. Tema: «Ravviva il carisma di Dio che è in te» (2Tm 1,6). Gli interventi in assemblea sono stati proposti da quattro padri generali: Mauro Giuseppe Lepori dei cistercensi, Mark Hilton dei Fratelli del Sacro Cuore, Tesfay Gebrtesilasie Tadese dei comboniani e Miceal O’Neil dei carmelitani.

Ravvivare il carisma

Il grande movimento di rinnovamento della vita consacrata è iniziato con il concilio Vaticano II. Il suggerimento del decreto conciliare Perfectae caritatis (1965) era di tornare allo spirito del fondatore e di rinnovare il modo di vivere la propria appartenenza a Cristo Signore, secondo lo spirito del fondatore e nello sviluppo della sana tradizione di ogni istituto.

Da allora, ogni istituto si è impegnato in un profondo e diffuso rinnovamento attraverso la preghiera, la formazione, la ricerca, gli incontri, i congressi e i capitoli, tutto al fine di acquisire una maggiore conoscenza del proprio spirito e con il desiderio di dare, nella vita, una testimonianza più convincente.

Ogni istituto ha incoraggiato i propri membri ad approfondire testi base come la Regola, gli scritti del fondatore e lo sviluppo della propria storia. Quel lavoro continua ancor oggi.

All’indomani del Vaticano II, molti si chiedevano perché fosse necessario un rinnovamento. La risposta è: perché si appartiene ad una Chiesa che è un organismo dinamico. Ciò che ha reso diverso il secolo scorso rispetto ad altri tempi in cui la vita religiosa si è rinnovata, è che questa volta la chiamata al rinnovamento veniva dalla Chiesa stessa, da un concilio ecumenico, ed era rivolta ad ogni istituto. Come la Chiesa aveva ridefinito sé stessa, in particolare nella Lumen gentium e nella Gaudium et spes, così agli istituti religiosi è stato chiesto di fare lo stesso.

La Chiesa esorta costantemente a «ravvivare il carisma» e i capitoli generali e locali – e tutti gli altri incontri – esprimono il desiderio di vivere più autenticamente la vocazione ricevuta. Si è speso molto tempo e molte energie sulla riscoperta dell’identità carismatica.

Tuttavia è giusto chiedersi se questa vita sia ancora significativa per il mondo di oggi. A partire da questo interrogativo – centrale per tutti i relatori – si è tentata una lettura della realtà.

Il contesto attuale è pieno di ambiguità. È facile sottolineare molte caratteristiche negative del nostro mondo; eppure proprio ogni aspetto negativo ha portato e continua a provocare risposte positive. Se è vero che molti sono gli aspetti problematici, rimane vero che la vita religiosa ha buone possibilità di proporsi con efficacia come alternativa positiva.

Senza la pretesa di un’analisi esaustiva, il carmelitano Miceal O’Neil ha offerto alcuni punti di confronto.

Individualismo

Nel mondo di oggi c’è una grande enfasi sulla propria individualità. Lo vediamo nella cultura che cerca di rispondere in ogni modo ai bisogni del singolo, a volte prestando poca attenzione alla realtà che lo circonda. Per cui accade che i bisogni di alcuni siano curati per bene, mentre milioni di persone non vengono neppure prese in considerazione.

Anche la vita religiosa si prende cura dell’individuo, ma sempre nel contesto di una comunità, con la filosofia di san Paolo: «se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e, se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1Cor 12,26).

Una Chiesa con problemi

Oggi la Chiesa cattolica incontra delle difficoltà. Molte persone della comunità ecclesiale si stanno allontanando o non si mostrano più interessate. Le ragioni sono molteplici. Sotto accusa è in particolare il modo con cui nella Chiesa vengono esercitati l’autorità e il potere. Un modo che mortifica la competenza e i talenti di molti, in particolare delle donne; favorisce l’abuso su persone vulnerabili da parte dei membri della Chiesa e l’incapacità di affrontare gli abusi, le vittime e gli abusatori; provoca mancanza di onestà e di trasparenza nell’amministrazione dei beni ecclesiastici…, in una parola: una Chiesa che predica una cosa e ne fa un’altra.

