Dal 20 al 25 luglio 2017 si è svolto a Yogyakarta (Indonesia) un seminario internazionale di studio della congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (dehoniani). Riportiamo alcuni spunti dei lavori, utili per mostrare il tentativo di ricomprensione del proprio carisma di congregazione. A questo articolo faranno seguito, in un secondo tempo, alcune riflessioni di carattere più teologico-critico sul rapporto carisma/devozioni. Informazioni più ampie sul sito Charism & Devotions.
Il tema del seminario e il lavoro di pre-seminario
Il tema scelto dalla Commissione teologica internazionale della congregazione dei dehoniani per il seminario di studio è stato Carisma e devozioni – per una identità dehoniana inculturata. Esso ha mostrato una felice intuizione di fondo: ha obbligato – da un lato – a lavorare su elementi di carattere fondativo per la comprensione della propria identità, primo fra tutti proprio il rapporto tra il carisma e le devozioni. Poi, tra devotio e devozioni, tra il carisma, le strutture della fede e l’azione dello Spirito Santo. Dall’altro lato, ha favorito una ricerca sui vissuti devozionali, concentrandosi sulle dimensioni pratiche della fede, su quei vissuti che strutturano e nutrono il rapporto personale, comunitario e missionario con il Vangelo di Gesù Cristo.
Lo scopo del seminario teologico è stato tanto chiaro quanto per nulla scontato nei suoi effetti: elaborare vie di accesso interculturali al proprio patrimonio carismatico e identitario, e potersi così dotare di figure ermeneutiche rinnovate per ricomprenderlo incessantemente.
La fase di pre-seminario, affidata alle Commissioni teologiche continentali, è stata molto preziosa per il coinvolgimento effettivo dell’intera base dehoniana, attraverso un questionario pervenuto ad ogni religioso. Si è arrivati così al seminario con un lavoro iniziato un paio di anni fa. E con le Commissioni continentali impegnate in una rilettura teologica di quanto era stato consegnato ai questionari stessi.
Seguendo alcune linee-guida precedentemente tracciate da un Comitato scientifico costituito appositamente, ogni Commissione ha elaborato un proprio documento, distribuito in anticipo ai partecipanti al seminario.
Il seminario
La parola seminario dice qualcosa di diverso rispetto al classico convegno. Dice la precisa volontà di un lavoro da fare insieme, da costruire con pazienza, dando voce effettiva alle culture dove sono presenti e operano confratelli e comunità dehoniane.
Nel nostro caso significa anche che si è fatta una scelta precisa: non fare ricorso a esperti esterni chiamati a relazionare sul tema, ma privilegiare un lavoro interno, nostro, di confronto e di approfondimento. L’unica eccezione a questo modo di procedere è stato il bel testo di suor Nicla Spezzati (religiosa ASC, sottosegretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica), che, a partire da una rilettura critica delle relazioni delle Commissioni teologiche continentali, ci ha consegnato preziose indicazioni per proseguire il cammino.
Entrare nell’universo dei vissuti devozionali significa propiziare l’accesso a un mondo plurale e variegato, accettando un itinerario a tappe, discreto, attento al rischio insidioso di un integralismo spirituale.
Da questi lavori non ci si doveva certo aspettare una quadratura del cerchio su come inculturare il carisma, come se la nostra identità congregazionale fosse un “oggetto” e quindi un corpo facile da trasmettere. Ciò che non era affatto scontato come esito dei lavori sono state alcune acquisizioni di fondo estremamente preziose per l’oggi e per il domani. Ne riportiamo alcune.
Abbiamo sperimentato l’importanza di un confronto tra noi, dando spazio al plurale delle voci e delle culture che noi stessi abitiamo, dove la qualità di un ascolto profondo non è altro che il prodotto di un’autentica ascesi.
Con il seminario indonesiano i dehoniani aggiungono una tappa significativa all’itinerario che interroga in profondità la loro identità spirituale e carismatica. Consapevoli che, se il carisma è un dono dello Spirito Santo, tocca però a loro svilupparlo, incarnandolo nella vita. Questa prima acquisizione ha bisogno di inevitabili approfondimenti, affidati soprattutto al lavoro delle commissioni. Tocca a questi organismi mostrare, a partire dai reali ed effettivi vissuti devozionali, se si debba parlare di interculturalità oppure se è possibile osare l’orizzonte dell’inculturazione.
Abbiamo anche vissuto la fatica di parlare e di ragionare in modo concreto sulle devozioni. Ci è sembrato di cogliere una certa separazione tra teoria e pratica effettiva, comprensibile se si pensa ai ribaltamenti di significati che queste pratiche hanno attraversato negli ultimi decenni, lasciando sul terreno di questa loro storia recente una confusione che grava in maniera preponderante sull’esperienza del singolo. Anche questo iato, che tocca la qualità della nostra vita religiosa, va ulteriormente approfondito, per riscoprire con maggiore profondità le devozioni consegnate alla congregazione e sottoposte a quel processo di affinamento che non ha altro criterio se non quello dell’Evangelo: evangelizzare le devozioni, vuol dire passarle al setaccio della loro finalità teologale e della loro qualità teologica.
Per noi il focus è chiaro: il cuore di Cristo, mistero di carità. «La devotio dehoniana si caratterizza dunque per l’approccio sensibile all’umanità di Cristo che porta all’esperienza di Dio amore» (CSD, Input per il seminario di Yogyakarta, p. 7). Da qui prendono corpo le voci plurali delle diverse sensibilità culturali.
Il tentativo di dare senso condivisibile a questa pluralità non può che passare da un rapporto di fedeltà dinamica con la nostra storia. Se, da un lato, è un processo mai concluso, dall’altro lato, questi approfondimenti prendono corpo e diventano coscienza effettiva e disponibile, adatta per educare la devozione e educare alla devozione. Qui risiede l’interesse alla storia del fondatore: padre Leone Dehon ha trovato l’accesso al mistero del Cuore di Cristo per via devozionale, capendo bene che la devotio permetteva di salvare la qualità affettiva della fede. In secondo luogo, la devozione era per lui il linguaggio consapevolmente scelto per trasmettere l’intrasmissibile: cioè la sua esperienza spirituale.
Il seminario ci consegna alcuni punti fermi e un cantiere ordinato per lavori futuri. Abbiamo intrapreso un cammino efficace di approfondimento della nostra identità carismatica scegliendo un punto di accesso coraggioso al nostro universo spirituale: il rapporto tra carisma e devozioni. Abbiamo fatto esperienza di quanto questo accesso sia molto fecondo.