La vita religiosa è dentro questa fatica, ma ha dalla sua la capacità di riformarsi, possiede tempi e luoghi in cui esaminarsi regolarmente, desidera un modo di vivere più autentico ed esercita la correzione fraterna come stile di vita.

Spirituale, ma non religioso

Si dice spesso, nel mondo di oggi, che le persone hanno una loro spiritualità ma non sono religiose. Sentono di avere una vita interiore, un insieme di valori e il desiderio di un di più, ma non vogliono seguire alcun leader né appartenere ad una religione istituzionalizzata.

Di fronte a questa sfida, i religiosi propongono uno stile di vita centrato sulla rivelazione di Dio nella persona di Gesù Cristo, il Verbo incarnato. Così facendo, intendono vivere un’intensa vita spirituale in comunione con lo Spirito di Dio. I consacrati si pongono nel mondo come coloro che credono che ogni bene e ogni possibilità di crescita e di salvezza vengono da Gesù Cristo.

Non servire, ma essere serviti

C’è poi una parte di questo mondo che, mentre proclama i pregi della democrazia, permette a molti governi di favorire gli interessi di pochi e di imporre la propria volontà attraverso meccanismi di potere che vanno dalla corruzione e dall’inganno alla prevaricazione e all’oppressione.

Qui troviamo pochissima attenzione per i poveri o i vulnerabili, ritenuti persone superflue.

Mentre le condizioni dei poveri in alcune società sono migliorate in modo significativo, in tanti contesti c’è ancora una lunga strada da percorrere. Ciò che sta accadendo nel Mediterraneo è solo un segno di un mondo che non è disposto a cambiare per consentire ai Paesi più deboli di godere dei benefici e delle risorse che Dio ha donato.

Il religioso risponde proponendo uno stile di vita in cui tutti coloro che fanno parte della comunità siano curati, tutti diano il proprio contributo e il potere venga esercitato per un periodo per poi passare la mano ad altri.

I discepoli di Gesù Cristo riconoscono che la loro vocazione è servire e non essere serviti. I consacrati accolgono questa verità e cercano di metterla in pratica. La loro è una cultura dell’ascolto, dell’accompagnamento e dell’incoraggiamento alla crescita di ogni figlio di Dio. La vita religiosa offre una cultura della partecipazione.

Più veloce è, meglio è

Il nostro mondo pretende frutti immediati.  Nel settore della tecnologia, dell’istruzione, della sanità, dell’agricoltura, della produzione, i risultati e la velocità sono i segni distintivi del successo. Per raggiungere questo successo, la visione dev’essere ristretta. Gli effetti collaterali e le conseguenze negative ricevono poca considerazione, perché sono scomodi e rallentano il processo.

I religiosi, professando i voti di obbedienza, povertà e castità, favoriscono la crescita della persona nella libertà, nella condivisione delle risorse, affinché nessuno sia lasciato nel bisogno, e nella coltivazione di relazioni umane che permettano alle persone di crescere fino alla piena maturità. Tutto questo richiede tempo e funziona a partire da una filosofia fondata sulla speranza.

La domanda di Pilato: «Qual è la verità?» (Gv 18,38) ci sfida in un mondo in cui la verità è vittima di una pubblicità aggressiva, della corruzione politica, dell’ambiguità morale. Verità è ciò che conviene agli interessi di chi parla in un determinato momento.

La lettura quotidiana della parola di Dio e il discernimento comunitario sono la risposta alla manipolazione della verità per fini egoistici, come spesso accade nel contesto odierno.

Il carisma è dono, non eredità da archivio

La sfida oggi si gioca nell’ambito della vita religiosa vissuta in comunità. Se ci si guarda intorno in Europa, ci meravigliamo di ciò che è stato realizzato e di come lo stile della vita religiosa sia entrato nelle menti e nei cuori di tante persone. Intere generazioni ne sono state segnate e si vive con l’idea che tutto questo, nei paesi europei, sarà salvaguardato. Tuttavia, è giusto chiedersi se l’ideale della vita religiosa sia adattabile alle esigenze di oggi e come ravvivare il carisma.

Il problema è prendere coscienza del proprio carisma. La vera domanda – ha evidenziato il cistercense Giuseppe Lepori – è quale sia il dono di Dio che dobbiamo accogliere sempre di nuovo e continuamente ravvivare. Ravvivare non vuol dire andare a recuperare qualcosa in archivio, nei granai o nella cassaforte. Il dono si ravviva riattivando il rapporto con il Donatore.

È questo che spesso manca e a cui non si presta abbastanza attenzione. Sovente, nelle visite canoniche, vengono corrette cose superficiali ma non ci si interroga sull’accoglienza del dono del carisma. Se si fosse veramente interessati al carisma, si porrebbe attenzione alla qualità della preghiera, oppure alla fedeltà alla meditazione della Parola di Dio, così come alla qualità della vita fraterna, perché il dono del carisma è un dono di comunione.

Anche quando si è vecchi e si è ridotti a pochi, si può sempre accogliere un dono e avere una relazione confidente con il Padre e il Figlio, per accogliere lo Spirito. Anzi! Se non si accoglie il dono di Dio, è inutile essere giovani ed è inutile essere tanti. Non si vive la vocazione quando non si accoglie il dono.

Spesso si vuole avere nuove vocazioni senza accettare di generarle. Si vogliono nuovi membri delle comunità più per sopravvivere che per trasmettere la vita. Anche in questo, si tradisce una concezione “archivistica” del carisma, come se le vocazioni dovessero venire per conservare un museo, un patrimonio, più che per trasmetterlo. In questo modo si perde la connessione con la sorgente, con le radici del carisma, perché Dio ce lo dona per rimanere in Lui.

Abbandoni

In questo panorama si è inserito il contributo ricco di informazioni di mons. José Rodríguez Carballo, segretario del Dicastero per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

Ha premesso che la vita consacrata, nel suo insieme, gode di buona salute. Soprattutto essa sta facendo un grandissimo sforzo per rendere significativa ed evangelica la sua vita e la sua missione. Tuttavia non mancano alcune criticità.

Primo tema, gli abbandoni. Ogni anno c’è una media di quasi 2.000 abbandoni. Questo dice che è arrivato il tempo di rivedere i processi formativi. Iniziando dal discernimento vocazionale. In questo tempo, in cui si ha un appetito disordinato di vocazioni, facilmente si va incontro a richieste non sempre motivate.

Le pratiche che arrivano al dicastero dicono che le cause dell’abbandono sono quelle tradizionali.

  • La prima causa è la crisi di fede. La fede nella comunione interna alla Trinità ha scarso impatto sul processo di comunione da realizzare in comunità.
  • Seconda causa è l’eccessivo spiritualismo. Molte volte il devozionismo più spinto, forte nelle nuove generazioni, genera una spiritualità disincarnata, incapace di rendere figli del Cielo e figli della terra.
  • Terza causa sono i problemi affettivi: «Quello che non si trova dentro la comunità, lo si cerca fuori». In questo tempo, ci sono molti problemi affettivi di tipo sia etero-sessuale sia omossessuale.

Si dice che la vita religiosa sta morendo in Europa ma, di fatto, bisogna prendere atto che la crisi degli abbandoni è globale. In quest’ultimo anno, al primo posto per abbandoni troviamo l’India, al secondo il Brasile, al terzo il Messico, poi l’Argentina…, per arrivare al decimo posto con la Spagna. L’emorragia della vita consacrata tocca tante zone e tanti paesi.

Le nuove forme di vita religiosa e i nuovi istituti

Sono un altro elemento di preoccupazione.

Le nuove forme sono caratterizzate da donne e uomini che vivono insieme e il responsabile della comunità può essere sia donna che uomo. Ma quello che fa problema è il venir meno del senso ecclesiale. Si dà troppo peso a fondatori e a fondatrici già canonizzati in vita. Quello che essi dicono viene prima del vangelo. Ciò crea difficoltà nel passaggio dal carisma all’istituzione.

Questo dato richiede di ridimensionare le figure dei fondatori e delle fondatrici, e anche di guardarsi da quella specie di eredità che si riceve dai fondatori quando arrivano a indicare il loro successore.

Il servizio dell’autorità ha urgente bisogno di essere evangelizzato per evitare due derive: l’autoritarismo e il lasciar fare.

Chi esercita il servizio dell’autorità deve saper prendere decisioni. A volte si ha la sensazione che molti superiori non vogliano prendersi le loro responsabilità, tanto che, quando si presenta un problema, si rivolgono al Dicastero anziché affrontarlo nelle sedi dovute.

Abusi e ricorsi

Il tema degli abusi sui minori non riguarda il Dicastero per la vita consacrata, perché è compito del Dicastero per la dottrina della fede.

Preoccupano moltissimo le tante lettere che denunciano abusi di potere. Un tema che non è stato ancora affrontato con la serietà che merita. Tanti abusi sessuali hanno la loro origine nell’abuso di potere.

Gli abusi di coscienza si verificano maggiormente in ambito femminile. È importante formare i provinciali e i superiori nel sano servizio dell’autorità nel senso etimologico di «far crescere» l’altro.

Altro tema di preoccupazione sono i ricorsi. Spesso ci sono motivi più che sufficienti per dimettere un membro dell’istituto ma, per difetto di forma, molte volte si deve accogliere il ricorso, altrimenti la Segnatura apostolica dà ragione al religioso di cui si chiede la dimissione. Per questo occorre essere molto diligenti nel redigere i testi, rispettando al massimo le norme del diritto.

Piccoli istituti e monasteri

In questi anni si è dedicata molta attenzione ai piccoli istituti. Questo tema è stato esaminato in alcune conferenze dei superiori maggiori. La conferenza tedesca è stata la prima a toccare questo tema, sono poi arrivate quella francese, quella inglese e quella spagnola.

Attualmente ci sono più di 500 istituti di diritto pontificio con meno di 100 membri. Di questi, la metà ha meno di 50 membri e 14 hanno meno di 10 membri. Alcuni sono rimasti con 2 membri e 1 addirittura con un solo membro. Ma il problema non è solo il numero, anche l’età media è molto alta. Ci sono istituti con l’età media di 85 anni.

Sono stati convocati tutti i rappresentanti delle conferenze richiamate sopra, per parlare di questo problema. Nella maggior parte dei casi si suggerisce una fusione, ma non è facile perché forti e tante sono le resistenze.

Per quanto riguarda i monasteri, si cerca di favorire le affiliazioni, ma in questo momento non abbiamo monasteri così forti che possano affiliare i più deboli. Ci sono anche monasteri con solo 2 persone. Bisogna poi tener conto delle risonanze che le eventuali affiliazioni possono suscitare sia all’esterno sia all’interno. Le visite apostoliche e i commissariamenti procedono cercando di sanare le situazioni incompatibili con la vita consacrata.

La comunità di Bose ha avuto molta risonanza in questi mesi. Ora tutto è ben indirizzato, c’è molto dialogo con la comunità e sono state rinnovate le costituzioni. È stato fatto un buon lavoro. Un ringraziamento va al nuovo priore per aver accolto i suggerimenti del Dicastero.

L’elenco delle difficoltà di cui ha riferito mons. Carballo però non può far dimenticare la crescita di talune realtà e quanto vi è di positivo negli istituti di vita consacrata.

Nel corso delle giornate sono stati eletti anche i delegati al Sinodo sulla sinodalità: Arturo Sosa (Compagnia di Gesù), Mauro Giuseppe Lepori (Cistercensi), Ernesto Sanchez (Fratelli Maristi), Mark Hilton (Fratelli del Sacro Cuore), Tesfay Gebrtesilasie Tadese (Comboniani).

 

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